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Il dolore delle madri nelle Supplici di Euripide

Creato il 31 agosto 2011 da Sulromanzo

Il dolore delle madri nelle Supplici di EuripideViviamo in tempo in cui minacce di guerra si levano sempre più cupe, mentre altri conflitti non sono ancora sopiti. E sulle coscienze pesano le morti di soldati, madri, fanciulli e fanciulle e la devastazione si stampa sui muri diroccati.

Un tempo in cui non solo la guerra uccide, ma gli avversari politici vengono fatti sparire, non si sa se vivi o morti, e spesso non sono nemmeno avversari ma difensori dei più deboli accorsi per aiuti umanitari: le loro suggestioni continuano comunque a sprigionare terrore.

Il culto dei morti uccisi in battaglia non è più possibile, altre vittime si stagliano all’orizzonte delle nostre paure lungo l’urlo sibilante del coprifuoco, israeliano, palestinese, afgano, libico, siriano,egizianonon importa; la norma divina è stata violata per sempre; è stato sconvolto il vivere civile se le ali sinistramente luccicanti di un aereo vanno ad infilarsi dove è lavoro, vita immersa nei mille impegni quotidiani, se il sorriso di un bimbo per la fetta di felicità in una lattina  si contorce in rigor mortis al supermarket, se un bimbo è costretto a terminare i suoi giochi e la vita su una campo minato.

Il dramma di Euripide genera mostri; questo emerge dalla lettura: la mole dei nostri dubbi che finiscono per minare la ragione.

Un gruppo di donne di Argo si riunisce presso l’altare di Demetra di Elausi: sono le madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe lì convenute per supplicare gli Ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai figli. I Tebani, infatti, negano la restituzione dei cadaveri. Il re Teseo decide di aiutarle, sicché si rivolge all’araldo tebano, ingaggiando con lui un intenso dialogo nel quale il re difende i valori di democrazia, libertà, uguaglianza di Atene contrapposti alla tirannide di Tebe.

La guerra tra  le due polis diventa così inevitabile, e si conclude con la vittoria di Atene e la conseguente restituzione dei cadaveri. Il re di Argo Adrasto, che accompagna le madri, si incarica di celebrare i caduti con un discorso. Alla fine appare la dea ex machina Atena, che fa giurare ad Adrasto eterna riconoscenza di Argo verso Atene, predicendo inoltre la prossima caduta di Tebe.

Una tragedia che si presenta ricca di motivi ideali e civili: la condanna della guerra, il valore delle norme panelleniche, il senso della democrazia, l’opposizione al sopruso e all’ingiustizia, la celebrazione di un grande rito funebre nel quale convergono dolori e ansie, rimpianti e speranze.

È notevole la varietà dei toni e dei registri stilistici, drammaturgicamente eloquenti, dove la situazione poeticamente offerta viene ad assumere le connotazioni del presente, che, assillato dagli stessi drammi, può risultare più chiaro nei suoi risvolti attraverso il confronto-contrasto col passato.

Infatti le madri sono madri da sempre e per sempre.

Come le madri tebane della tragedia euripidea, donne a lutto pervase da un dolore bruciante dato che i loro figli sono morti combattendo per un ideale. L’evento assurdo, senza senso della guerra ha colpito vite nel fiore degli anni. Tutto ciò che dà forma alla maternità - gioie, speranze, cure - è ormai vano: il loro essere madri trova espressione ora solo nel cordoglio.

Tuttavia l’abbraccio dei corpi senza vita dei figli consentirebbe al loro dolore di stemperarsi, ed esse stesse, attraverso questo atto di identificazione con i morti, potrebbero tentare di superare l’acme della sofferenza; il compimento del rito di sepoltura forse porrebbe un freno al cordoglio. Ma i cadaveri vengono loro negati, il rito non si può compiere; il loro dolore rimane senza soluzione ed esplode con violenza.

In tale dimensione funebre le madri - contemporaneamente protagoniste e Coro - restano isolate in tutto il corso del dramma, chiuse in una lugubre atmosfera di morte. Persino nel momento in cui i cadaveri vengono restituiti, esse possono stringere al seno non corpi ma misere ceneri, quasi a sottolineare ancor più l’angoscia del desiderio inappagato.

Della vicenda bellica rimangono passive spettatrici e il vivace dibattito politico resta del tutto estraneo al loro mondo, alla cultura tutta femminile e materna di cui esse sono portatrici.

Non è il rispetto “della legge comune di tutta la Grecia” che vuole il seppellimento dei morti a determinare la loro supplica: non il nomosma la legge della physisimpone la necessità di colmare il vuoto della morte con l’inerte presenza dei cadaveri.

 È indispensabile il rito, altrimenti ne deriverà viltà anche per i più forti: il guerriero che muore deve sapere che saranno celebrati per lui gli onori funebri mediante i quali gli sarà consentito di sopravvivere nella memoria collettiva; e d’altra parte lo stato, attraverso il rispetto della norma tradizionale, reintegra la morte in un piano di propaganda politica.

Garante della legge e della tutela delle norme giuridiche interstatali è appunto Teseo, simbolo di uno Stato ateniese vagheggiato nostalgicamente, la cui fisionomia politica emerge con nettezza, specie con l’agone con l’araldo tebano: uno stato democratico, in netta opposizione al regime assolutistico tirannico, che garantisca la libertà di parola e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e che non ceda alle lusinghe dei demagoghi, esponenti di masse oltranziste miranti a turbare, a proprio vantaggio, l’equilibrio sociale che solo la classe media è invece in grado di mantenere.

Contro la guerra non sorretta dall’ideale di giustizia ma che solo mira all’asservimento dei più deboli, si leva il proclama euripideo a favore della pace: questa consente il tranquillo svolgimento della vita associata, stimola le attività artistiche, garantisce il benessere economico.

Al di sopra delle vicende umane, con i dolori, le ansie, le speranze, si intravede il mondo divino, qui, come altrove nel teatro euripideo, cercato, desiderato per le soluzioni e le certezze che sembra garantire, più che conquistato con la certezza della fede.

L’anelito verso il trascendente resta insoddisfatto, anzi più volte si insiste sulla mutevolezza del demone capriccioso che gioca con la sorte umana; e alla fine, la comparsa di Atena che sancisce un patto di alleanza tra le città pone irrimediabilmente la divinità su un piano esclusivo di immanenza, a segnare l’inesorabile solitudine dell’umanesimo euripideo.

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