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Sulla memoria storico-reale della seconda guerra mondiale c’è tanto da dire. Nonostante i programmi di approfondimento e le tv tematiche, per le quali la storia da raccontare sembra essere solo quella dal 1939 al 1945, l’unica prospettiva che ci viene regalata è quella dei vincitori, ovvero di coloro che ergendosi a portatori di valori quali giustizia, democrazia e libertà credono di agire nel giusto. E’ vero che la storia la fanno i vincitori, ma quando questi utilizzano gli stessi modi e mezzi di quei “vinti” che fino al giorno prima li tenevano sotto scacco, quando sono mossi dagli stessi sentimenti: rivincita e voglia di rivalsa, la ragione dove sta? Nel mezzo, come direbbe il caro Orazio, ed è forse ora che la storia e i suoi non addetti ai lavori acquistino questo tipo di prospettiva. Nessuno vuole negare la follia dell’ideologia nazista, ma quella che è stata la dolorosa e traumatica esperienza bellica degli ebrei non lo è stata per il resto d’Europa. La popolazione europea, infatti, all’indomani della Liberazione, scattò sì in moti d’orgoglio, creando i movimenti di resistenza, ma si trattò di ribellioni spontanee, nate dalla voglia di riscatto contro le costrizioni e la crudeltà tedesca. Di politico e ideale questi moti avevano ben poco. Le vittime si trasformeranno in carnefici. Cambieranno i soggetti, ma non i modi, il vocabolario e i sentimenti. Libri come Il dolore di Marguerite Duras, edito da Feltrinelli, quindi, sono un ottimo strumento per recuperare quella memoria storico-reale che è stata risucchiata dall’ufficialità della storia. Nel Dolore, opera giovanile della Duras, la scrittrice con un linguaggio scarno, estremamente semplice, a tratti ripetitivo, ci restituisce lo sgomento, la fame di vendetta e l’ebbrezza di quei giorni.Leggere Il dolore è come entrare nei ricordi della giovane Marguerite, attivista della resistenza e moglie in attesa del ritorno del marito da un campo di concentramento. La mente della giovane Marguerite è totalmente offuscata da un dolore sordo, cieco e crudele. Tutto è confuso: le immagini della Parigi post assedio, il ricordo dei suoi compagni, le lunghe ore di attesa nelle caserme o alla finestra di casa, sono sfocate e trattenute con forza dall’oblio del passato. Tutto quello che la giovane Marguerite ci riporta attraverso le pagine del suo diario è pura irrazionalità. La ferocia e la brutalità di Marguerite e dei suoi compagni si avventa contro i nemici, contro coloro che li hanno tenuti sotto scacco. I nemici vengono umiliati, derisi. Vi ci si avventano contro senza pietà, in modo brutale e irrazionale. Ma la brutale e irrazionale ferocia questi neo vincitori la rivolgono anche contro se stessi. Quel grande dolore che attraversò l’Europa dopo la scoperta dell’orrore nazista non venne sublimato dalla grande coscienza collettiva, ma venne interiorizzato e quel fardello trasformò molte vittime in feroci e crudeli carnefici, verso gli altri e se stessi. La voglia di rivalsa e la vendetta avrà, paradossalmente, più importanza del ritorno di un caro. La voglia di dimenticare li porterà a volgere la testa di fronte a un reduce, a un prigioniero, o a un familiare sopravvissuto all’orrore dei campi di concentramento. Non vedere, non sentire, dimenticare e vendicarsi. Solo coloro che, a contatto con la fredda ferocia dei gerarchi nazisti, avranno fatto di tutto per conservare un briciolo della loro umanità come ultima difesa a una morte certa, avranno voglia di raccontare, di non dimenticare. Leggendo il libro il lettore proverà un fortissimo senso di pietas sia verso i vincitori, che verso i vinti, ma soprattutto proverà un dolore sordo e intenso. Il dolore è una lettura crudele, che ci mette di fronte alla verità più amara: non esiste ideologia, fine o causa giuste al punto tale da giustificare atti di violenza. Ogni eroe ha le mani macchiate di sangue, ogni rivoluzionario ha “tagliato le sue teste”, ogni carnefice è stato una vittima.Alla prossimaDiana
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