Filippo Timi -1. Dopo il memorabile Amleto elevato a potenza positiva, il suo Don Giovanni va inaspettatamente in negativo, dimostrandosi una “libera” trasposizione in tono minore, a più riprese insulsa e noiosa. E ci duole dirlo.
Rimaneggiando ampiamente la storia del celebre seduttore consegnatoci da Mozart e Molière, Filippo Timi continua la sua opera di decostruzione e ricostruzione pop ed iperbolica dei grandi classici del teatro. Ma se l’idea che ammantava la sua versione del più cupo eroe shakespeariano rasentava il geniale (Amleto che si stanca di essere e fare l’Amleto!), stavolta punta sul più noto malato di sesso di sempre dimenticandosi però, forse per ansia di prestazione, di dotare di scheletro l’intera drammaturgia, che risulta solo uno sterile e sgangherato susseguirsi di episodi assemblati con la superficialità e la mancanza di logica di un bambino delle elementari. A sketch segue sketch, ma non sempre la risata. Ancor meno l’emozione (nell’Amleto solo la sequenza musicale su Comunque bella di Battisti valeva il prezzo del biglietto). Una fragilità di script implicitamente denunciata dai molteplici inserimenti di nudo (di cui, in modo “velato”, anche quello di Timi) che paiono messi lì come a tappare le falle di un testo, e ancor prima un’idea, fiacchi. Certo va detto che riesce a passare comunque il concetto di una vita vuota e svuotata dai vizi, dalla ricerca continua di frivole emozioni, mali di un’intera umanità in irreversibile declino personificata dal Burlador de Sevilla. Ma la resa scenica non arriva altrettanto efficace, spavalda, dirompente. E proprio Filippo Timi sembra aver voluto giocare di rincorsa, proprio come il suo protagonista, nello scrivere e proporci una nuova piéce “rivoluzionaria” sull’onda del clamoroso successo dell’Amleto, come se volesse “abusare” dello spettatore. Ma il meccanismo stavolta s’inceppa, e non bastano una divertente trovata musicale (anche se ce ne corre da quella su Il mondo è mio di Aladdin…), qualche battutaccia a sfondo sessuale e una scenografia allo stesso tempo acida e kitch, frullata tra il rifugio di Drugo e il dance floor del più truzzo Tony Manero. Vero è che la follia di Amleto troppo si prestava a lasciare libero ma studiato sfogo alla fervida fantasia creativa dell’attore e regista perugino. Ma proprio per questo l’approccio con un “mito” come Don Giovanni meritava una più accorta gestazione.
In conclusione, è sotto gli occhi di tutti come il teatro di oggi necessiti di eccentrici ed eclettici adattamenti teatrali come quelli di Timi, capaci di (r)innovare le scene italiane con intelligenti attacchi alla tradizione. Tuttavia ogni stoccata ha bisogno del giusto tempo d’elaborazione e questa volta Timi ha mancato il bersaglio. Ma il pubblico è lì, ormai fedele più del fido Leporello, e sa aspettare se all’orizzonte può spuntare una nuova perla. Dopo questo passo falso, restiamo in religiosa attesa di un grande e dissacrante ritorno…