Questo post è stato scritto mentre giungeva la notizia. Il giudice Di Censo ha deciso: Berlusconi a giudizio immediato il 6 aprile.
Se mai dovesse esserci un dopo Berlusconi (e prima o poi ci sarà), bisogna capire quali saranno le prospettive per il nostro paese e per la nostra democrazia così sclerotica e ostaggio dei Pubblici Ministeri. Non v’è dubbio in proposito che dire che saremmo letteralmente nella «merda» non è poi così irrealistico o peggio pessimistico. Berlusconi, nel bene e nel male, ha tolto la cappa illiberale dalla quale questa Repubblica, fondata sul cattocomunismo, era oppressa: la cappa della cultura ideologica; del pensare politicamente corretto, perché l’intellighenzia di sinistra imponeva così, occupando a forza e in decenni e decenni di propaganda politica, tutti i settori dello sciibile italiano: dalla letteratura all’arte, fino alla scienza. E tutti i settori della società, dai sindacati all’istruzione.
Berlusconi ha avuto il pregio di rivoluzionare questo paese e di svegliarlo dal torpore comunista in cui era caduto. Ha demolito il mito della falce e martello come ideologia positiva (almeno qui da noi), e, cosa non di poco conto, ha rimesso gli ex-post PCI al posto che spetta loro di diritto: la minoranza politica. Avesse avuto maggiore coraggio e maggiore determinazione, avrebbe avviato anche quella rivoluzione liberale che aveva promesso nel 1994. Non l’ha fatto, e non l’ha fatto un po’ per la sua inerzia intrinseca, e un po’ perché i poteri oligarchici che hanno sempre dominato questo paese, legati al vecchio asse DC-PCI, gliel’hanno impedito per non perdere i privilegi acquisiti in cinquant’anni di democrazia bloccata.
Nel 2011 siamo arrivati agli sgoccioli, o così pare… o così sperano i detrattori del Premier. Il «berlusconismo» – se mai è esistito e se mai rappresenta davvero la libertà (quantomeno del pensiero antisinistra e anticonformista) – sta incontrando i più duri ostacoli che l’oligarchia cattocomunista gli abbia mai frapposto in questi ultimi venti anni. Un’oligarchia che – ricordiamo! – ha scoperto il tallone d’Achille del Premier: le giovani donne. Un tallone che sta sfruttando fino all’osso, mixando giustizia e sesso, in un frullato dell’offensiva partitica-conservatrice, tipica dei paesi sudamericani. E il risultato pare che questa volta ci sia e sia concreto, seppure debbo riconoscere che il Cavaliere è un gatto dalle sette vite. Tante volte è riuscito a risollevarsi.
Eppure, questa volta pare davvero difficile. Molte cose sono cambiate. Sul fronte esterno, al suo fianco non ci sono più Casini e Fini (i quali, anzi, oggi lavorano contro di lui, essendosi svenduti all’avversario). Mentre la Lega… beh, la Lega ha i suoi precisi interessi che si chiamano «Federalismo». Per Bossi – al di là dei proclami di fedeltà ai quali poco credo – non è importante con chi lo fa, è importante farlo, e se l’uomo inizia a pensare che il Federalismo con Silvio non lo può più fare, potrebbe anche riflettere sull’offerta che oggi Bersani gli serve sulla Padania, o su quella che gli ha fatto Fini l’altro ieri dal palco di FLI.
Sul fronte interno, il Cavaliere se non è isolato, è comunque in una posizione difficile anche per i suoi colonnelli. Qualcuno probabilmente sta già pensando al futuro post-cavaliere. I silenzi di Tremonti sulle ultime vicende giudiziarie e i cordoni della borsa chiusi, fanno sospettare un Ministro del Tesoro politicamente tattico che lentamente (ma molto lentamente) si sta smarcando da Berlusconi. E per quanto riguarda gli ex AN, non mi meraviglierei se il loro obiettivo, una volta rinsaldato l’asse La Russa-Gasparri-Alemanno e Matteoli (con l’aggiunta di Meloni), fosse l’abbandono del PDL e la nascita di un nuovo soggetto politico che ricalcasse le orme di AN, laddove le cose si mettessero giudiziariamente male per il Premier. In gioco perciò rimangono gli ex forzisti, o coloro che hanno seguito il Cavaliere fin dalla sua nascita politica, o gli hanno giurato fedeltà (Santanchè). Per loro le prospettive sono diverse, ed è su loro che Berlusconi punta per sopravvivere o rigenerarsi.
Quel che è certo, è che se il Cavaliere non dovesse lasciare la politica naturalmente (perché la sua carica si è esaurita), il rischio che l’Italia ripiombi nel buio culturale e politico e nel meccanismo di una democrazia bloccata esiste ed è concreto. Del resto è l’aspirazione di chi vuole oggi togliere di mezzo Berlusconi con ogni mezzo disponibile offerto dalla resistenza oligarchica e di potere. Sbaragliare la destra riformatrice, per installare nelle istituzioni la sinistra conservatrice: quella che preserva gli antichi assetti di potere governo-parlamento-sindacati; quella che utilizza la scuola ideologicamente come fonte di voti e di consenso; quella che in altre parole, usa lo Stato per riaffermare la propria egemonia culturale e politica nella società, comprimendo abilmente le libertà individuali dentro il gioco del «politicamente corretto» che esclude dal confronto qualsiasi idea non conforme ai valori e ai principi della sinistra di potere.
Ecco, questa è la prospettiva per il nostro paese, se la fine politica di Berlusconi dovesse passare attraverso il filtro giudiziario. Rimarrebbe in piedi l’originale progetto che diede il via a Tangentopoli: la cancellazione della politica italiana a destra, e la nascita di una maggioranza posticcia a sinistra, in grado di garantire i privilegi acquisiti e uno Stato sociale sprecone, inefficiente, ma nel contempo in grado di soddisfare le esigenze dei poteri oligarchici occulti e non occulti, istituzionali e non istituzionali.