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Il dossier de "La Stampa" sull'ultima cura miracolosa del Prof. Vannoni

Creato il 21 dicembre 2013 da Tafanus

Il Professor Davide Vannoni

Davide-vannoni-stamina

...fine della telenovela dell'ultimo "guaritore?...

Manifestazione-pro-stamina

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“Stamina, nessun malato migliora” (di Paolo Russo)

Le cartelle esaminate dagli esperti all’ospedale di Brescia rivelano  anche un decesso sospetto   «Paziente pediatrico Cm2, affetto da Sma 1, 6 infusioni effettuate, nessuna variazione». Se le carte fino ad oggi riportate gettavano ombre inquietanti queste sembrano mettere la parola fine alla vicenda Stamina.  

Sono le famose 36 cartelle cliniche dei pazienti trattati con il «metodo Vannoni» agli Spedali Civili di Brescia. Alle quali si aggiunge un inquietante scambio di mail tra la Stamina Foundation e il Professor Camillo Ricordi dell’Università di Miami, esperto di trapianti cellulari. Le prime dicono che nessun malato trattato con Stamina è migliorato. Anzi, c’è anche il decesso sospetto di un malato di atrofia multisistemica, patologia simile al Parkinson che solitamente non determina rischio di morte repentina. Le mail rivelano invece che la stessa Stamina non sarebbe certa della natura staminale delle «sue» cellule, che potrebbero invece essere insicure per i malati.

Partiamo dalle 36 cartelle cliniche delle quali siamo venuti in possesso. Quelle che per Davide Vannoni conterrebbero la prova della bontà del suo metodo e che una parte degli esperti del comitato scientifico ha visionato, trovandovi quel che abbiamo letto noi: l’assenza di qualsiasi oggettivo miglioramento delle condizioni dei pazienti.  

Del resto la relazione degli stessi Spedali Civili del 4 dicembre scorso, assolutamente top-secret, parla chiaro: «preme sottolineare che non si ravvisano segni di miglioramento in nessuno dei pazienti, salvo quanto riferito dai genitori nel caso di due bambini e direttamente nel caso di un adulto». Dunque i tre miglioramenti su 36 casi sarebbero frutto solo di impressioni soggettive, non di riscontri clinici.

E qual è il paziente «numero uno» che dichiara di stare meglio? E’ Luca Merlino, pezzo grosso della direzione sanitaria in Regione Lombardia, dal quale ha origine la vicenda, perché sarebbe stato proprio lui a promuovere l’adozione del metodo Vannoni a Brescia. Per completezza di cronaca occorre anche dire che la patologia della quale soffre Merlino non è di quelle che mettano a rischio la vita di una persona.

Nessun miglioramento riscontrabile, ma una assoluta trasandatezza nel compilare le cartelle cliniche è denunciata dalla stessa relazione degli Spedali Civili. «Le caselle "valutazione della terapia" continuano a non essere compilate, non si evince se a causa della non riferita obbligatorietà di compilazione oppure se del fatto che i clinici non ravvisano ancora le condizioni per esprimere un giudizio sia pur momentaneo». Parole che non collimano con quanto a più riprese, davanti a telecamere e taccuini, hanno dichiarato Vannoni e le famiglie dei bambini in trattamento Stamina, sicuri di aver riscontrato miglioramenti sin dalle prime infusioni. Del resto non si capisce come farebbero i medici a esprimere giudizi clinici se, come riferisce sempre la relazione dell’ospedale bresciano, «per alcuni pazienti è stata riportata la data delle nuove infusioni ma non sono stati ancora riportati i risultati delle usuali visite pre-infusione».  

In pratica non si è valutato nemmeno come stava il paziente prima di iniziare il trattamento. E le cose non sono migliorate negli ultimi tempi, visto che, è scritto sempre nella relazione, «non viene riferito in questo ultimo mese l’utilizzo di indagini strumentali per una valutazione prima-dopo, se non in alcuni casi, i filmati dei genitori». Una verifica «formato video tape» che è quanto di più distante possa esistere dai metodi sperimentali in uso non solo nei Paesi avanzati.

La relazione termina poi come era iniziata e sulla falsa riga di quelle che l’hanno preceduta: «purtroppo come già riferito non si evincono dai dati ricevuti miglioramenti oggettivamente obiettivabili». Seguono tabelle sulle patologie trattate: sei pazienti sono affetti da Parkinson, malattia quasi cronicizzata dalle terapie di quella scienza ufficiale divenuta «maligna» per un corto circuito mediatico-giudiziario che forse solo nel nostro Paese poteva verificarsi.

(Paolo Russo)

Cura poco miracolosa (Fonte: Eugenia Tognotti - La Stampa)

Non che sorprenda, in verità, ciò che sta emergendo in queste ore sulla formula Stamina, uscita finalmente da un cono d’ombra. Non solo non ci sono evidenze che la terapia funzioni, come si era sempre sospettato. Ma la sua somministrazione potrebbe perfino essere pericolosa e aprire la strada al rischio di trasmissione di malattie infettive, compresa l’Hiv, in assenza di controlli delle cellule dal donatore. O, ancora, alla contaminazione del morbo della «mucca pazza», la variante umana dell’encefalopatia spongiforme bovina, che deve il suo nome ai danni devastanti che produce sul cervello.  
E ora? Davanti ai fatti emersi in queste ore, c’è da chiedersi se si potrà continuare a chiamarle «compassionevoli» quelle cure, ammesse in mancanza di alternative e al di fuori del normale iter di sperimentazione. Non solo non arrestano e non fanno regredire patologie come le sindromi neurodegenerative infantili, ma il metodo Vannoni non assicura nemmeno che non si traduca in un aggravamento del male o presenti altri pericoli. Tra polemiche, vicende giudiziarie, manifestazioni di piazza, il caso Stamina – che ha attirato più volte l’attenzione della comunità scientifica internazionale sull’Italia, espresse, qualche giorno fa, in un duro editoriale di «Nature» - si guadagna un posto tutto speciale nella storia infinita, antica come la malattia, della ricerca di cure miracolose, in ogni tempo e in ogni epoca, di fronte al fallimento dei trattamenti convenzionali. Basta pensare al cancro, agli innumerevoli metodi messi in campo, che promettevano di guarire, con la stessa cura tutte le neoplasie. Ma, naturalmente, i guaritori e i dispensatori di cure del passato non avevano la capacità di mobilitazione di quelli del nostro tempo. La tremenda angoscia di coloro che hanno bambini, piccoli e piccolissimi, è un’arma potentissima.
Quei malati e i loro familiari, trafitti dal dolore, che, questi giorni, tumultuano davanti ai palazzi del potere, contro la politica e la medicina ufficiale, affidando la propria esistenza malata al metodo Stamina, si sentono all’ultima spiaggia, e non vogliono essere defraudati della speranza. Per uscire dal circolo vizioso in cui è entrato «il caso Stamina» occorrerebbe un cambio di passo e una precisa distribuzione dei ruoli. Non fanno il bene dei bambini malati i giudici che autorizzano l’uso in un paziente di cellule provenienti da altri senza considerare il pericolo di rigetto. Non fanno il bene alla scienza i politici che agiscono sotto la pressione della piazza, forte come non mai, anche in nome della libertà di cura. Pressione che porta a passare direttamente dal laboratorio ai pazienti, saltando pericolosamente la fase della sperimentazione clinica, e contro il metodo scientifico, che si basa su ipotesi che devono essere validate o falsificate, con esperimenti riproducibili. Non ci sono scorciatoie per una medicina fondata su basi etiche. Eppure, le lezioni del passato dovrebbero aver insegnato qualcosa circa le cure prive di una documentata efficacia terapeutica. Non si può pensare di tornare indietro rispetto alle conquiste della Medicina basata sull’evidenza, che ha imposto la necessità di sviluppare metodi limpidi per una ricerca scientifica in grado di assicurare risultati sempre migliori, a vantaggio dei malati e dei sani, dei politici, dei ricercatori e dei medici. Senza queste basi, la ricerca fallisce nello scopo di aiutare i malati ed i medici che devono fare tutto il possibile per alimentare la speranza, ma non pericolose illusioni.

(Eugenia Tognotti)


Lo specchio di un paese fragile (Fonte: Giovanni Orsina - La Stampa)
Il caso Stamina – osservato qui da un punto di vista non tecnico ma, in senso lato, politico – pare contenere in sé svariati elementi indicativi dello stato di avanzato disfacimento della nostra vita pubblica. Mostra per l’ennesima volta quanta ragione avesse Ennio Flaiano quando scriveva, sconsolato, che in Italia, «paese che amo, non esiste semplicemente la verità» – che se «paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni». Anzi: mostra che da quando Flaiano l’ha formulata quarant’anni fa, questa riflessione è diventata, ahinoi, ancor più vera.
La vicenda Stamina può essere considerata emblematica. In primo luogo, del modo caotico, urlato e prepotente – e in definitiva autolesionistico – nel quale ormai da decenni, ma da ultimo sempre più spesso, le esigenze di questo o quel gruppo vengono imposte all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Certo, qui stiamo parlando di un caso limite, di persone e famiglie disperate che nel metodo vedono la loro unica e ultima possibilità di salvezza. Quelle persone e famiglie, nondimeno, hanno contribuito anch’esse allo sconcerto crescente di un’Italia preoccupata, avvilita e in crisi d’autostima più del solito – un’Italia che ogni mattina si ritrova in piazza un ricatto morale in più: un nuovo diritto sacrosanto, una nuova esigenza imprescindibile, una nuova esasperazione incontenibile. E in questo caso, per altro, un ricatto fondato sulla malattia, la disabilità e la morte. Perciò moralmente irresistibile, forse più scusabile, ma anche, nella sua violenza, meno tollerabile – come ha ben scritto l’altroieri Franco Bomprezzi sul blog «inVisibili» del Corriere della Sera, che da tempo riflette con acume e pacatezza proprio sul problema della «visibilità» dei disabili, dei loro bisogni e dei loro diritti. 
Il secondo aspetto della nostra vita pubblica che la vicenda di Stamina evidenzia – tutt’altro che disconnesso dal primo, per altro – è la profondissima crisi di fiducia nei confronti non soltanto delle istituzioni ma pure del sapere tecnico, soprattutto (non soltanto) quando anch’esso proviene dall’interno delle istituzioni. Alla luce di questa diffidenza radicata la lentezza e prudenza del ministero, invece di apparire il frutto necessario della complessità del caso, dell’impossibilità di comprimere i tempi di sperimentazione, dell’esigenza sacrosanta di rispettare protocolli internazionali consolidati, sono immediatamente diventate agli occhi di una larga parte del Paese una conseguenza nel migliore dei casi della sordità e del disinteresse del «Palazzo», nel peggiore della sua subordinazione a interessi occulti e inconfessabili. Là dove invece, stando alle informazioni assai negative che sono uscite sul metodo Stamina da ultimo, ma che nelle istituzioni a quel che sembra erano note da mesi, pare lecito concludere piuttosto che il «Palazzo», se in questo caso ha sbagliato, lo ha fatto non perché ha dato troppo poco ascolto alla «gente», ma al contrario perché gliene ha dato fin troppo. Come di consueto, inoltre, la diffidenza è stata potentemente alimentata dai media – nell’occasione, da un giornalismo televisivo d’inchiesta superficiale e non equilibrato. 
La vicenda Stamina è emblematica dello stato della nostra vita pubblica, infine, perché anche in questo caso il percorso è stato complicato dall’intervento della magistratura. Secondo la quale la commissione di esperti nominata dal ministero, avendo i suoi componenti pubblicamente criticato il metodo, non dava sufficienti garanzie di imparzialità.

Il tribunale amministrativo ha argomentato la sua decisione sostenendo che la valutazione della commissione dovesse essere al di sopra di ogni sospetto, ossia pretendendo un sovrappiù di fiducia. Nell’immediato, però, ha contribuito piuttosto ad alimentare la diffidenza verso le istituzioni pubbliche e i tecnici che si mettono al loro servizio. Tanto più che, considerate le molte polemiche che hanno circondato il caso Stamina, non solo in Italia, e l’orientamento prevalente degli studiosi, non sarà facile trovare degli esperti di rilievo che non si siano espressi contro il metodo. E tanto più che siamo pur sempre nel Paese dell’assurda condanna inflitta agli scienziati della commissione grandi rischi per non aver previsto il terremoto dell’Aquila.
Perfino nella Penisola, col tempo e un po’ di fortuna, le molte verità di Flaiano talvolta riescono a convergere in una verità unica. Sembra che sul caso Stamina questo traguardo non sia poi troppo lontano, e speriamo che ci si arrivi quanto prima. L’intera vicenda resta però esemplare della fragilità delle nostre istituzioni e della diffidenza che le circonda. Diffidenza non del tutto ingiustificata, certo. Eccessiva, però. E controproducente.
(Giovanni Orsina)


Tafanus
Non volevo rovinare il Natale e la Speranza a nessuno, ma non ho dimenticato le speranze alimentate dai Di Bella, le manifestazioni romane pro Di Bella capeggiate dai post-fascisti , le sentenze di un magistrato pugliese che con sprezzo del ridicolo "ordinava" la somministrazione della Cura Di Bella, nonostante non ci fosse alcuna evidenza del suo funzionamento. Anzi. Le uniche evidenze parlavano di peggioramenti per l'abbandono delle terapie tradizionali, per inseguire il Sogno.

Ma almeno in quel caso c'erano dietro un medico e un... veterinario. In questo caso c'è dietro  un professore di materie umanistiche, e un funzionario della Regione Lombardia (unico adulto "dichiarante" miglioramenti: dichiarazioni sospettabili di non parzialità, visto che questo funzionario è lo stesso che ha fortemente voluto che gli Ospedali di Brescia somministrassero la "cura").

Auguro a tutti i malati e ai loro familiari un Natale non dico felice, ma il più sereno possinile, e spero che abbandonino il comprensibile sogno della cura miracolosa. La scienza la fanno gli scienziati, non i professori di filosofia. Credere ai miracolieri non aiuta la scienza, e spesso spinge i pazienti ad abbandonare cure non certo miracolose, ma di efficacica (poca o tanta) clinicamente certificata.

Un abbraccio a tutti. Tafanus


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