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Il falsi numeri nel Pd: Matteo Renzi non fa sondaggi, ma "esondazioni"...

Creato il 11 novembre 2013 da Tafanus
Il falsi numeri nel Pd: Matteo Renzi non fa sondaggi, ma

Un sondaggio parziale che sembra la realtà - A guardare la tv e a leggere i giornali, più che un sondaggio sembra un mantra: “Renzi 65% Cuperlo 19% Civati 13% Pittella 3%”. Cifre identiche a se stesse da oltre un mese, qualsiasi cosa accada e qualsiasi iniziativa prendano, o errori commettano, i vari candidati alle primarie del PD. Sembra così vero che ormai ci crediamo tutti, lo consideriamo un dato acclarato e scontato.

E come tutti i dati scontati, il vero rischio è che accada per davvero, riducendo sia la partecipazione al voto delle primarie sia la convinzione dei tanti militanti di poter fare una campagna vera e autentica sui contenuti.

Il secondo rischio è che si ripeta un po’ quella strana cosa che avvenne nel 2000 in Florida, per cui l’assegnazione da parte della Fox dello stato a Bush annullò di fatto il voto vero, che avrebbe scritto una storia differente; lo hanno attestato i tanti riconteggi e lo ha confermato il fatto che il direttore delle news della Fox in Florida era (casualmente) il cugino di George W.

Allora io, che non mi faccio mai i fattacci miei, sono andato a ripescarmi la fonte di questo sondaggio. Risale a oltre un mese fa, e riguarda l’orientamento di voto addirittura prima che si sciogliesse il nodo delle regole e delle date del congresso. Peccato però che in quei dati – che all’epoca erano reali oltre che realistici – c’era molto altro.

In quel sondaggio ad esempio c’era scritto che quella proiezione (Renzi 65% Cuperlo 19% Civati 13% Pittella 3%) era calcolata solo sul 22% degli intervistati. E già questo dato deve fare riflettere: 1 elettore del centrosinistra su 5 aveva espresso quel gradimento… e gli altri 4?

I numeri sono molto interessanti. Il 25% – ovvero 1 su 4 – non sapeva nemmeno se sarebbe andato a votare alle primarie (se e quando ci sarebbero state). Il 24% di quel campione – ovvero un altro elettore su 4 – ha dichiarato di essere certo che si sarebbe recato a votare alle primarie ma di non sapere ancora per chi. Il dato poi più interessante è che il 14% di quel campione – ripeto, intervistato nelle prime due settimane di settembre – dichiarava chiaramente che “la sua scelta sarebbe dipesa dal web e dagli amici, perché giornali e televisioni sono chiaramente schierati”.

Perché il web pesa così tanto? - I recenti dati del Censis (giugno 2013) dicono che i social media possono condizionare direttamente il comportamento di voto di una quota molto limitata di italiani, circa il 7%. C’è un 43% (+25% in quattro anni) che dichiara che la sua socializzazione politica, cioè il reperimento delle informazioni utili a prendere una decisione elettorale, è determinata dalle relazioni con i “pari”, ossia parenti, amici e conoscenti.

Il web pesa circa il 7% dei voti. Questo in uno scenario normale. In uno scenario mediamente orientato sull’antipolitica il web sale, perché la sua forma di comunicazione raggiunge con forza quelle fasce orientate “a non leggere i giornali o guardare la tv”, visti come strumento precondizionato e preorientato.
Orientativamente parliamo di un 12% reale, misurato per difetto.

Ma c’è di più. In elezioni “di parte” – come possono essere primarie aperte, campagne tematiche referendarie, consultazioni locali – il web pesa di suo il doppio della quota elettorale generale. Si va quindi da una capacità di orientare (per difetto) il 12% dell’elettorato a una quota (per difetto) del 25%. Questa forbice è così ampia perché normalmente a questo tipo di consultazioni partecipa maggiormente la parte più informatizzata e attiva della popolazione – fascia 18-50 anni – mentre nelle consultazioni elettorali la fascia più attiva è quella 25-60 anni.

Inoltre la fascia più giovane è tendenzialmente quella più ricca di attivisti, che non solo alimentano la partecipazione e la polarizzazione, ma sono anche quelli più capaci di aggregare e organizzare un proprio gruppo di opinione.

Verso il voto del 17 novembre - Con le dinamiche congressuali locali si sta assistendo ad un accaparramento di piccole vittorie da parte dei due maggiori candidati, Renzi e Cuperlo. Se da una parte Renzi dichiara che “il voto che conta è quello popolare dell’8 dicembre”, contraddicendo questa linea “insegue” nella formulazione di dati parziali ed approssimativi per cercare di arginare una sconfitta nel voto “tra gli iscritti”. Ogni giorno assistiamo a nuove somme algebriche di improbabili accostamenti tra Comuni che vedono l’uno in testa all’altro con svariati punti percentuali.

Se contasse solo il voto dell’8 dicembre, perché questa bagarre? Perché chiunque vinca sa bene che un partito non lo si governa e – speriamo tutti – ammoderna “dal vertice”, ma con il contributo fattivo di tutte le esperienze territoriali.

La proiezione – al momento – è che 2 segretari provinciali su 3 siano con Cuperlo, ovvero hanno dichiarato prima e dopo la loro elezione di riconoscersi in quella proposta di segreteria. C’è da dire che spesso sia i candidati esplicitamente con Renzi che quelli esplicitamente con Cuperlo hanno beneficiato dell’appoggio degli elettori di Pittella e Civati che hanno preferito candidature unitarie ad alternative proprie – questo per dire che sarebbe assolutamente sbagliato considerare ad esempio Civati (che ha vaste aree di consenso trasversale) fuori dal partito o dalla partita.

Ma la vera ragione di questo inseguimento da parte di Renzi (che se davvero fosse favorito, perché dovrebbe rincorrere?) sta nel fatto che sa bene che un risultato per lui deludente all’interno del partito il 17 – quando tutti i circoli voteranno i segretari tra gli iscritti – sarebbe un duro colpo all’effetto immagine di leader indiscusso e del suo risultato “già scritto”. Un risultato utile forte per altri candidati potrebbe finalmente “smuovere” le carte in tavola, dando fiducia a chi si dovesse considerare perdente o seminando dubbi tra chi si considera già con la vittoria in tasca.

Cosa peserà sul voto dell’8 dicembre - La sfida – per tutti – è quella dell’8 dicembre. Lontane le possibilità che si ripeta un’affluenza come quella di un anno fa che ha superato i tre milioni di partecipanti, si punta – ed è un risultato utile e nell’interesse di tutto il partito democratico e di chiunque ne diverrà segretario – almeno ai due milioni. La forbice è apertissima al di là dei sondaggi.
Ci sono ancora un 1 elettore su quattro da convincere ad andare a votare e 1 altro elettore su quattro cui far scegliere il migliore candidato possibile – è bene ricordarlo – per la segreteria e la guida del partito (non si sta scegliendo il più accattivante, il migliore a parlare in pubblico, e nemmeno il candidato premier).
Il 14% di questi elettori non sceglierà grazie a trasmissioni televisive, a dibattiti, a interviste sui giornali, ma prevalentemente tramite il confronto con amici, familiari, web, gruppi di discussione, blog e social network.

Chi vincerà quindi sarà colui che – comunque vada – in queste settimane avrà attuato la migliore comunicazione diretta, sul web, attraverso l’incontro diretto con gli elettori, mettendoci la faccia e la persona, e forse anche mettendo un po’ da parte gli slogan.

Del resto, nella tradizione storica dei grandi partiti di massa, anche quando internet non esisteva, i segretari di partito, voluti e amati, erano quelli che avevano anche il miglior rapporto con “il proprio popolo” – e forse questo è un valore da riscoprire.

Postilla – La psicosi dei numeri sul web - La psicosi dei numeri sul web riguarda il pd, oggi, perché il partito democratico è l’unico che fa primarie. Riguarda tutti i politici, indistintamente, e ancor più se possibile quelli “leaderistici”, come pdl e m5s.

L’idea che nel web contino i numeri – intesi come follower o fan – e non la vitalità, la partecipazione, l’interazione.

L’idea che un leader debba avere “necessariamente” migliaia su migliaia di follower e che questo in sé significhi avere anche seguito, consenso, credibilità.
Un’idea creata spesso dagli spin doctor della “politica fallica”, cresciuti nelle varie guerriglie digitali, convinti che “quel mondo” sia anche “il mondo”. Se poi approfondiamo, quelle decine e centinaia di migliaia di follower su twitter, sono botnet e fake comprati a pochi euro per fare numero. Poi si scopre che dietro queste gran cifre c’è il nulla, e politicamente la cosa ti si ritorce contro come un boomerang. È il caso di Grillo e di Renzi, che non arrivano al 10% di follower reali vivi e attivi. Ma sono solo la punta dell’iceberg di una lunga lista che di certo non brilla per autenticità.

Non sono da meno le pagine fan cresciute in pochi mesi a dismisura, spesso spendendo cifre enormi che accrescono solo il valore (per facebook) di chi si incarica di acquistarli con le inserzioni sponsorizzate (spesso le agenzie di comunicazione): la domanda è “che te ne fai di tanti seguaci se poi le interazioni non esitono”?

CLAMOROSO! - Nel caso di twitter, in casa pd questa è la classifica – dal migliore al “peggiore”:

  • Cuperlo: 8% di fake, 42% di utenti non attivi nell’ultimo mese e il 50% di follower reali e attivi
  • Civati: 24% di fake, 51% di utenti non attivi nell’ultimo mese e il 25% di follower reali e attivi
  • Renzi: 44%% di fake, 47% di utenti non attivi nell’ultimo mese e il 9% di follower reali e attivi

Se esaminiamo i dati delle pagine Facebook dei candidati abbiamo lo stesso posizionamento:

  • Cuperlo – con 24mila fan dichiarati è il “migliore” con circa 12mila fan attivi
  • Civati – con 47mila fan dichiarati è nel mezzo e sulla media con circa 10mila fan attivi
  • Renzi – con 481mila fan dichiarati è il “peggiore” di tutti con circa 18mila fan attivi

Come detto prima, è vero, il web conta, ed ha una forte capacità di spostare consensi e organizzare le persone. Nondimeno la tendenza è considerare che “la rete” sia quell’insieme ristretto di gruppi e contatti e blog che leggiamo e frequentiamo noi, trascurando tutto il resto, che invece è più vivo, e forse più vero, dei vari micromondi. Proprio per questo sarebbe bene non fermarsi al proprio orticello, uscire, leggere, capire, semmai anche ascoltare e interloquire, e non lasciarsi trasportare dalla psicosi – spesso maniacale – dei grandi numeri che in molti casi coprono un gran vuoto.

Convincere o auto convincersi che i follower o i fan della “piazza virtuale” siano in sé reali e si traducano in voti, è come quando nella “piazza analogica” si diceva “piazze piene urne vuote”.

Questo vale oggi in questa competizione per le primarie del partito democratico, vale domani e sempre per la partecipazione democratica nella democrazia reale, anche nell’era digitale.

(Fonte: Michele Di Salvo - l'Unità)  (Ringrazio maria per la segnalazione)

A questo punto, vale forse la pena di confrontare il sondaggino online del Tafanus al superamento dei 1000 rispondenti, con quello di oggi (superati i 1400 rispondenti). Le cifre in percentuale si sono ovviamente abbastanza stabilizzate, ma estrapolando non noiose operazioni i dati dei primi 1000 votanti con quelli degli ultimi 400, qualche indicazione interessante emerge...

Sondaggio-1000-1400

Vediamo l'evoluzione dell'ultimo mese (cioè fra i primi 1008 voti e i 1400 di oggi, per differenza):

VOTAVANO PD, MA PASSANO AD altri di CSX:

  • Erano il 49,6% nella prima tranche (di 1002 risposte)
  • Sono scesi al 48,9% nella seconda tranche (di 392 risposte)

VOTAVANO PD, E CONTINUANO A VOTARE PD:

  • Erano il 34,5% nella prima tranche
  • Sono scesi  al 31,6% nella seconda tranche

VOTAVANO PD MA PASSANO A CDX, M5S, ASTENSIONE:

  • Erano il 5,9% nella prima tranche
  • Passano al 6,7% nella seconda tranche

VOTAVANO CDX, M5S, SI ASTENEVANO, E PASSANO AL PD:

  • Erano il 3,7% nella prima tranche
  • Passano al 4,1% nella seconda tranche

Ad occhio, non mi sembra un grande apporto, quello del renzismo (almeno nel sub-campione fatto prevalentemente di simpatizzanti di CSX che frequentano questo blog). Sui singoli parametri, ognuno faccia le proprie considerazioni.

Tafanus


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