Sergio, giovane netturbino gay tendente alla perversione, conduce la sua esistenza tra cassonetti dell’immondizia da svuotare, “dialoghi” con il suo cane e freddi rapporti occasionali. Di notte però il ragazzo si trasforma, diviene il fantasma vestito d’una tuta in latex nera, che si aggira per le strade di Lisbona cercando di soddisfare i suoi istinti più trasgressivi.
O fantasma (2000), primo lungometraggio del regista portoghese João Pedro Rodrigues, fu presentato al Festival di Venezia di quell’anno creando il classico scandalo. Ad indispettire furono scene di sesso orale tra due uomini, masturbazioni nature, e più in generale una visione del sesso fortemente deviata.
Rodrigues, recidivo poiché prima di questo film aveva girato un corto intitolato Parabens! (1998) che anch’esso affrontava il tema dell’omosessualità, costruisce un’opera scarna, priva di musica, e non parlo solo di una colonna sonora, ma anche e soprattutto di un’armonia interna, della consequenzialità e causalità degli eventi. Sebbene vi sia una traccia che permette al film di non perdersi totalmente (mi riferisco a: stato iniziale di Sergio –> incontro col ragazzo –> “innamoramento” e pretesa dell’oggetto sessuale), la fabula, ossia la descrizione degli eventi secondo la loro naturale successione e il sjuzhet, ovvero l’intricarsi e il rimescolarsi di tali eventi, si confondono terribilmente. Il fantasma è un film sconnesso in cui il regista gioca a fare l’Autore senza riuscirci; non basta una messinscena cupa ed uno stile laconico che va quasi contro l’idea di bello per ottenere l’effetto contrario, ossia per farsi piacere. Mi pare un po’ il discorso che avevo fatto con Battaglia nel cielo (2005): per cercare di rendere più accattivante una storia gli è stata data una forma naif che non giova alla metabolizzazione della pellicola. Anche se rispetto a Reygadas che aveva utilizzato un’estetica soporifera, Rodrigues si avvale di uno stile leggermente più accattivante, meno realistico e più metafisico.
Di positivo mi piace evidenziare il taglio con cui è stato trattato l’argomento sesso. È un taglio morboso e impulsivo che ben rappresenta la carica istintuale del protagonista. Certo, c’è un calippo in primo piano non semplice da giustificare, eppure trovo molto più gratuite perché immotivate, perché dozzinali, le avventure erotiche dei ragazzini di Ken Park (2002).
Il finale, forse rivalutabile ad una seconda visione, è il crollo aberrante di Sergio che non riuscendo più a sottrarsi ai suoi fantasmi, diviene uno di loro, anche di giorno, arrendendosi all’istinto. Ma il regista ci aveva già lanciato qualche segnale in precedenza con gli approcci del ragazzo all’amplesso che sembravano più animaleschi che umani.
Il fantasma non può di certo essere un film inseribile nella cerchia dei consigliati, ma se proprio dovessi fare una cernita di quelli sconsigliati, questo potrebbe rientrarci.