La foto del “fantasma” napoletano non è un equivoco: è un falso fabbricato intenzionalmente
Non si tratta della solita forma sfocata che il cervello interpreta erroneamente come se fosse la sagoma di una bambina: nella foto del “fantasma” del Museo Archeologico di Napoli di cui si parla tanto in questi giorni c’è di mezzo una falsificazione intenzionale.
La paternità della foto è stata attribuita dal Mattino a un “uomo del ministero, inizialmente scettico”. ANSA ha pubblicato la foto e ne ha identificato l’autore: “l’architetto Oreste Albarano, nominato dal ministero per i Beni Culturali come responsabile dei lavori al Museo. Lui, ai fantasmi, dice di non credere. Dopo le sollecitazioni di alcuni operai, si e’ recato personalmente al Museo. Ha fatto alcune foto con il suo cellulare e, da qui, la ‘sorpresa’: sullo sfondo la sagoma di una bimba che, secondo quanto e’ stato accertato, non e’ la figlia di nessuno degli operai”.
Anche Repubblica cita l’attribuzione della fotografia e nota che Albarano ha “chiamato un’equipe di esperti del soprannaturale, tra i quali docenti universitari”. Ma la direttrice del Museo, Valeria Sampaolo, smentisce questa chiamata ai Ghostbuster, stando al Corriere e ad ADNKronos (agenzia citata da Leggo). Per il Corriere, tra gli operai del cantiere del Museo ci sarebbe addirittura il “panico” a causa del fantasma.
Ma Gianluca Nicoletti, su La Stampa, fa notare che foto del genere si fabbricano dagli albori della fotografia e che oggi esistono addirittura delle applicazioni apposite per telefonini, come Ghost Capture. E guarda caso, nel repertorio di “spettri” preconfezionati di Ghost Capture c’è una bambina la cui immagine richiama sorprendentemente quella nella foto attribuita ad Albarano.
Alla stessa conclusione è arrivato il fototecnico Paolo Bertotti di PhotoBuster, che ho intervistato via mail.
“È stata clonata due volte la stessa sagoma” mi scrive Bertotti, “uno dei punti in comune tra la sagoma della foto di Napoli e quella del software dell’iPhone ad esempio è la corda che pende utilizzata come cintura… il particolare della sfera alla fine della corda si nota anche sulla foto schiarita estremamente.”
Paolo mi ha inviato una dimostrazione eloquentissima: a sinistra l’immagine del “fantasma” presa direttamente dal software Ghost Capture, al centro la versione trasformata e degradata a causa della compressione JPEG (Ghost Capture, precisa Paolo, lavora a bassa risoluzione se non si compra la versione a pagamento), e a destra l’immagine di Napoli.
Secondo Paolo, è molto probabile che l’immagine del “fantasma” sia stata ritoccata usando lo strumento “clone” di Photoshop o simile, perché sulla sinistra dell’immagine della bambina si notano delle ripetizioni di pixel sul particolare della gonna, che è ripetuto lateralmente a sinistra della figura principale. Inoltre a suo avviso nei vari passaggi prima di arrivare alla pubblicazione la fotografia è stata ingrandita e rielaborata più volte, come indicano gli artefatti di compressione ampiamente visibili.
Guardando la fotografia mi è venuto il dubbio che anche i suoi colori originali siano stati alterati: sono decisamente scadenti persino per la fotocamera di un telefonino. Paolo Bertotti conferma: “la foto ha subito dei ribilanciamenti su toni, colori e fattori di contrasto, che hanno colpito principalmente le zone più chiare dell’immagine”.
La mia ipotesi iniziale di una pareidolia (oggetto realmente esistente sul posto, che il nostro cervello interpreta come una figura umana) non trova concorde il fototecnico: “Può darsi, ma stavolta improbabile: troppi particolari, le pieghe della gonna, la definizione dei contorni, e altri piccoli elementi fanno capire che stavolta NON è pareidolia (la corrispondenza dei particolari con l’immagine da me scattata è veramente alta: il particolare della cintura ad esempio è identico all’esempio che ti ho inviato, un altro particolare è il colore leggermente diverso della presenza rispetto allo sfondo, infatti c’è meno dominante gialla sulla sagoma che nel resto della foto.)”
Gli ho chiesto se si può trattare di un fotomontaggio realizzabile usando un telefonino, senza richiedere attrezzatura più sofisticata: “Certo che è possibile, anzi è certo [...] Probabilmente la foto è stata dapprima scattata con il software appena citato e poi riprocessata con altri software (ad esempio PS Express e PEStudio, sempre per iPhone) per variarne colori, saturazione e contrasto. Almeno tre interventi sono stati eseguiti sulla fotografia dallo scatto, ma è inquantificabile realmente in quanto non siamo in possesso dell’originale, possiamo trarre conclusioni solamente dall’analisi visiva e della gamma dell’immagine. La foto è certamente un falso.”
Paolo mi ha inviato questa demo veloce, fatta tutta tramite iPhone in “due minuti scarsi” prendendo una foto dalla libreria d’immagini:
A questo punto, invece di concentrarsi sull’inesistente fantasma, sarebbe opportuno chiedersi chi ha falsificato la fotografia per gabbare giornalisti e lettori, e perché i giornali hanno pubblicato questa truffa senza fare un minimo di controllo preliminare che avrebbe permesso di smascherare la falsificazione. Che squallore.
Pubblicità Unrulymedia: GALAXY Tab 10.1 Extreme Retreat – FarmScritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.