“F” come felicità, intendiamoci. E’ il titolo di copertina del numero di gennaio di HBR Italia, ed è un segnale da far strabuzzare gli occhi. Ve li immaginate manager impettiti, incravattati e stressati davanti a budget irraggiungibili e previsioni impietose sentir parlare di “felicità in azienda”? Ovunque si guardi, in questo periodo (ultimi 3-4 anni, a seconda) nelle aziende c’è di tutto, tranne che “felicità”.
Quelli della rivista ne sono ben consapevoli, tanto che nell’editoriale il direttore Sassoon quasi ne è imbarazzato. Ma è anche chiaro:
Come si è già più volte rilevato, l’idea dei destini immutabili del capitalismo e dell’economia di mercato si è alquanto appannata in conseguenza della crisi finanziaria e di diffusi comportamenti ampiamente censurabili di banche, società finanziarie, addirittura interi Paesi, ma anche di singoli manager e imprenditori alquanto spregiudicati. Ne seguono idee di cambiamento e di miglioramento all’insegna dell’intelligenza e del buon senso, e di solito anche del “politicamente corretto”.
Parlare di felicità in azienda non è più un tabù. La crisi economica e finanziaria è un’opportunità per riflettere sul nostro modo di vivere il lavoro, il denaro, il consumo, la logica capitalistica e la nostra concezione del valore. Soprattutto, pensare alla qualità umana degli ambienti nei quali viviamo.
La base della felicità umana è la socialità. La qualità delle nostra relazioni personali, la forza dei vincoli in famiglia e nel gruppo di amici, è il miglior predittore del nostro grado di felicità. Oltre a famiglia e amici, però, viviamo e partecipiamo ad una vita produttiva e aziendale con colleghi, collaboratori, coordinatori e coordinati.
Una certa filosofia di management passata puntava molto sul concetto di “soddisfazione” e infatti elaborava sistemi di incentivi, titoli, premi e gratificazioni che potessero placare quella sete di riconoscimento che Homo Sapiens ha. Visione corretta, ma parziale. Attualmente l’enfasi è posta più sull’idea di “coinvolgimento“, intesa come partecipazione attiva allo sviluppo aziendale grazie a due fattori determinanti, la vitalità e l’apprendimento continuo.
Le persone non vivono bene in uno stato di insoddisfazione di base che le spinge a cercare un soddisfacimento momentaneo fatto di aumenti quantitativi. La tensione cala momentaneamente, un picco di felicità compare per un breve periodo, il ciclo si inverte e tutto ricomincia da capo. Questo meccanismo può condurre ad un “carrierismo” individualista e frustrante, nell’illusoria idea che solo il prossimo incentivo o la prossima promozione saranno quelli che ci renderanno “davvero felici per sempre“.
Le persone mostrano invece emozioni positive durature se inserite in un ambiente che le coinvolga, le aiuti a focalizzare l’attenzione e gli sforzi in compiti difficili ma non impossibili, sostenga la loro vitalità, esuberanza e entusiasmo e le metta in condizioni di crescere attraverso un apprendimento continuo nel tempo. Una felicità moderata comincia a protrarsi nel tempo.
La felicità dei collaboratori è un bell’affare anche per le imprese, che nel loro DNA puntano al profitto. Usiamo questi spunti per rinnovare i rapporti umani nel nostro ambiente di lavoro: coinvolgere le persone può essere il primo passo per un’innovazione sostenibile che ci porti, trasformati, fuori dalla crisi.
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