Lavorare in un progetto di sviluppo è difficile!
Il motivo può risultare semplice: differenti culture, paesi poveri, risorse scarse, modi di lavorare totalmente opposti, lingue, luoghi, cibi troppo diversi. A tutte questi fattori però, piano piano, ci si adegua; alcuni si comprendono, altri si imparano, altri ancora si accettano e basta. Dopo un po’ di tempo sai che le cose sono così, vanno in un determinato modo e non puoi far altro che conviverci, di prenderle così come sono, senza farti troppe domande.
Tutto questo è amplificato dal fatto che spesso i progetti di sviluppo sono in villaggi o piccole città, dove la comunità espatriata è ristretta, ci si conosce tutti, le sere le si passano insieme per ammazzare il tempo che altrimenti scorrerebbe troppo lentamente per i tempi occidentali.
Quello che non ti aspetti, però, è che i maggiori problemi non sono causati dall’ambientarsi ma sono causati dal fattore umano. Sono problemi che nascono dalle persone e, troppo spesso queste persone sono internazionali, quelli che comunemente sono chiamati “espatriati”; coloro ai quali è affidato il delicato compito di fare sviluppo cercando di rispettare la cultura, il modo di fare, di pensare delle persone locali. Troppo spesso questo fattore umano predomina; troppo spesso influisce sul lavoro e ne modifica i risultati, le dinamiche, i tempi e le relazioni.
In un luogo in cui non si è abituati a vivere per lungo tempo, ci si aspetta di trovare un ambiente espatriato sereno, pacifico, rilassante. Ti aspetti di veder fare cooperazione e non guerra sociale; t’immagini che i cooperanti facciano cooperazione; t’immagini che, per il lavoro che sei andato a fare, ad imparare, l’etica sia la regina delle doti umane; t’immagini che i problemi nascano da quelle che si chiamano “condizioni esterne”; t’immagini che la solidarietà, in luoghi spesso dimenticati da Dio, la faccia da padrona; t’immagini che le dinamiche sociali mirino esclusivamente a far gruppo al fine di convivere nel miglior modo possibile … a volte, però, l’immaginazione è meglio lascarla all’immaginario collettivo e che noi stagisti, cooperanti, espatriati ci limitassimo a ricordare il motivo che ci ha portato a partire!
Antonio, 28 anni, Tanzania