Il Fauno è una figura della mitologia romana, una divinità della natura, in particolare della campagna e dei boschi. Ha un aspetto umano, ma con i piedi di capra e con le corna sulla fronte. Esistono diverse versioni circa la sua discendenza; secondo una delle più consolidate sarebbe figlio della Dea Vergine Fauna, da lei partorito senza concorso del maschio, accoppiandosi poi da adulto con la madre, per guidare il mondo della natura e soprattutto degli animali. Il dio Fauno era anche chiamato Luperco, in qualità di difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus). Fauno parlava profeticamente attraverso lo stormire del vento nelle fronde, o il bisbiglio delle foglie nel bosco, e per questo era soprannominato Fatuus. Ma era anche nume ispiratore e invasante, che scaricava la propria azione ossessiva e possessiva sulle sue Paredre, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, divenivano simili alle Sibille nel loro profetare. Talvolta Fauno faceva risuonare la propria voce nelle selve e inviava sogni profetici a chi giaceva in incubazione o era invasato dall’estasi. È inoltre l’inventore degli antichissimi versi saturnii su cui si fonda la poesia latina. È dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe a cui è connesso. È associato al timor panico, con apparizioni spaventose e voci soprannaturali. Ma non sempre la sua voce incute terrore, anzi, talvolta rassicura ed incoraggia. Infatti è un nume buono e fausto, protettore degli animali domestici, delle greggi e delle coltivazioni. Il detto più famoso del Fauno a chi lo interrogava era: "Ogni tipo di saggezza umana è vana". Forse perchè il Fauno era portatrice dell'istinto che coglie direttamente se stesso e il mondo, senza elucubrazioni mentali. Amava suonare il flauto, specie negli assolati meriggi estivi, o puntava le ninfe per accoppiarvisi, e per giunta non era loro in genere sgradito, in quanto portatore di istinti sessuali e fertilità. Nelle comunità rurali, la sua festa (Faunàlia), ricorreva il 5 dicembre tra danze e processioni. Sui suoi altari si bruciava incenso e si libava vino, immolando agnelli e capretti. Il 15 febbraio, sempre in onore del Dio Faunus, protettore dei pastori, si celebravano i Lupercalia, dove i flamines luperci, ossia i sacerdoti del dio Fauno, celebravano antichi riti importati dall'Arcadia al tempo di Romolo e Remo. La festa era dedicata al bere vino, a mangiare e danzare fino al mattino seguente mentre i giovani coperti solo da una pelle di lupo flagellavano con fruste leggere donne e fanciulle che incontravano fuori dalle porte delle loro case, stimolandone la fertilità. Nei primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, diventeranno poi orribili diavoli, precisi con le corna, gli zoccoli e la coda. Nel Medioevo, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani, per il loro aspetto animalesco e per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere erotico, connesso ai culti della fertilità. Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane. Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero. Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata. La festa di Fauno fu poi sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.