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Il figlio dell’uomo

Creato il 16 ottobre 2011 da Patrizia Poli @tartina

Fra le sue cosce bianche, la mano risaltava, callosa, scura, la mano di un falegname che aveva viaggiato a lungo sotto il sole.

“Su, figliola, coraggio.  Devo farlo io… non c’è nessuno che possa aiutarci.”

Anche l’altra mano di Giuseppe adesso poggiava sul suo ventre e lo comprimeva.  Maria pensava che fosse un gesto inutile, ma non aveva il coraggio di contraddire ancora suo marito.  Si vergognava.  Di solito gli uomini non vedono certe cose.  I figli li fanno le donne, aiutate da altre donne più vecchie.

“Spingi, Maria, forza!”

Maria non sentiva più freddo, era fradicia di sudore nella nuca e sotto le cosce.

“Non… non… aaaah… non distinguo più un dolore dall’altro, sono vicini, aaah.”  Si agguantò al braccio di Giuseppe.

“Maria, mi stai ficcando le unghie nella carne.”

“Scusaaaah…”

Dietro la massiccia figura di Giuseppe, s’intravedeva l’apertura della grotta.  C’erano le stelle, fulgide nel cielo freddo del deserto e, in mezzo, proprio sopra di loro, la palla di fuoco che annunciava la venuta di suo figlio.

S’inarcò per la contrazione più forte dall’inizio del travaglio.  Non capiva se quelle pietre che le spaccavano la schiena fossero dentro di lei o sul pavimento della grotta.

Se almeno avessero trovato posto in albergo.  Tutti riavevano cacciati.  E quell’arrogante ostessa!  Era incinta anche lei, avrebbe potuto avere un po’ di compassione.

Si morse le labbra e sentì che stava piangendo.  Ora il figlio di Dio sarebbe nato in una grotta, con una mucca ed un asino, e sicuramente lei ci avrebbe rimesso la pelle.

Era questo che il Dio d’Israele voleva da lei?  Usarla come un vaso per spargere il proprio seme e poi farla morire peggio di una bestia?

Si levò una brezza ghiaccia che gelò la sua nuca zuppa e frusciò tra le fronde delle grandi palme fuori la grotta.  In lontananza – ma troppo lontano perché Giuseppe potesse lasciarla per chiamare aiuto – si sentivano belare le pecore.

Benedetta tu fra tutte le donne.

“Spingi, moglie!”

Sì, i dolori erano cambiati, si stavano facendo insopportabili: non mancava molto.  Guardò fra le gambe aperte, al di là delle vesti appallottolate a metà ventre.  Vide le cosce striate di sangue, vide il pelo del proprio pube, sotto la mano di Giuseppe il falegname, alzarsi ed abbassarsi al ritmo delle contrazioni.

Giuseppe era un buon marito.  Era l’unico padre che desiderava per suo figlio.  Eppure Gesù non sarebbe stato suo, lui la stava aiutando a far nascere il figlio di Dio.

Ma ora tutto sembrava così lontano, così assurdo.  La visita dell’angelo, la luce, il fremito nel suo grembo… Ave Maria, piena di grazia… una visione forse?  No, perché il bambino era stato concepito quando mancavano tre mesi alle nozze e lei non aveva ancora conosciuto uomo.

Aveva sperato, però, che alla sposa di Dio, all’ancella del Signore (tale si era proclamata inginocchiandosi nella luce che trasfigurava la sua umile casa) queste sofferenze sarebbero state risparmiate.  Quando la grande creatura di luce con le ali di piuma le aveva detto: non temere, Maria, tu hai trovato grazia davanti a Dio, non pensava che le sarebbe stato imposto di partorire come le altre donne.  E se fosse morta?  Chi avrebbe allattato il suo piccolo?  Perché il bambino era pur sempre suo figlio.  Suo e di Giuseppe.  Avrebbe lottato perché il Signore non lo togliesse a suo marito!  Doveva essere Giuseppe il padre del piccolo, almeno finché Gesù non fosse cresciuto abbastanza.

Lontani, i fuochi dei pastori illuminavano le tende.  Betlemme era in festa per la notte del censimento.

“Si vede la testa!  Ha tanti capelli!  Su, Maria, resisti!  Ogni volta che spingi spunta fuori, ma poi torna indietro.”

“Allora non uscirà! Oh, Signore, aiuta tuo figlio…aiutami!”

“Ma, no, stai calma.  Deve essere una cosa normale… ogni volta ti apri di più.”

Sentì che le dita di suo marito ora cercavano d’impedirle di richiudersi, ma era al di là della vergogna ormai.  Voleva solo che finisse, voleva uscire da quel lago di dolore.

Egli sarà grande e verrà chiamato figlio dell’Altissimo.

Figlio dell’Altissimo… era un uomo invece!  Quanta umanità c’era nei dolori che le strappavano le viscere, nel sangue che bagnava la polvere della grotta, che schizzava sulle vesti di Giuseppe.

Era Dio, ma nasceva come gli agnelli, nel sangue.

Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Il monitoraggio era terminato.  Ora Mrs Spencer le stava provando la pressione.  Sorridendo, confermò che tutto era a posto.  “Ok, è stata bravissima, Mary.”

Mary sospirò di sollievo e si rilassò sui cuscini.  Stava perdendo ancora un po’ di sangue ma, dopo la disinfezione, le era stato applicato sul pube un grosso assorbente e adesso si sentiva di nuovo fresca sotto il lenzuolo.

Era andato tutto bene, suo figlio era nato!  Quel figlio che Dio non le aveva voluto concedere, lei se lo era costruita da sola, con tutte le sue forze.

Quando avevano scoperto che Joseph era sterile, c’era stato tanto dolore in famiglia, ribellione, rabbia.  Poi avevano deciso.  Se Joseph non poteva darle un figlio, ne avrebbero comprato uno alla banca dello sperma, pagando qualsiasi prezzo pur di farlo nascere.

Mrs Spencer si avvicinò con un fagotto fra le braccia e lo posò delicatamente sul ventre ancora rigonfio della madre.  Joseph fece un passo avanti, incerto, commosso.

Mrs Spencer aggrottò le ciglia.  “Solo cinque minuti, prego, poi lasciamo riposare la signora.”

Joseph annuì.  Da come deglutiva con forza, Mary capì che, se solo avesse cercato di parlare, si sarebbe messo a piangere.

Quando la capo infermiera fu uscita, suo marito si accoccolò vicino a lei.  Toccò la mano del bambino.  Le ditina si strinsero a pugno attorno alle sue.

Mary guardava suo figlio e l’uomo che l’avrebbe allevato.  Questo è il figlio dell’uomo, pensò, il figlio di uno sconosciuto che ha versato il suo seme per me.  Ma è anche il figlio di Dio, nato per miracolo ed in letizia, ed il suo corpo è ancora caldo delle mani del Signore.

Patrizia Poli


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