ROARING CURRENTS
(tit. orig. Myeong-ryang, Kim Han-Min, Corea del Sud 2014)
Recensione di Rita Barbieri
“If only we could turn fear into courage, that courage will be thousand times mightier than before.”
Venerdì 20 Marzo al cinema Odeon di Firenze si è aperta la XIII edizione della “Primavera del cinema orientale” evento che, tra Marzo e Giugno, presenterà al grande pubblico una selezione in lingua originale (con sottotitoli in inglese e italiano) del meglio del cinema coreano, mediorientale, cinese e giapponese.
Il film d’apertura del “Florence Korea Film Fest” (ossia la prima tranche del festival, dedicata appunto al cinema coreano contemporaneo) scelto quest’anno è stato “Roaring Currents”: pellicola record di incassi in Corea del Sud e giudicato uno dei più grandi successi della filmografia recente. La prima è avvenuta davanti a una platea gremita di spettatori invitati e del regista Kim Han-Min che, prima dell’inizio della proiezione, ha concesso una breve intervista e si è poi trattenuto per rispondere, al termine, alle domande del pubblico.
Il film, ambientato nel XVI secolo, racconta le vicende di un personaggio storico realmente esistito: l’ammiraglio Yi Sunshin che, grazie a una strategia militare vincente, riesce a sconfiggere la flotta giapponese che minacciava le acque della Corea.
La gran parte del film è stata girata nei luoghi originali della battaglia (vicini tra l’altro al luogo dove abita attualmente il regista), con attori e comparse di nazionalità prevalentemente coreana e la produzione ha avuto costi altissimi, ripagati comunque ampiamente dall’incasso ai botteghini: si calcola che solo nell’agosto del 2014 si siano venduti più di 15 milioni di biglietti.
Il motivo di questo straordinario successo è da ritrovarsi nel mix di elementi tradizionali e innovativi che si compenetrano nella regia e nella struttura artistica del film, più che nella storia in sé. La trama infatti si concentra sui preparativi e sullo svolgimento di un’unica singola battaglia che però diventa uno spunto per una riflessione più profonda e generale.
Fin da subito infatti, il regista cerca di delineare il ritratto psicologico dell’ammiraglio, facendoci entrare nella sua sfera più intima e personale. Lo vediamo prima comandante inflessibile e stoico davanti ai suoi soldati, poi padre premuroso e saggio in compagnia del figlio e infine uomo solo, vecchio e debole, torturato da incubi e pensieri che pesano come macigni sulla sua coscienza. Yi Sunshin è un uomo tutto di un pezzo, consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità davanti al re, alla nazione, ma anche al suo popolo. Nonostante le difficoltà, sembra non arrendersi mai e non cedere mai, addirittura sembra non dubitare nemmeno per un attimo della validità delle sue scelte. Può sembrare crudele e perfino spietato, totalmente sordo alle richieste e ai consigli altrui. Va per la sua strada, Yi Sunshin, qualunque essa sia e lo fa con indomito coraggio.
Il coraggio è infatti uno dei temi fondamentali del film. Durante una scena il figlio chiede al padre come sia possibile infondere il coraggio in un esercito ormai allo stremo, demotivato e spaventato fino alla resa. La risposta del padre risuonerà varie volte, proprio come un ritornello, durante tutto il film:
“If only we could turn fear into courage, that courage will be thousand times mightier than before.”
Il figlio resta incredulo e sfiduciato ma, nondimeno, obbedisce al padre e segue letteralmente gli ordini. L’obbedienza e la lealtà verso il proprio superiore (in questo caso, a maggior ragione, verso il padre) è un altro degli aspetti evidenziati largamente in corso d’opera. Chi tradisce la fiducia viene sempre severamente punito, in modo talvolta plateale e spettacolarizzato. Chi invece rispetta il proprio dovere e la propria posizione, alla fine, ottiene sempre una ricompensa o almeno un encomio.
Si riconosce in questo, senza dubbio, uno degli elementi cardine della cinematografia coreana (o asiatica in generale): la divisione netta in ‘buoni e cattivi’ con barriere e confini che sono tanto netti quanto invalicabili. Il passaggio da una parte all’altra non è consentito e, quando avviene, questo scatenerà sicuramente e prevedibilmente un effetto molto forte nella vita del personaggio, come a ricordare che esiste una sorta di ‘retribuzione karmica’ da tenere presente: ogni azione umana genera inevitabilmente una conseguenza che spinge poi all’azione.
Si respira aria buddhista durante il film. Non soltanto nelle preghiere che si vedono recitare a fior di labbra dai monaci mentre scorrono i grani dei loro rosari, non soltanto nei riti o nelle cerimonie che si intravedono qua e là ma anche, a livello più profondo, nel sottotesto e nel messaggio finale. La serenità inflessibile dell’ammiraglio Yi sembra essere proprio il risultato di un’accettazione totale e quasi passiva del proprio destino e del proprio compito: le scelte che compie non sono vere e proprie scelte ma piuttosto un ‘adattarsi al flusso della corrente’. Anche e soprattutto quando questa sembra andare in direzione contraria a quella sperata.
La corrente è forse, simbolicamente, la vera protagonista del film. Già nel titolo il richiamo al tema delle maree e dell’acqua (metafora molto presente in tutta la cultura orientale) è ben chiaro: la corrente può essere avversa o a favore ma ha sempre una propria direzione. E, come dimostra la strategia dell’ammiraglio, è molto più sensato scegliere di seguirla e usarla a proprio vantaggio, che non cercare di dominarla o, peggio, remarci contro. La corrente ha una forza superiore, davanti alla quale non possiamo che arrenderci e allo stesso tempo affidarci, consci che prima o poi, in un senso o nell’altro, cambierà di nuovo. Questo non significa esserne completamente in balia ma, conoscerla, rispettarla e saperla affrontare. Senza paura.
In questo senso, nonostante appartenga chiaramente al genere ‘war movie’, il film è anche molto altro: una riflessione profonda e accurata su valori quali il coraggio e la lealtà, su sentimenti forti come la paura e la forza, su tematiche filosofiche quali il destino individuale e la capacità di scelta.
Un film maestoso che trattiene lo spettatore ben saldo e lo trasporta, cinematograficamente parlando, in mezzo alle correnti roboanti e tempestose della Storia, facendolo approdare generosamente a un finale ben scritto che tira somme e scrive risultati senza lasciare quozienti in sospeso.
Rita Barbieri