Quando Julianne Moore (nella parte della madre) e Eddie Redmayne (in quella del figlio) lo girarono – era il 2007, di sicuro non potevano nemmeno immaginare che un giorno, anzi una sera, sarebbero saliti sullo stesso palco a ritirare l’Oscar. Come invece è successo ieri a Los Angeles. Trattasi di Savage Grace, torbidissima storia diretta da Tom Kalin. Ripubblico la scheda del film che ho scritto tempo fa, parecchio prima che uscissero Still Alice e La teoria del tutto, i film che hanno portato rispettivamente Moore e Redmayne all’Oscar.
Savage Grace, la dominatrice, La effe, ore 23,20.
Raro. Un film che in Italia è stato maltrattato, anzi, peggio, ignorato e cancellato, ma che in America e Inghilterra conta su uno zoccolo durissimo di estimatori e devoti. Un mélo del 2007 che cerca di far rivivere le passioni e i radicalismi dei grandi, intricati, morbosi melodrammi anni Quaranta e Cinquanta,
Lo specchio della vita,
Improvvisamente l’estate scorsa,
La gatta sul tetto che scotta. Oltretutto, racconto di una storia vera e così estrema, così turgida da sembrare pura invenzione. La storia è quella di una ragazza del popolo, Barbara Daly, che negli anni Quaranta sposa l’erede dell’impero della bakelite Brooks Baekeland. Sarà un matrimonio infelice e distruttivo, da una parte lei con le sue nevrosi e le sue accensioni, dall’altra lui, costretto e imprigionato nella sua rigida dimensione altoborghese. Nascerà un figlio, Anthony, la cui omosessualità diventerà un altro elemento di destabilizazione degli equilibri familiari. Legame malato ed esclusivo tra mamma e figlio, finché lui la ucciderà (e qui siam dalle parti di Tennessee Williams, se non della tragedia antica). Il film ricostruisce l’intera parabola, dagli anni Quaranta al 1972, anno della morte di Barbara. Che è Julianne Moore, specializzata in quegli anni a fare il ricalco preciso delle grandi eroine del mélo più flamboyant, vedi
Lontano dal paradiso. Il figlio è quell’Eddie Redmayne che rispunterà anni dopo in
Les Misérables, rivelando anche un gran talento di cantante. Regia di Tom Kalin.