Tra gli studiosi e il grande pubblico esiste da sempre una distanza incolmabile ed è a causa di essa che possono facilmente essere appositamente diffuse convinzioni popolari e miti illuministici che, con l’arrivo di Internet e della comunicazione immediata, si diffondo a macchia d’olio. Fortunatamente escono continuamente volumi interessanti a ribadire perentoriamente come stiano in realtà le cose. L’ultimo in ordine di tempo è quello di Paolo Musso, docente di filosofia della scienza presso l’Università dell’Insubria, intitolato: “La scienza e l’idea di ragione” (Mimesis 2011), con prefazione -occorre dirlo- a firma di Evandro Agazzi, uno dei più autorevoli filosofi della scienza a livello internazionale.
1) Scienza nasce nel cristianesimo. Attraverso un’analisi rigorosa dei testi originali, Musso spiega chiaramente -come riporta Francesco Agnoli su Il Foglio- che la scienza non poteva che nascere laddove si erano già affermate «la fede greca e cristiana in un ordinamento razionale del mondo», «la fede cristiana nella Creazione come atto libero di Dio», e, connessa con quest’ultima, «l’idea di contingenza del mondo» materiale, cioè la «rottura col necessitarismo greco e, quindi, col panteismo». Solo su questa weltanschauung, solo all’interno della razionalità aperta e del “materialismo” cristiano, potette insediarsi Galilei.
2) Galilei, la Chiesa e Cartesio. Il filosofo si sofferma a lungo su Galileo, ribadendo un altro dato di fatto (anch’esso poco conosciuto), cioè che la sua scoperta più importante, l’unità della fisica, trovò nella Chiesa, e in particolare nei Gesuiti, non l’avversario ma il principale alleato, contro accademici, astronomi e averroisti contemporanei. La sua invenzione, il metodo scientifico, perfettamente si accorda col realismo cristiano. Al grande scienziato cattolico, Musso contrappone Cartesio, criticando l’idea diffusa che identifica il meccanicismo ed il razionalismo cartesiani col metodo scientifico galileiano. Cartesio infatti puntò su una ragione astratta e «fraintese la novità del metodo galileiano». Secondo Musso, il matematico francese è il propugnatore del “vero dogma della modernità”, cioè l’autosufficienza della ragione umana, chiusa all’esperienza, per cui «la ragione non può mai incontrare la verità dentro l’esperienza».
3) Eliocentrismo e visione biblica. Una terza cosa che ci sembra importante sottolineare è come Musso smonti completamente l’idea che l’eliocentrismo, di Copernico e Galileo, abbia affondato l’idea biblica della centralità dell’uomo nella Creazione: «la fine del geocentrismo non significò affatto, come oggi si cerca insistentemente di far credere, anche la fine dell’antropocentrismo, inteso nel senso di una radicale svalutazione dell’uomo e della sua importanza nel disegno complessivo del cosmo». Questa interpretazione è del tutto forzata, continua Agnoli, anzitutto perché il geocentrismo aristotelico-tolemaico significava solo una centralità geografica, non certo “morale né tanto meno metafisica”, della Terra. Lo stesso sistema tolemaico era utilizzato in epoca cristiana per le sue valenze pratiche, perché “serviva per i calcoli”, non certo perché i cristiani ne ricavassero qualche verità metafisica. Per un cristiano, all’epoca di Galilei, prima e dopo, infatti, «il valore dell’uomo non può dipendere dalla sua collocazione geografica, né da alcun altro fatto materiale, ma solo dal suo rapporto con l’infinito».