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Il finale aperto di una storia

Creato il 04 gennaio 2015 da Pamelaserafino
 

 

Il finale di un’opera è molto importante perché è il momento in cui la vicenda narrata arriva ad uno scioglimento. Se l’autore ha accompagnato gradualmente il lettore avvicinandolo all’epilogo, il finale sarà facilmente intuibile. Ma il finale può anche essere aperto.Il finale aperto. In questo tipo di finale non si forniscono notizie sul diario del protagonista o di altri personaggi né si precisa quali potranno essere gli esiti della vicenda. E’ una conclusione che lascia aperta la possibilità di immaginare come potrà ulteriormente svilupparsi la storia.

“E’ disdicevole come per una signora girare da una locanda all’altra, da una città all’altra senza pace, senza rimedio” direbbe il signor figlio Marino e avrebbe forse ragione.

Quel correre, quel vagare, quel patire ogni fermata, ogni attesa, non sarà un avvertimento di fine? Entrare nell’acqua del fiume prima con la punta delle scarpe, poi con le caviglie e infine con le ginocchia, con il petto , con la gola. L’acqua non è fredda. Non sarebbe difficile farsi inghiottire da quel turbinio di correnti odorose di foglie marce.

Ma la voglia di riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è ancora una domanda. Ed è muta.

(da La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini)

Mentre si immerge nella fredda acqua del mare invernale, il protagonista del romanzo Splendore, Guido   descrive le sensazioni che prova, nel farlo si rivolge ad un ragazzo che medita solitario sulla spiaggia.

Cosa sento? Nulla, credo solo un tiepido sussurro di labbra, e l’ultimo raggio è criptato. La fragile mitomania di ogni vita che si seppellisce. Le parole tacciono, rovesciate. Dovrei tornare nel punto dove la mia vita cominciò, la serratura cadde e la porta si aprì. Nell’estate della bellezza. Vedo un mazzo di mimose, è questo che vedo in fondo alla stanza, dove le ultime cose vanno e vengono isteriche come donne che devono partire. Sai come chiamano le mimose, ragazzo? Il fiore che si vergogna. Sono di buon augurio a chi si mette in viaggio. Adesso scendono nell’acqua, battezzano il blu. Ma tu non vergognarti del viaggio. La vita, credimi, non è un fascio di speranze perdute, un puzzolente ricamo di mimose, la vita raglia e cavalca nel suo incessante splendore”.

(da Splendore di Margaret Mazzantini)


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