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Il Fogolâr

Da Stelladellest

Elemento fondamentale e caratterizzante della cucina friulana è il fogolâr, anche se sembra che tale struttura si sia diffusa solo negli ultimi secoli. Infatti nelle prime case friulane il focolare era costituito da quattro legna messe in croce e poste sul pavimento, al centro dell'unico locale dove si viveva. Il fumo usciva da una piccola finestra posta in alto o attraverso la porta a seconda delle stagioni; non c'era canna fumaria, poiché essendo il tetto di paglia c'era pericolo che le faville che uscivano dal comignolo provocassero incendi. Non essendoci pertanto la canna fumaria, il fumo, prima di uscire, vagava per la cucina deponendo caliggine sulle pareti e sulle travi. La cucina veniva chiamata cjase de fum. La gente allora sapeva convivere con il fumo: bastava stare seduti, mentre la cappa di fumo fluttuava sopra le teste. Anche il forte odore di fumo che impregnava abiti e capelli non era un problema poiché tutti lo portavano addosso. Va ricordato che spesso veniva messa ad ardere legna verde di acacia, poiché era l'unica a bruciare senza essere stagionata. Il fogolâr non segue un'ubicazione fissa, in tutti i casi viene considerato come elemento determinante della tipologia costruttiva della casa friulana. Il vano destinato al focolare era comunicante con la cucina per mezzo di un ampio arco, spesso chiuso da una porta a vetri.
Essendo il focolare il punto più caldo della casa, intorno ad esso si riunivano, soprattutto al momento del pranzo, le donne, gli anziani, i bambini. Nel vano focolare correva lungo tre lati un unico pancone (bancjon) che accoglieva i numerosi commensali al momento del pasto e la famiglia, quando questa si riuniva intorno. Proprio perché il focolare era il punto più caldo della casa, in alcune famiglie venivano messi, nel vano del fogolâr, i bachi da seta appena portati a casa, quando erano ancora piccolissimi e occupavano poco spazio, perché non prendessero freddo, altrimenti c'era il rischio che morissero. Il piano del focolare era sempre rialzato di almeno 50-60 centimetri rispetto al pavimento, aveva un rivestimento esterno di mattoni ed il ripiano superiore era in lastre di pietra o sempre di mattoni. Spesso nella parte anteriore c'era una piccola rientranza ad arco (le entrade) che permetteva alle donne di avvicinarsi alle pentole. Sempre nella parte anteriore, vicino al pavimento, c'era una cavità che serviva a contenere una piccola scorta di legna. Ai lati dell'entrade c'erano due sportellini che contenevano due fornelli che, riempiti di braci, servivano a cuocere pietanze senza fuoco vivo. Sopra la base del focolare troneggiava il cjavedâl chiamato in italiano "alare doppio". Il cjavedâl costituiva un valore per la famiglia, perché spesso era elaborato, costruito in ferro battuto e reso prezioso dai virtuosismi del fabbro che lo creava. Era composto essenzialmente da quattro barre che gli davano la forma rettangolare (m. 1.20 di base e m. 1 di altezza) e poggiava su due coppie di piedi distanziate dal traviers. Nei montanti verticali erano situato due bracci girevoli recanti una breve catena che terminava con un gancio a cui venivano appesi i pentolini per la cottura o per tenere in caldo il cibo. Nella parte superiore di questi montanti si trovava un cestello a forma di calice (le citarie) che serviva a contenere la ciotola del sale, ma anche per tenere in caldo quale pietanza.
Gli accessori del cjavedâl, che venivano appesi ad esso mediante un uncino erano: les moletes, che servivano per raccogliere le braci, el palet che serviva per la cenere, el tirebores per attizzare il fuoco. Sempre unito al cjavedâl era il cjadenaç una pesante catena che pendeva dal soffitto direttamente sul fuoco e serviva a sostenere il paiolo per la polenta (cjalderie) quasi sempre in ghisa. In occasione della Pasqua, per le grandi pulizie della casa, anche il cjadenaç annerito dalla caliggine veniva pulito e fatto brillare. Tale compito era affidato ai bambini e ai ragazzi, che lo trascinavano correndo per le strade sassose fino a farlo brillare. Questo incarico fruttava loro una lauta mancia a cui non avrebbero rinunciato. Appeso al cjadenaç vi era sempre il paiolo (le cjalderie) di ghisa o di rame per la polenta, alimento principale della famiglia friulana, che veniva mescolata, (pocade), con un grande mestolo di legno (le mace de polente). Altri recipienti sul focolare erano il cjalderin, una piccola caldaia in miniatura, di rame, usato per fare il caffè d'orzo (l'orzo veniva tostato sul fuoco col brustulin un tostaorzo che poteva avere forma di padella, di sfera o di cilindro con un lungo manico) ed eventuali padelle di coccio (pignates di crep).Per la minestra veniva usata una pentola di rame nota col nome di stagnade per il rivestimento interno di stagno, ma anche come pignat di ram pe mignestre. Sulla base del focolare trovava posto anche il treppiede (trêpîts) di ferro battuto su cui appoggiavano le pentole di coccio o di rame per riscaldare i cibi. Il trêpîts veniva usato anche per poggiarvi la caldaia e fare la polenta, poiché dava maggior stabilità quando questa veniva mescolata con energia (pocade). In molte famiglie di faceva il pàn di cincuantin, che si metteva a cuocere sotto la cenere calda chiamata in friulano buiade e veniva avvolto nelle foglie di verza, che ne proteggevano la cottura e facevano si che il pane non si sporcasse di cenere. Quando il focolare era situato nell'apposita stanzetta, il tetto di questa costituiva la cappa, al centro della quale c'era il buco nero del camino.
 In certe case però veniva costruita un'apposita cappa (la nape), presente sempre quando il fogolâr non era appartato. Talvolta, ma non in tutte le famiglie, attorno alla cappa si appendeva ad asciugare la carne di maiale appena macellata. Un'usanza del primo giorno di Quaresima era quella di appendere alla cappa del camino un'aringa per affumicarla. I componenti della famiglia, a turno, toccavano con la loro razione di polenta il pesce penzolante, accontentandosi di mangiarne il… sapore. In alcune famiglie addirittura il capofamiglia prendeva l'aringa, la toccava con la sua polenta e poi la lanciava al figlio maggiore e questo, dopo essersi servito la lanciava al fratello e così via fino ai più giovani della famiglia. Una specie di gioco burlesco, che forse confondeva la mancanza di cibo.L'aringa veniva messa via per il giorno dopo. Un'astuzia di certe massaie era quella di appendere alla cappa del camino dei sacchetti di tela di lenzuolo con dentro le sementi del radicchio e dell'insalata, perché col vapore del camino si gonfiavano e così si accellerava la nascita delle piantine. La cappa del camino, nelle buie sere d'inverno, costituiva per i bambini una presenza misteriosa e talvolta paurosa. Santa Lucia, la Santa portatrice dei doni, era spesso raffigurata come una vecchia cieca e pronta a punire chi restava sveglio e quindi la buia cappa del camino rappresentava per molti la via attraverso cui ella poteva arrivare. Il focolare del museo è situato in una stanzetta costruita sul lato ovest della cucina. Legata strettamente al fogolâr come luogo "sacro" della famiglia friulana c'è la tradizione natalizia, che voleva la famiglia riunita la notte di Natale intorno al fuoco, su cui veniva posto un grande ceppo, (el nadalin), che doveva ardere tutta la notte. Il ceppo veniva conservato da un anno all'altro. Era inoltre consuetudine pratica dei fori nel ceppo per permettere al fuoco di lambirlo lentamente, penetrando nel legno e creando un effetto particolare. Va ricordato che il fuoco del fogolâr era acceso soltanto per fare da mangiare, non serviva per il riscaldamento, poiché la famiglia, soprattutto alla sera, dopo cena si ritirava in file nella stalla.

Il Fogolâr

foto personale

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