Magazine Fotografia
Tra i molti metodi, uno in particolare ha attirato la mia attenzione quando ho iniziato a lavorare al mio progetto dedicato ai boschi e agli alberi, dal titolo "Lucus". Una sezione di questo lavoro (e della relativa mostra) è costituita da una sorta di "Erbario" con la rappresentazione delle foglie delle specie principali di alberi e arbusti che crescono nel bosco. Fare delle normali fotografie "still-life" mi sembrava scontato e un tantino banale. Inoltre, volevo creare un collegamento tra il metodo prescelto e il soggetto ripreso. Mi è così capitato di leggere qualcosa in merito alla Antotipia, scoperta da quel geniaccio di Sir John Herschel (a cui dobbiamo diversi metodi di stampa fotografica, tra cui la Cianotipia, che ho utilizzato per il corpus principale del mio progetto) nel lontano 1842, mentre studiava l'interazione tra il sole e le sostanze vegetali. Descrivere cosa sia l'Antotipia è facilissimo, e già il nome spiega tutto: "antos" in greco significa fiore, e dunque lo scopo di questa tecnica è ottenere stampe grazie a superfici sensibili ricavate da fiori, piante e frutti. Più ecologico di così!
In effetti, non esiste una tecnica di stampa meno inquinante e ambientalmente accettabile di questa. Si prendono petali di fiori, o intere piante (ad esempio vanno benissimo gli spinaci), o ancor meglio bacche rosse come il mirtillo o il sambuco, li si pesta in un mortaio (o si frullano, per far prima), magari aggiungendo un po' di alcool o di acqua per sciogliere meglio il pigmento, poi si filtra e si stende l'emulsione su un foglio di carta da acquarello. Una volta asciutto, sul foglio vanno collocati i soggetti (foglie o volendo qualsiasi altro oggetto sottile, così come originali trasparenti, purché positivi, non negativi), e si espone infine il tutto alla luce del sole. Per due giorni, una settimana, un mese. Dipende dal sole (in estate si fa molto prima, è ovvio) e dal tipo di emulsione. Ad esempio l'emulsione ricavata dalla pervinca si espone in mezza giornata, quella dal sambuco richiede anche una settimana, o più. Ci vuole pazienza, insomma. Quello che accade è che le parti esposte al sole tendono a scolorire o a cambiare colore, mentre quelle coperte mantengono il tono originale. Dunque avremo una specie di "ombra" del soggetto, molto ben delineata e, se questo non è troppo spesso, si vedranno anche i dettagli (ad esempio le venature delle foglie). Naturalmente occorre sperimentare molto, variare i diversi parametri, miscelare le emulsioni con più o meno alcool, e soprattutto scegliere con cura la carta. Io ne ho provate di tutti i tipi, e alcune sono eccezionali (stranamente quelle più economiche, deo gratias), altre invece funzionano poco e male....
Comìè intuitivo, le Antotipie non sono permanenti. Il processo che porta alla loro formazione non può essere fermato, ma solo rallentato. Io utilizzo del fissativo spray (e a volte della cera d'api) per proteggere la superficie esposta, ma questo allunga la vita dell'Antotipo al massimo del 50-60%, poi comunque scolorirà, se esposto alla luce. Al buio dura molto di più (esiste ancora un Antotipo originale di Herschel risalente a 160 anni fa!), ma lentamente perde comunque contrasto. Perciò le immagini così prodotte le passo nello scanner, le sistemo e poi le stampo con i metodi moderni. E' l'unico modo per inserire gli Antotipi nella mia mostra. Ora sto meditando di realizzare uno spin-off del progetto principale, esponendo gli Antotipi originali, fino alla loro scomparsa. In fondo se debbono comunque "morire" in fondo a un cassetto, è meglio se invece lo fanno in pubblico! Inoltre mi sembra una bella metafora della condizione della Natura nel mondo, sempre a rischio "sparizione" o, se vogliamo, della stessa condizione delle cose naturali, che hanno un loro ciclo di vita, più o meno lungo, ma comunque sono destinate a tornare polvere...
E veniamo alla domanda del titolo. I Fotogrammi (come correttamente si chiamano le foto realizzate collocando oggetti su una superficie sensibile ed esponendo il tutto alla luce: i più famosi sono i "Rayographs" di Man Ray) sono vere fotografie? Non c'è alcun dubbio che siano "scritti" dalla luce, e che la composizione delle foglie sull'emulsione (come anche la scelta delle foglie stesse) siano opera del fotografo. Può sembrare che i "margini di manovra" siano pochi, ma in realtà non è così, perché scegliendo foglie secche invece che fresche, emulsioni di un certo tipo o di un altro, e carte strane e particolari, si possono ottenere risultati incredibilmente diversi, e colori davvero particolari. Anche sorprendenti, come credo dimostrino le immagini che corredano questo post, tutte realizzate in questi giorni impiegando come superficie sensibile un'emulsione a base di petali di papavero. Vi aspettavate una superficie rossa? E invece no, è viola!
Dunque, secondo me di fotografie si tratta. Ma se dovessi scegliere un'altra definizione tra le molte che sono state utilizzate nel corso della storia della nostra arte, anche Eliografie (da elios, il sole) non mi dispiacerebbe...
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