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Il fuoco di Sant’Antonio Abate: da demonio a protettore dell’uomo. Sincretismo religioso nella tradizione cultuale del Salento

Creato il 17 gennaio 2011 da Cultura Salentina

Il fuoco di Sant’Antonio Abate: da demonio a protettore dell’uomo. Sincretismo religioso nella tradizione cultuale del Salento

La tendenza a integrare nel culto di Sant’Antonio Abate elementi di natura pagana è ancor più evidente per le strade delle città durante il rito di accensione dei fuochi in onore del Santo nel suo giorno di festa. Essi sono meglio conosciuti col nome di focare.

Generalmente si trattava di falò di media grandezza costituiti essenzialmente da un cumulo di fronde secche e di legni comunemente detti taccari perché provenienti dalla potatura. Alla sommità di questo cumulo di legni, sostenuto da un’intelaiatura interna, sempre di legno, era montato un fantoccio il cui destino era, ovviamente, quello di bruciare insieme con il tutto.

Durante l’incendio gli abitanti qui convenuti mangiavano, bevevano e a volte anche si ballava e, quando tutto era arso, le ceneri e gli ultimi tizzoni ancora ardenti si raccoglievano nei bracieri e portati in casa si usavano per riscaldarsi prima di andare a letto.  Tutto ciò non è solo una simpatica tradizione salentina ma è anche un importante elemento dei culti pre-cristiani del fuoco nei quali esso, adorato per la sua forza distruttiva, diventava conseguentemente un elemento purificatore e rigenerante.

I contadini d’ogni parte d’Europa usarono accendere falò e ballarvi intorno in diversi giorni dell’anno, coincidenti generalmente con i mesi autunnali o invernali, e a parte le notevoli differenze geografico-storiche dei diversi luoghi, la somiglianza di queste cerimonie rituali è molto evidente. Si considerino gli analogismi nelle forme dei falò e principalmente il comune uso di portare via la brace o di far ardere un fantoccio.

Questa estesa diffusione dei cerimoniali dedicati al fuoco è giustificata dal fatto che esso è stato da sempre considerato, in tutte le culture, il promotore della crescita dei raccolti e quindi il garante del benessere dell’uomo e delle bestie. Per estensione i riti a esso collegati, divennero anche purificatori perché è il fuoco stesso che consuma tutti gli elementi nocivi che possono minacciare la vita. Questo concetto ben si esprime nel rogo del fantoccio il quale potrebbe rappresentare lo spirito arboreo che morendo tra le fiamme, genera la luce e il calore necessari ai vegetali per germogliare.

Il fuoco per la sua natura fisica esprime forza e distruzione ed è per queste che gli antenati lo venerarono con riti mirati ad ottenere la sua protezione e perciò, portare via la brace, era uguale a garantirsi in casa la protezione del fuoco contro le malattie e contro ogni disgrazia in genere.

Dall’invocazione della protezione, il culto del fuoco penetrò poi nel cristianesimo e col passare dei secoli perse il suo significato originario perché assegnato contestualmente al culto dei Santi e alla maledizione dell’Inferno.  Quest’ultimo passaggio sarebbe allora la consacrazione del fuoco a Sant’Antonio e attraverso il processo cristianizzante, divenne il Santo vincitore del fuoco infernale e delle fiamme della lussuria.

L’analisi di questo sincretismo religioso non è indirizzata a far conoscere quanto il culto di Sant’Antonio Abate sia intriso di elementi pagani o cristiani, ma di comprendere invece come l’Uomo e la Natura si siano sempre confrontati nella sfera della religiosità dove è la natura stessa ad essere sempre intesa come la Creazione splendida di Dio. Ed è così che l’Abate la considerava quando in essa ne leggeva il messaggio divino e quando in essa stessa ne contemplava la Sua magnificenza. Da questo senso di timore e al tempo stesso di venerazione della Natura nonché per lo Spirito divino in essa permeato, il Santo divenne molto vicino alla spiritualità di tutti quei contadini salentini, e non, dalla cui stessa Natura speravano di ottenere il loro sostentamento che, con la preghiera a Sant’Antonio Abate sarebbe stato ancor meglio assicurato.


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