di Giuseppe Dentice
L’iniziativa della Lega Araba
La Lega Araba sta studiando da mesi possibili contromisure da adottare nei confronti del regime alawita di Bashar al-Assad. In attesa di definire misure concrete, l’organizzazione ha sospeso la Siria dalla propria assemblea[1], lasciandola sempre più isolata dal punto di vista diplomatico. Dal canto suo, la Siria ha immediatamente lanciato un appello per la convocazione di un “vertice arabo d’emergenza”, richiesta accolta dall’organizzazione panaraba con il summit straordinario che si riunirà oggi il 16 novembre a Rabat, a margine del forum Turchia-Paesi arabi.
La sospensione di Damasco dalla Lega Araba – ritenuta soprattutto dal Ministro degli Esteri del Qatar, Hamad Bin Jassim al-Thani, inevitabile e valida finché le autorità siriane non metteranno in pratica l’accordo di pace proposto lo scorso 2 di novembre[2] – è stata giudicata dal Ministro degli Esteri siriano, Walid al Moualem, “un passo pericoloso alla stabilità del Paese”, aggiungendo che il regime “non si piegherà” e “uscirà più forte dalla crisi”. Damasco, che respinge con forza le accuse e nega ogni responsabilità nel mancato rispetto del piano di pace, denuncia, inoltre, le attività di “gruppi terroristi sovversivi” che usano armi fatte arrivare illegalmente da Paesi vicini e accusa gli USA e i Paesi occidentali di continuare a fomentare le violenze.
Gli attacchi alle Ambasciate e la situazione nel Paese
Mentre Damasco lancia i suoi strali contro le “forze colonialiste occidentali”, la violenza nel Paese dilaga e non sembra essere giunta ad una tregua. Infatti, l’annuncio della sospensione siriana ha provocato anche la reazione dei sostenitori di Assad, i quali hanno preso d’assalto le rappresentanze diplomatiche di Francia e Turchia ad Aleppo e Latakia e hanno saccheggiato le Ambasciate di Arabia Saudita, Giordania e Qatar a Damasco. Nonostante le scuse ufficiali del governo siriano per le aggressioni alle rappresentanze diplomatiche straniere, la tensione nel Paese continua a salire e il rischio che la perdurante rivolta interna possa, dunque, tramutarsi in una guerra civile e settaria è un rischio sempre meno inverosimile. Anche le diserzioni tra i militari sono in aumento, come testimoniato dai 25.000 soldati siriani che hanno abbandonato l’esercito per passare con le opposizioni, ingrossando le fila del Free Syrian Army, un esercito anti-governativo già attivo nel Paese, le cui capacità reali, però,sarebbero ancora poco chiare. Le opposizioni, pur essendo molto attive e coordinate da Istanbul dal Consiglio Nazionale Siriano (una sorta di Comitato di Liberazione Nazionale dei dissidenti siriani in esilio), non paiono essere coese e unite fornendo, perciò, un elemento di protezione al regime.
Le preoccupazioni di USA e UE
La situazione siriana è certamente vissuta con forte preoccupazione tanto da parte dei Paesi Arabi filo-occidentali, quanto dagli storici alleati del regime alawita (Hezbollah e Iran). Contemporaneamente USA e Unione Europea starebbero pensando di applicare nuove e più dure sanzioni rispetto a quelle appena votate lo scorso settembre. Infatti, come annunciato pochi giorni fa dall’Alto Rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, l’UE dovrebbe annunciare ulteriori sanzioni contro la Siria, che si aggiungono a quelle riguardanti le armi e le esportazioni del petrolio, operative, peraltro, proprio da oggi 16 novembre: indiscussione vi sono il blocco di nuovi crediti e il congelamento di quelli già esistenti sulle linee di credito della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che tra il 1978 e il 2010 ha già accordato oltre 1,3 miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro) di prestiti alla Siria. Inoltre, le sanzioni dovrebbero estendersi ad altre 18 persone direttamente collegate al regime, tra le quali spiccano il Vice-Ministro dell’Interno Saqr Khayr Bek e l’avvocato Bassam Sabbagh, consigliere legale e finanziario di Rami Makhlouf, quest’ultimo cugino del Presidente e principale uomo d’affari siriano che controlla Syriatel, il maggior operatore di telefonia mobile del Paese. Costoro, insieme ai 56 già sanzionati dall’UE, sono ritenuti i principali responsabili dell’uso della violenza contro la popolazione civile.
Le posizioni di Russia, Cina e Iran
Al momento, a sostegno del regime di Damasco continuano ad esserci solo la Russia e la Cina. In dichiarazioni fatte all’agenzia stampa Itar-Tass, il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov ha criticato la minaccia di sospendere la Siria dalla Lega Araba e ha sostenuto che i Paesi occidentali “istigano l’opposizione radicale siriana ad imboccare la via del cambiamento del regime”. Anche la Cina, per voce del suo Ministro degli Esteri, Liu Weimin, pur sollecitando Damasco ad attuare il piano di uscita dalla crisi proposto dalla Lega araba, si è astenuta dal sostenere eventuali sanzioni contro il regime di Assad, che malgrado le promesse di riforme prosegue la sua repressione. Critici contro la decisione della Lega Araba sono stati anche gli storici alleati della Siria nella regione, Libano e Iran. In particolare quest’ultimo, che non è un membro della Lega Araba, ufficialmente rimane fedele alla propria posizione di sostegno al Presidente Assad, ma le vicende delle ultime settimane e il rischio di una guerra di Tel Aviv contro Teheran, avrebbero portato la leadership iraniana a ripensare il proprio sostegno e a chiedere il ritiro di alcuni suoi consiglieri militari da Damasco.
I timori siriani e il ruolo crescente della Lega Araba
I timori di Damasco risiedono nella possibilità che la Lega Araba possa dare sostegno all’opposizione siriana aprendo, in futuro, ad una risoluzione ONU come nel precedente libico. Non a caso, all’indomani dei disordini alle Ambasciate straniere e della bocciatura della Lega Araba, il Presidente Assad avrebbe richiamato i suoi vecchi alleati del Ba’ath all’unità nazionale, non sortendo, però, gli auspicati benefici. Infatti, pare che anche nel partito di governo siano in aumento le defezioni e le voci di dissenso contro il Presidente.
In questo contesto, l’intervento della Lega Araba nella contesa siriana è stato avvertito da alcuni Stati arabi come un positivo ruolo di mediazione. A conferma di tale ruolo, l’organizzazione panaraba ha fissato l’incontro di Rabat, a margine del forum Turchia-Paesi arabi, con gli esponenti dell’opposizione siriana per cercare di porre immediatamente fine alle violenze. Inoltre, la Lega Araba invierà in Siria una delegazione di 500 persone fra rappresentanti di organizzazioni per i diritti umani, media, soccorritori e militari per monitorare la situazione e porre le basi per un dialogo costruttivo tra le parti.
Tuttavia le popolazioni arabe e alcuni suoi governi (ad esempio quello libanese e yemenita) hanno visto nella sospensione siriana dalla Lega Araba una provocazione “dei poteri stranieri e neo-coloniali tendenti a ridefinire i loro interessi negli equilibri della regione”. Come sostenuto anche dall’analista israeliano Zvi Bar’el, sulle colonne del quotidiano nazionale “Haaretz”, dietro la sospensione sirianadal consesso panarabo potrebbe esserci il pretesto di Israele e dei suoi partners occidentali di attaccare Damasco per colpire, successivamente, Teheran per punirlo a causa del progetto di nucleare militare, e tramutando quella che potrebbe essere una guerra civile e settaria tutta interna alla Siria in un aperto conflitto regionale dai responsi imprevedibili e inquietanti.
Verso una guerra?
Qualora tale situazione dovesse assumere questi termini, è lecito supporre che possa prendere corpo un’azione concordata di tutti i membri della Lega Araba, coinvolgendo, magari, i Paesi direttamente vicini, come la Giordania o la sempre più influente Turchia. Ciononostante, Stati Uniti ed Unione Europea non hanno manifestato la volontà politica, né sembrano avere attualmente le capacità finanziarie e logistiche, per intervenire direttamente nel teatro siriano, come accaduto in Libia. Semmai, al pari di Russia e Cina, essi auspicherebbero un cambio al vertice in Siria il più possibile pacifico, che decreterebbe sicuramente una sconfitta politica per l’Iran, nonché la sua possibile perdita di influenza strategica nel Levante arabo. Sia gli USA, sia i Paesi arabi sanno bene che l’uso strumentale di ritorsioni economiche contro la Siria, invece, potrebbe essere una strategia vincente. Volendo scongiurare qualsiasi ipotesi militare, anche gli alleati di Damasco, almeno per una volta, sembrerebbero essere d’accordo nel perseguire la strada della diplomazia, pur non condividendo la strategia dell’inasprimento delle sanzioni economiche.
Pur con le dovute differenze di interessi in gioco tra gli Stati, è lecito supporre che la decisione della Lega Araba, probabilmente dietro interessamento statunitense, dovesse servire a smuovere le acque in quanto consapevoli che qualcosa bisognasse fare senza dover ricorrere necessariamente alle armi.
Conclusioni
In virtù di tali considerazioni, una caduta del regime guidato da Assad se inizialmente poteva apparire come un’eventualità piuttosto remota, oggi, invece, non è impossibile. Le proteste di questi mesi a Dara‘a, Banyas, Dayr az-Zor, Homs e Latakia avrebbero potuto lasciare spazio a una politica più conciliatoria da parte di Assad, mentre, invece, hanno visto in azione una dura repressione che ha spinto, anche i vertici del partito Ba’ath e del clan alawita ad abbandonare la nave e a cercare una possibile via di fuga. Questa eventualità di regime-change potrebbe avvenire nella maniera meno cruenta possibile qualora la Lega Araba, in primis, e le altre istituzioni regionali come il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), si impegneranno a guidare la transizione siriana verso una via democratica fornendo, in seguito, un salvacondotto a tutto l’entourage di Assad. Seguendo l’esempio di quanto fatto in Tunisia ed Egitto e assicurando alle forze di opposizione la guida della “nuova Siria”, la Lega Araba potrebbe finalmente trovare un suo ruolo nello scacchiere regionale, il meno dipendente possibile dalle scelte politiche degli Stati. Dunque, rimane da vedere se il regime alawita deciderà di fare un passo indietro e quando lo compirà, senza la necessità di interventi esterni. Ad ogni modo, il cammino da seguire per giungere a questo esito non è né privo di insidie né avverrà in tempi brevi.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1] La sospensione è stata votata quasiall’unanimità dall’organizzazione con sede al Cairo: contrari di Libano eYemen, mentre si è astenuto l’Iraq. In passato anche l’Egitto venne sospeso per10 anni per via della firma del Trattato di Pace con Israele nel 1979.[2] Il piano per la pacificazione in Siria èarticolato in 6 punti e prevede: la fine delle violenze, il ritiro delle forzedi sicurezza dalle città, la liberazione delle persone arrestate da metà marzo,l’avvio del dialogo tra il governo e le opposizioni, l’arrivo in Siria diosservatori della Lega Araba e l’apertura del Paese ai media internazionali.Per approfondire si legga: http://www.reuters.com/article/2011/11/02/us-syria-idUSTRE7A13MA20111102;