Lo scorso inverno mi è capitato tra le mani un articolo che parlava di Ubik, indiscusso capolavoro di Philip K. Dick (Blade Runner, Atto di Forza ecc.. avete presente? Tutta bella roba di questo ometto qua sopra). Il testo aveva sollecitato la mia curiosità e poiché non si è mai troppo vecchi per addentrarsi nel mondo della letteratura fantascientifica (chi l'avrebbe mai detto) ho fatto subito un salto dalla Feltrinelli e mi sono comprata il sopracitato libro.
Apriti cielo.
Uno dei romanzi più fighi che abbia mai letto. Philip, dove sei stato tutto questo tempo? Perché ti ho sempre snobbato considerandoti roba da nerd? Perché? Me tapina. Inutile dirvi che in un anno ho cercato di rimediare a tutto il tempo perso.
La storia è ambientata in un futuristico 1992 in cui le grandi multinazionali si combatto a colpi di spie dotate di poteri paranormali (psi) e di agenti in grado di annullare le loro capacità psichiche. L'agenzia anti-psi Runciter Associates di Glen Runciter ha un grosso affare tra le mani e si vede costretta a spedire una propria pattuglia, guidata da Joe Chip, sulla Luna per una missione di ordinario anti-spionaggio commerciale. Purtroppo per loro il compito si rivela essere più complicato del previsto. Da qui la trama si infittisce e i protagonisti si trovano imprigionati in un mondo effimero che sfugge alle leggi della logica. Niente è come prima e tutto è sospeso in una realtà illusoria senza possibilità di fuga.
Mi fermo qui, non voglio svelarvi altro. Aggiungo solo: avete presente le teste dei personaggi morti mantenute in semi-vita in cilindri di vetro e liquido sconosciuto che si vedono in Futurama? Ebbene, sono ispirate proprio a Ubik. Tanto per farvi capire il livello di genialità.
Una delle mille cose che mi hanno particolarmente colpito è la capacità di Dick di immaginare e descrivere gli abiti dei suoi personaggi. Spesso illustra i loro look rendendo alla perfezione l'immagine stilistica dell'epoca di cui scrive, fondamentale per avvicinare e appassionare il lettore alla storia, ancora più veritiera se ricca di dettagli di vita quotidiana. Non a caso il film Blade Runner (ispirato al romanzo Ma gli Androidi Sognano Pecore Elettriche? di Dick) è diventato celebre anche per i suoi costumi, a prova del fatto che l'aspetto stilistico non è secondario nei racconti di fantascienza. Anzi.
E molto altro. Tutta gran bella roba che è stata riproposta anche da celebri stilisti.
E qui arriviamo al succo del discorso. Scusate, l'ho presa alla larga oggi.
Il binomio fantascienza e moda mi ha sempre intrigato. Nonostante io sia una totale ignorante in materia (fantascientifica eh) apprezzo e resto ogni volta piacevolmente sorpresa dai frutti che nascono da questo gemellaggio, apparentemente così assurdo. In passato moltissimi stilisti si sono cimentati in collezioni all'avanguardia al limite della fantascienza oppure hanno realizzato abiti immaginando la moda del futuro. Ma queste son storie lunghe.
Tornando a noi, ultimamente quindi ho pensato molto spesso a dei potenziali abiti del futuro o degni di romanzi fantascientifici. Ed eccomi accontentata. Una delle tendenze della prossima stagione è, a mio avviso, un'estetica da romanzo di Dick. Molti stilisti hanno portato in passerella donne del futuro pronte a calcare i red carpet di eventi mondani o semplicemente i marciapiedi di città, di corsa tra un impegno e l'altro. Se l'attitudine "futurista" a volte si presenta come un accessorio, una t-shirt argentata in tessuto tecnico o un paio di maxi occhiali, altre volte è l'intero look che viene reinterpretato in chiave post-contemporanea. Minidress succinti arrivati a noi da squarci spazio-temporali, abiti vistosi o sensuali di divinità aliene, il tutto per giocare con gli stereotipi della fantascienza e dare via libera a nuovi canoni estetici visionari. Come se non bastasse, il trend "futuro alle porte" non è fine a se stesso, ma è stato brillantemente integrato e plasmato a stili già esistenti: ecco quindi calzature da geisha trasformati (orrendamente ahimè) in stivali spaziali, completi sportivi hi-tec da tribù metropolitane, outfit da disco 3000 e perfino abiti bon ton retrò reinterpretati in chiave più che moderna.
Jonathan Saunders
Burberry Prorsum
Chalayan
Givenchy
Mugler
Ann Demeulemeester
Rick Owens
Alexander Wang
Rochas
I comuni denominatori per rendere una collezione al passo, anzi in anticipo coi tempi sono: un occhio di riguardo per i materiali ricercati, la scelta di colori puri, come il color blocking "effetto plastica", il privilegiare silhouette lineari e forme geometriche.
Antonio Berardi
Balenciaga
Marni
Osklen
Ovviamente non tutte le ciambelle escono col buco: ancora una volta la cara Miuccia Prada realizza mostri esteti. Non tanto l'intera collezione che, pur non piacendomi, ha il suo perché e la sua armonia, proponendo abiti bon ton quasi infantili in stile giapponese, ma per le scarpe. Un aborto estetico senza paragoni. Per carità audaci e visionarie eh, ma brutte brutte. E non indossabili da comuni mortali.
All'idea base di rivisitazione "spaziale-naif" dei geta delle geishe ci eravamo arrivati tutti, ma qui la situazione è un po' sfuggita di mano, vero Miuccia? Voglio proprio vedere chi sarà il primo a grida che queste scarpe sono geniali fighe must have ecc.. Riderò fino alla morte.
Quindi per la prossima stagione se volete essere very cool ricopritevi d'argento, fatevi un'acconciatura degna della Principessa Leila e abbracciate la filosofia del minimalismo geometrico.
Tra l'altro, visto che mi trovo a parlare di futuro e fantascienza colgo l'occasione per fare un appello agli ingegneri della bellezza: cosa state aspettando a creare un applicatore automatico computerizzato per lo smalto tipo questo??Atto di Forza (1990) docet
C.