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Il futuro? Non esiste.

Creato il 10 dicembre 2013 da Casarrubea
Francesco Mollame

Francesco Mollame

Alcuni anni fa (il tempo di pubblicazione e di concezione poco conta per le ragioni che tra poco vedremo), un nostro benemerito concittadino, Francesco Mollame, pubblicò un volume ingiustamente passato sotto silenzio: La Giostra. Avrebbe meritato una migliore considerazione questo sforzo che l’editore di Villalba di Guidonia, Aletti, ha voluto portare alla luce. I motivi sono presto elencati, anche se non è facile esaurire le questioni che il libro pone, in poche battute.

Prima di tutto perché si tratta di un’ipotesi che nelle intenzioni del suo autore dovrebbe scardinare le nozioni elementari della fisica; in secondo luogo perché ciascuno, in una breve silloge,  può rendersi conto di come la sicilianità riesca a pervadere vari campi del sapere, non escluso quello filosofico o astrofisico. In ultimo perché in poche pagine si ha un buon esempio di come i bambini possano farci capire lo scibile umano. Perché sono i bambini che ci dicono quale direzione possono prendere i nostri passi per risolvere le nostre inquietanti domande.

Un gruppo di bambini si incamminano infatti in un’avventura senza eguali. Forse si trovano nell’isola di Marettimo e, a furia di camminare con il loro spirito libero e girovago, arrivano in un castello arroccato su un promontorio. Hanno fondato un club di Leoni e proprio per questo sono disposti a tutto. Si impongono la regola di rincasare tutti prima del rientro a casa dei loro genitori.

L’isola è bellissima, vi abitano poche famiglie di pescatori e alcuni asini che si inerpicano nelle mulattiere. Strada facendo qualcuno, senza la malizia dei grandi, comincia a interrogarsi sul tempo, o almeno su quello che tutti chiamano ‘tempo’, cioè quella cosa inspiegabile che gli adulti segnano con un “aggeggio” al polso e che a scuola gli insegnanti, per farla breve, definiscono come “prima”, “ora” e “dopo”, ricorrendo all’orologio per valutare le lancette. Ma gli insegnanti, come i loro genitori, sono adulti e hanno un modo diverso dal loro di concepire o meno la cosa.

Il castello è la dimora di un giullare, un folletto che si chiama Inanis e che vive al di fuori del ‘tempo’. Lo calcola sulla base dei giri che fa il mondo attorno al sole e chiede ai bambini quanti giri avessero fatto nella loro vita. Alla domanda di uno di loro su cosa sia veramente il tempo, il folletto risponde testualmente: “Il tempo è proprio un’invenzione dei grandi che se ne servono per misurare la loro vita”, “Scambiare merci” e indicare tutto ciò che si muove attorno a loro. Ma provate a togliere agli uomini la categoria ‘tempo’ e tutto l’universo vi crolla addosso. O no? L’argomento è comunque interessante e per sorreggerlo l’autore tira in ballo persino Kant, Newton e altri fisici e matematici del passato. In definitiva, per quello che ho capito, il tempo di fatto non esiste. E se è così o, come dice l’autore, esiste solo il presente, mi sembra sia confermata la versione filosofica di un siciliano che, interpretando linguisticamente la cultura dei siciliani, nega, come essi fanno per altre vie, l’esistenza stessa del futuro. Potete fare il futuro di un verbo in siciliano? Provateci, non ci riuscirete. L’autore tenta di dimostralo con molte formule di fisica che sinceramente io non capisco, ma non metto in dubbio che la sua teoria sia il corrispettivo linguistico di ciò che per i siciliani è sempre stato così: l’impossibilità di concepire l’avvenire.

Giuseppe Casarrubea


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