
Ho appena completato di leggere “Il Gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach. Un gran bel libro, a mio parere, molto istruttivo. E se ad una prima lettura l’uso di un linguaggio essenziale può farlo apparire come uno scritto semplice, in realtà questo piccolo romanzo racchiude una vasta gamma di valori e sentimenti.
Jonathan vive con uno stormo di gabbiani, la cui esistenza è dedita esclusivamente alla ricerca di cibo. Invece il nostro protagonista sente il bisogno di imparare l’arte del volo, non solo come unico tramite per cibarsi, ma come mezzo per poter soddisfare la sua sete di conoscenza e avere così il potere di migliorarsi ed elevarsi da tutto quel mondo così uniforme e grigio (sono dipinte in questa tonalità le piume dei gabbiani che si limitano unicamente al volo a pochi metri da terra).
Come in ogni buona storia, le aspirazioni di Jonathan hanno un prezzo da pagare: il suo allontanamento dal nucleo sociale originale.
Ma il motivo che più lo addolora non è l’esilio, quanto il non essere compreso (“Non di solo pane vive l’uomo”..e questa citazione ha un motivo) e il non poter quindi trasmettere ai suoi compagni tutta la gioia che prova mentre si libra nell’aria. Una gioia che viene dal profondo del suo cuore perché capisce che sta realizzando se stesso, che ha uno scopo ben “al di sopra” del materiale bisogno di cibarsi, qualcosa che lo avvicina al mondo spirituale e dei più nobili sentimenti.
Ciò che più colpisce è proprio la forte pressione che sente Jonathan di condividere con gli altri tutto il suo sapere, tutte le tecniche che ha imparato e non solo, anche tutto l’amore che sente sprigionarsi quando vola e raggiunge così la libertà.
Bach era un aviatore e quindi è logica conseguenza che abbia incentrato il suo romanzo su ciò che respirava nei cieli: la Libertà.
Libertà così tanto cara ad ogni uomo, ma che così tanto spesso resta solo un’utopia. Essere liberi equivale a dire essere se stessi. Non diventare schiavi dell’omologazione, uscire dalla massa e trovare e aderire alla personale unicità.
Questo si può tentare di fare per dare un senso alla vita e cercare – proprio come fa il protagonista del racconto – di aiutare gli altri in questo intento.
Ecco un altro aspetto del libro: Jonathan, questo gabbiano così speciale, non compreso dalla sua stessa famiglia, portatore di valori di affetto e bontà, chi altri potrebbe ricordare se non Gesù? Vi è un chiaro riferimento alla religione cristiana, ma al tempo stesso vengono a galla anche aspetti New Age ed elementi legati a tutte quelle filosofie di vita che si basano sull’ascetismo e sulla reincarnazione del corpo. Purtroppo ad una lettura semplicistica qualcuno sarebbe tentato di fare un grande calderone delle religioni. Ciò è agevolato in effetti da alcuni passi del testo:
Come ad esempio il fatto che questi gabbiani semplicemente con il pensiero si spostino da un mondo all’altro; ciò non ha prettamente le sue radici nell’Antico o nel Nuovo Testamento.
Viaggi che i gabbiani intraprendono con un corpo così goffo e impacciato, ma con un animo pieno di forza e grinta che li aiuta a superare ogni limite, anche quello imposto dalla stessa natura. Basta solo volontà e coraggio di crederci.
A questo punto sorge nella mia mente un paragone attuale (personalissimo e per questo opinabile)…
Il coraggio, in questo momento, lo associo alla figura di Marco Simoncelli… e non perché era ritenuto un trasgressivo o perché fa molto chic andare veloce in auto o moto e rischiare la vita. Intendo il coraggio di trovare il proprio posto nel mondo. Nonostante il pericolo esista e lo si sappia.
Anche Jonathan va incontro a diversi rischi ( rischia di restare solo, morire di fame, pure lui rischia la sua stessa vita in quelle acrobazie così spericolate). Ma se il volo è il motivo per cui è nato, se sente forte questa passione – qualcosa per la quale vale la pena vivere – è inutile sopirla, far finta che non esista. A maggior ragione quando ormai fa parte del suo Essere. E allora l’unica cosa da fare è adoperarsi per conquistarla e renderla concreta. Perché con essa si sarà realizzato anche il se stesso e davvero a quel punto si potrà definire felice.
E Simoncelli, la sua passione, ha cercato di coltivarla davvero.
Per raggiungere la vera gioia però si deve avere il coraggio, non solo di crederci, ma anche di agire. Se il pensiero non è sottomesso, ma può andare al di là della finitezza, ciò significa che davvero si può essere in grado di migliorare sempre e in qualunque modo.
“Il segreto stava tutto qui: Jonathan doveva smettere di considerare se stesso prigioniero di un corpo limitato, un corpo avente un’apertura alare di centodieci centimetri e i cui itinerari potevano venir tracciati su una carta nautica. Il segreto consisteva nel sapere che la sua vera natura viveva, perfetta come un numero non scritto, contemporaneamente dappertutto, nello spazio e nel tempo…”
Ire






