Ritorno a parlare di gatti, sollecitato da chi ama i felini. Il mio recente pezzo sui gatti polidattili di Hemingway ha infatti suscitato una certa curiosità nei lettori. Com’è il rapporto fra gatti e scrittori? – hanno chiesto in tanti. Ottimo, direi. Gli scrittori amano i gatti e i gatti amano gli scrittori. La ragione di questo feeling è semplice: entrambi prediligono la tranquillità, la calma, la riflessione. I gatti sono lievi – tant’è che Jules Verne sosteneva che fossero spiriti venuti sulla terra e potessero camminare su una nuvola – adorano lo scrittore, dormono nel suo studio, si aggirano con passo felpato sui suoi strumenti di lavoro – ieri la macchina da scrivere e oggi il notebook – gli fanno le fusa, si accucciano sulle sue ginocchia, come faceva il micio nero di Dante Alighieri, e ne scandiscono con un pacifico “ron ron” la fase creativa. Lo scrittore, a sua volta, è un gattofilo perché trae beneficio dalla vicinanza del gatto, che non è mai troppo indiscreto o molesto e trasmette serenità e concentrazione. Aldous Huxley, che ovviamente amava i gatti, suggeriva ai suoi allievi: “Se volete scrivere, tenete vicino un gatto”. È un consiglio che sottoscrivo per esperienza diretta. Ho quattro gatti e uno in particolare – si chiama Piuma ma è un possente maschio castrato – vive sulla mia scrivania, in un cesto di vimini dove si appallottola come un contorsionista cinese e dal quale esce solo quando ho smesso di scrivere. È quasi silenzioso e non sembra infastidito dal rumore che faccio picchiettando i tasti del computer. Anzi, lo considera un suono rassicurante. Prima o poi gli dedicherò qualche riga, per affinità elettive e gratitudine. Molti scrittori hanno adorato il loro gatto, il cui nome è passato alla storia. Oltre a Snowball di Hemingway, mi piace ricordare Minoudi George Sand (con cui la scrittrice condivideva la tazza di latte della colazione), l’enorme Canonico di Victor Hugo, il sovrano del serraglio Myssour II di Alexandre Dumas figlio, Pigmaliondi George Bernard Shaw, Tyke di Jack Kerouac, Hinse di Walter Scott, Factotum di Charles Bukowski, Taki di Raymond Chandler (da lui definito il “mio segretario felino”), Minna la Siamese di Elsa Morante, Bebert di Ferdinand Céline, Bosch e Tommy di Anna Frank e El Magnifico di Doris Lessing, giusto per citare quelli che mi vengono in mente. Se poi vogliamo considerare gli scrittori che hanno amato i gatti l’elenco è sterminato. Mi limiterò a citare alla rinfusa i più famosi: naturalmente Ernest Hemingway, Mark Twain, Honoré de Balzac, Howard Phillips Lovercraft, Raymond Chandler, Alberto Moravia, William Faulkner, Adlous Huxley, Herman Hesse, Walter Scott, Doris Lessing, Ezra Pound, Ray Bradbury, Miguel de Cervantes, Gabrielle Colette, Anton Cechov, Truman Capote, Edgar Allan Poe, Jorge Luis Borges, Jean Paul Sartre, John Fante, Stephen King, Virginia Woolf, Samuel Beckett, Emily Dickinson, Jacques Prévert, Jean Cocteau, Yukio Mishima, Haruki Murakami e Junichiro Tanizaki. Se prendiamo in considerazione i risultati artistici dell’intesa fra umani con la vocazione letteraria e felini domestici, ci troviamo di fronte a una quantità enorme di racconti e romanzi dedicati al gatto. Penso, ad esempio, a Gattomachia di Lope de Vega, Il gatto di George Simenon, Tosca dei gatti di Gina Lagorio, Tom Quartz e altri gatti di Mark Twain, Il libro dei gatti tuttofare di Thomas Stern Elliot, Il gatto che se ne andava da solo di Rudyard Kipling, Vite di due gatte di Pierre Loti, Serraglio privato di Theophile Gautier, Misti di Guy de Maupassant, Io sono il gattodi Natsume Soseki e Il gatto nero di Edgar Allan Poe. I gatti hanno ispirato testi poetici a Charles Baudelaire, William Wordsworth, Heinrich Heine e Pablo Neruda, oltre che La gatta di Giovanni Pascoli e il Sonetto per i miei gatti del Petrarca, il quale amava talmente la sua micia Dulcina da scrivere per lei un commovente epitaffio che recita “seconda solo a Laura”. Indimenticabili, poi, sono il gatto del Cheshire de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e Il gatto con gli stivali della novella di Charles Perrault. Vogliamo forse dimenticare il gatto parlante de Il maestro e Margherita di Bulgakov? O i gatti Rodilart e Raminagrobis di Gargantua e Pantagruel di Rabelais? Poiché lo scrittore non è un automa ma un essere umano, il gatto contribuisce a distrarlo quando serve. Michel de Montaigne, anche lui grande amante dei gatti, si chiedeva: “Quando gioco con la mia gatta, chi può dire se si diverte più lei a scherzare con me o io a giocare con lei?”. Giusto, se penso all’altro mio gatto Patmos, che non ha la pazienza di sopportarmi mentre scrivo e parlo da solo, ma che quando viene a farmi visita gioca con le matite, le penne, le gomme e l’astuccio dei miei occhiali, scombussolandomi il tavolo di lavoro. O alle due persiane Cannella e Vaniglia, aristocratiche al punto giusto da disdegnare un divertimento così volgare ma abbastanza curiose da spiarmi di nascosto. La dialettica fra lo scrittore e il suo gatto è venata anche di piccoli scherzi e provocazioni. Fermo restando, come suggerisce Mark Twain, che “se si potesse incrociare un uomo con un gatto, l’essere umano migliorerebbe ma il gatto peggiorerebbe”, un gatto assimila le grandi verità della filosofia meglio di un uomo. Un altro aspetto del rapporto gatto-scrittore da non sottovalutare è che a volte il gatto riempie un vuoto. Non è il mio caso ma molti scrittori si isolano e finiscono per rimanere soli; il gatto fa loro compagnia senza imporsi o disturbare. Come una sentinella amorevole. D’altra parte, Gianna Manzini diceva che “avere un gatto accanto è l’unico modo tollerabile di essere soli, in due”. Allo scrittore piace accarezzare il suo gatto e vederlo rizzare la coda in segno di gradimento. Potrebbe essere vero che Dio ha creato il gatto per consentire all’uomo di lisciare il pelo a una piccola tigre. O no? Ed ecco che mentre batto sulla tastiera quest’ultima riflessione, Piuma mi passa davanti, si struscia contro di me, mi annusa e se ne va, poco distante, però, sulla stampante. Tutto questo avviene con una grazia di cui non sarei mai capace, a conferma che “il gatto è diagramma e modello della leggerezza dell’aria”, come ha scritto Doris Lessing, autrice, fra l’altro, del romanzo breve Gatti molto speciali. Credo che Piuma mi abbia inviato un messaggio, ma non so decifrarlo. Non mi resta che chiuderla qui, e poiché sono circondato dai libri sposto lo sguardo dal mio gatto, che come una sfinge si è messo in stand by, e volutamente lo faccio cadere sull’opera omnia di Baudelaire, al quale chiedo in prestito un invito irresistibile. “Vieni, gatto bello, sul mio cuore innamorato; tieni strette le unghie nelle zampe e lasciami annegare nei tuoi occhi belli, fatti d’agata e metallo.”Piuma miagola compiaciuto.
Si sa che i gatti sono vanitosi, come gli scrittori.