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Il gatto è morto, ma stasera avrò gli ossi

Creato il 09 gennaio 2011 da Villa Telesio

 

Il gatto è morto, ma stasera avrò gli ossi

Memorie dal sottosuolo

La signora si strofina più volte sotto la doccia difettosa della sua baracca a Testaccio. Il cadavere del suo gatto giace in cucina, sotto il tavolo di plexiglas rubato dentro un cassonetto a San Lorenzo. Un gatto bastardo, morto di fame: anni 12, la signora gli era molto affezionata, ma la signora non poteva pensare a tutto ciò che si muove. Le bastano le sue mani. Che strofina, strofina, strofina con rabbia, sotto la doccia delle 18. La sua spazzola è rosa, come le sue ciabatte. La sua pelle è invece bianca, come alcuni suoi capelli. Ha appena ingoiato un pezzo di terra del suo giardino. Ingoia sempre pezzi di terra prima di lavarsi, di purificarsi. Parla al telefono, sotto la doccia: il telefono perde acqua ma alla signora non importa, si crede una sirena e trova naturale che il telefono perda acqua. 

Sull’autobus vive con le sue arance, le mangia appoggiata languida al finestrino, come una scimmia si pulisce bene il muso, con le sue dannate mani grosse, linde, litiga con un barbone zoppo ubriaco con un cardigan verde e i capelli lunghi, unti, si sistema la sua maglietta bianca, da pizzaiola, sente caldo d’inverno, con i suoi pantaloncini rosa sporchi e le sue ciabatte rosa ancora bagnate. Va al cimitero dei gatti a portare il suo gatto, a scambiarlo con delle ossa, per farsi il brodo stasera “perchè stasera la caritas non sarà poi tanto caritatevole” le hanno detto giù al centro per rifugiati, e allora lei vuole tornare nella sua baracca con le ossa scambiate in cambio del suo gatto bastardo morto di fame, per fargliela vedere a quella sua vicina puttana che si cambia sempre le lenzuola e le stende come cadaveri fuori dalla finestra che lei non ha. Le farà vedere che lei ha gli ossi.

Ha sempre due sacchetti con sé: dalle borse di plastica pendono sonagli da circo e rami di alberi da frutta. Ruba le sue arance ai poveri di Termini, li distrae sculettando e ballando un fottuto swing con le sue ciabatte rosa e proprio mentre loro sono lì per afferrarla, per fare “all’amore con lei” (“L’Amore con Me, Barbone, Nessuno Lo Fa, Nessuno!) lei ruba le loro arance e corre saltellando sugli autobus e si siede languida accanto al finestrino, osservata speciale di tutti i maschietti di Roma, generazioni di utilizzatori di mezzi pubblici ai suoi piedi, ridacchiano del suo culo, delle sue gambe ben curate, delle sue mani mobili, in realtà invidiosi delle sue arance, del fatto che una volta facendo le parole crociate le si è chissà come inturgidito un capezzolo e tutti lì a guardarla e lei niente, lei tutta intenta a sbucciare arance e a risolvere un rebus da 5 milioni di euro: il nome proprio dell’amore è? Costanza, costanza e abnegazione.

 


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