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Non la sua bellezza. Ora, come quando ero al liceo, rimango convinto della superiorità netta dei racconti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sul romanzo che invece l'ha reso celebre. E rimango perfino più affezionato di allora allo sguardo de I Viceré di De Roberto sulla Sicilia nel trapasso dal regno borbonico all'Italia unita. Ma, a prescindere dall'iniziale refrattarietà, dalle mille resistenze (ho dovuto lasciarne la lettura ai miei alunni per costringermi a superarle), ho scoperto un libro che parla profondamente di me. Quanta vita è passata da allora? Non vent'anni, credo qualcosa di molto più importante.
Nell'aristocratico, perplesso, vitale, sensualissimo principe Fabrizio Salina ho avuto alcune fugaci visioni di quello che ho fatto io. E in Tancredi, il nipote, ovvero il figlio più amato, ho sentito vibrare il mio modo di amare, di essere amico, di essere cittadino, ribelle e passivo, inebriato di sogni. In Concetta, nella tradita Concetta, indovino senza fatica le vibrazioni di ciò che io sento come taciturno e violento desiderio carnale. E in Angelica, il miracolo di grazia nella terra desolata della borghesia in ascesa della provincia sicula, il mio amore per le forme e la bellezza dove meno te lo aspetti, la meraviglia che brami, fosse solo per consumarla.
Il Gattopardo è romanzo di straordinarie vibrazioni erotiche, pulsazioni emotive, malinconie sottilissime e di cose e ricordi grossolani, di un mondo che forse non lo merita. È anche un libro dove la capacità analitica dei dialoghi è, sì parziale, ma sbalorditiva: Fabrizio Salina ha l'aria di essere stato molto amato da Tomasi di Lampedusa, o perlomeno di essere stato scrutato dai suoi occhi senza pietà e senza impudicizia. Tancredi, invece, il bel ragazzone infiammato di alibi e di ideali che lo divorano con la voracità della fama e degli ormoni, ha le fattezze del giovane che si ama contro ogni logica e protocollo, per il puro desiderio di trasgredire le necessità della casta e di sé stessi.
Lo sguardo un po' incantato di Tomasi di Lampedusa sa di entrare in un mondo che non esiste più e si aggrappa alla modernità da cui sorvola la Palermo del secondo Ottocento: proprio dalla vita ormai inconciliabile del secondo dopoguerra. Tutto appare vecchio, segnato dalle tarme, dal tempo, dal chiuso, con un senso della morte - con una necessità del senso della morte - che senz'altro mi commuove. Fabrizio Salina è maturo e perfino prossimo alla morte senz'essere vecchio che per poco, vi è in lui virilità senza maschere, burattini o marionette eroiche: Il Gattopardo è una storia di uomini in un mondo in cui essere uomini è essere maschi. Il celeberrimo ballo nel quale il Principe danza con Angelica non sarà mai il ballo di Anna Karenina, la Sicilia di questa storia è sovrastata da un universo patriarcale e tragico, da passioni e desideri più forti dell'amore e della disillusione.
L'ascetico zio, con lo sguardo rivolto al cielo e alle sue stelle, l'unica certezze, l'infatuato nipote, funambolo giocoliere di parole che cambiano e di fatti eterni come il potere; lo stupito Chevalley che offre a Salina - e si vede rifiutare - un posto in Senato, con tutti i suoi buoni argomenti e nessuna ragione accettabile; le vorticose e segrete carrellate di Tancredi e Angelica in un mondo che non esiste più, come un castello di Atlante sfollato dopo una catastrofe; la visita di padre Pirrone al mondo com'era un tempo e come sarà per sempre: sono tutti momenti di una grazia autentica, da cui capisco la fama del romanzo in tutto il mondo. Con la speranza, fra vent'anni, di leggerci ancora un po' di me. O magari crescerò abbastanza da leggerci anche dell'altro.
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