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Il gene dell’immortalità 3

Creato il 28 gennaio 2014 da Davide

di Flavia Busatta

CAPITOLO II: Volevamo stupirvi con effetti speciali (parte 1)

Quando si parla di biotecnologie dobbiamo tener conto che esse sono un settore strategico di importanza vitale nello scenario del controllo del villaggio globale. Poiché manipolano nella sua più profonda essenza il modulo genetico degli esseri viventi, a nostro avviso esse potranno rivestire un ruolo di gran lunga più incisivo dell’informatica e della telematica. Se all’alba dell’umanità il controllo sul prodotto dell’utero ha determinato quale dei due generi detenesse il potere per alcune centinaia di migliaia di anni1, all’alba del terzo millennio il controllo genetico della specie “Umanità” si tinge di sfumature epocali. Abbiamo visto come la manipolazione genetica, che ha sempre accompagnato il genere umano, abbia avuto un’accelerazione in questi ultimi vent’anni, anche se molte “novità” sono rimaste ancora ai blocchi di partenza a causa di problemi di brevettabilità, cioè di proprietà ed usufrutto, un fatto che si è reso esplicito nei negoziati WTO . Il problema del controllo e della proprietà dei prodotti dell’ingegno diventa poi una materia di lana caprina quando il “prodotto” da coprire riveste un peso rilevante anche nei campi etico e culturale e nell’inconscio collettivo.
In questo capitolo ci proponiamo di dare alcune indicazioni su orientamenti della ricerca legati ovviamente alle possibilità del mercato in milioni di dollari sottolineando però che le biotecnologie sono una tecnica in via di sviluppo e che una scoperta anche casuale può spostare interi assi di interessi sul pianeta.
La maggior parte delle ricerche nel campo agroalimentare, che è quello in cui da più tempo le biotecnologie sono state utilizzate con il minor costo sociale in problemi “etici”, di brevettualità ecc., è stata indirizzata verso la creazione di una resistenza alle malattie e per potenziare le risorse contro le piante infestanti, che da sempre sono la maledizione della monocoltura. In quest’ultimo caso la strategia consiste nel produrre piante che siano in grado di tollerare l’esposizione ad un erbicida ad ampio raggio e che si presume sicuro per l’ambiente; in questo modo la creazione di piante con tolleranza agli erbicidi potrà ridurre la quantità di erbicidi impiegati. Utilizzeremo come esempio il Roundup, un erbicida a largo spettro che controlla le graminacee e le dicotiledoni infestanti e che sembra essere uno dei più “accettabili” dal punto di vista dell’impatto ambientale2. La Calgene, in unione con la Monsanto, identificò dei geni che producono proteine con una sensibilità ridotta al Roundup ed in seguito è riuscita a creare dei geni che producevano nelle piante queste proteine in quantità elevata. Questi geni “sintetici” sono stati introdotti nelle piante di pomodoro, soia, cotone e altre; le colture manipolate erano in grado di tollerare trattamenti con dosi di Roundup adeguate per sterminare le infestanti (prima tali dosi uccidevano sì le infestanti, ma anche parte della coltura). Ricercatori della DuPont hanno utilizzato manipolazioni analoghe per ottenere una tolleranza contro la sulfonilurea.
Queste tecniche sono state sfruttate con successo anche per quel che riguarda l’identificazione e la manipolazione dei geni che presiedono alla biosintesi dell’etilene, la molecola segnale che innesca la maturazione dei frutti. Un ritardo nella maturazione (cioè nel deterioramento dei frutti) consente la raccolta in un periodo successivo a quello in cui avviene naturalmente, il che permetterebbe di migliorare il sapore (ad esempio le uve che hanno goduto di più lunga esposizione al sole sono più zuccherine) e forse anche il valore nutritivo dell’alimento. Per allungare la “vita commerciale” del frutto si usano per lo più due tecniche: la prima consiste nell’inserire geni che codifichino gli enzimi trascrittasi inversa che disattivano i geni responsabili della maturazione. Il secondo metodo, utilizzato dalla Monsanto per i semi di pomodoro, consiste nell’introdurre un gene che produce un enzima che decompone i precursori dell’etilene ritardando così la maturazione dei frutti. All’inizio degli anni novanta l’ingegneria genetica permetteva di modificare caratteri espressi da non più di tre-cinque geni, oggi ovviamente siamo molto più avanti e si comincia a “lavorare” anche sul DNA non codificante (noncoding DNA), o “junk DNA”3, ovvero quello che non codifica proteine.
Su queste tecnologie possiamo dire ormai collaudate, si inseriscono con successo (da un punto di vista scientifico, perché sotto il profilo commerciale vi sono molti problemi legali e di immagine) altri tre filoni di sviluppo sempre più promettenti in fatturato di migliaia di dollari: quello medico farmaceutico, quello agroalimentare stesso e quello dei materiali speciali alternativi anche da un punto di vista “ecologico” a quelli attualmente usati.
Cominciamo da quest’ultimo campo anche perché non tutti si rendono ancora conto del fatto che le biotecnologie stanno rendendo obsoleti materiali cardine dell’industria pesante attuale quali il ferro e il petrolio come fonti di materie prime e prodotti di base. Già a suo tempo le materie plastiche sostituirono molte leghe metalliche nei prodotti di consumo, ma ora ci si sta sempre più interessando ai polimeri naturali di tipo proteico come ad esempio: tele di ragno composte da fili di seta più resistenti dell’acciaio, fibre elastiche della struttura cardiovascolare che possono resistere alla fatica per un centinaio di anni senza perdere in elasticità, proteine di adesione dei molluschi che permangono adesive anche in condizioni proibitive, ecc. Tutti questi polimeri proteici sono generati dal codice dei rispettivi segmenti di DNA ed hanno la caratteristica molecolare di contenere sequenze ripetute di aminoacidi nella loro struttura proteica. Questo interesse sta allargando il campo di azione delle biotecnologie dall’industria medico – farmaceutica a quella delle “proteine strutturali”, materiali da rivestimento, adesione o di base per l’industria chimica.
Fino agli anni novanta i biopolimeri sono stati preparati o estraendoli direttamente da materiale naturale, come l’amido, la cellulosa (polisaccaridi), la caseina, il glutine e la zeina4 (proteine), oppure sintetizzati per sintesi chimica classica con procedimenti lunghi e costosi usando monomeri biologici e rinnovabili: un esempio è l’acido polilattico ottenuto da monomeri di acido lattico ottenuti da fermentazione di carboidrati. Questi biopolimeri hanno però un elevato costo di produzione che ne limita l’utilizzo a campi come quello medico e farmaceutico. I biopolimeri, invece, permettono lo sviluppo di materiali plastici a partire da fonti rinnovabili, e hanno il valore aggiunto di essere spesso biodegradabili. Il terzo modo per ottenere bioproteine è di far produrre i polimeri da microrganismi o batteri geneticamente modificati.

L’industria agroalimentare ha sempre sfruttato la biotecnologia, anzi essa ne è la principale fruitrice: sono trascorsi circa 10 anni da quando la tecnica ha dimostrato che è possibile usare l’ingegneria genetica per creare piante transgeniche. I modelli proposti hanno finora privilegiato soprattutto fattori come la produttività con migliorata resistenza ad insetticidi, malattie e insetti, ma oggi si sta favorendo anche una maggiore “appetibilità” per il consumatore come dimostrano i nuovi pomodori transgenici della Calgene, creati in unione con FICI inglese e la Campbell Soup, utilizzando tecniche antisenso che alterano i processi di maturazione5, o la produzione di piante produttrici di molecole farmaceutiche e di oli industriali.
Le piante generalmente non producono anticorpi, ma nel 1989 venne scoperta una tecnica per alterare geneticamente una pianta di tabacco in modo che questa producesse degli anticorpi monoclonali. L’idea era particolarmente allettante sia per i bassi costi che questi avrebbero avuto sia perché una pianta ha virus che possano infettare gli umani (il famoso salto di specie). Le piante di tabacco che producono anticorpi monoclonali sono di un certo interesse in quanto oltre alla sintesi di due prodotti genetici (ad esempio a catena pesante e leggera), i due polipeptidi devono essere assemblati correttamente per fare un anticorpo efficace e gli studi suggerirono che questo è il caso6. Le tecniche per la trasformazione delle piante è oggi tanto sviluppata che un numero di geni estranei viene usualmente introdotta nelle piante transgeniche. Lo Scripps Research Institute ha centri sperimentali di produzione di composti farmaceutici tramite piante a larga produzione e di facile maneggiabilità genetica come il tabacco e l’alfalfa (medicago sativa o erba medica), un’erba estremamente comune utilizzata nell’alimentazione umana come insalata e come foraggio animale. La Pharm-Planta, un gruppo internazionale di 28 istituti accademici e 4 piccole aziende, nel 2011 iniziò la sperimentazione su un piccolo numero di donne della Gran Bretagna di farmaco virale profilattico con l’anticorpo P2G12 sintetizzato a partire da piante di tabacco OGM per bloccare l’infezione da HIV. E la Bayer ha appena ricevuto dalla FDA il via libera per testare la sicurezza degli anticorpi umani che attaccano il linfoma non-Hodgkin prodotti da tabacco OGM. La canadese SemBioSys ha stabilito dopo sperimentazione su 23 volontari che la “sua” versione dell’insulina prodotta dal cartamo è sicura e funziona bene quanto la versione attualmente disponibile sul mercato. La prospettiva di una “mietitura” di anticorpi monoclonali su scala agricola significa che tali anticorpi sarebbero reperibili in grande quantità e a costo più basso di quelli tradizionalmente ottenuti da cellule di mammifero.
La manipolazione genetica delle piante permette un miglioramento delle caratteristiche agronomiche delle stesse e offre la possibilità di produrre sostanze di alto valore commerciale in quantità considerevoli: infatti le piante sono estremamente più semplici da coltivare di una coltura microbica e molto più economiche. Su questa direttiva nel 1990 la Mogen International7 olandese riuscì a sintetizzare un precursore che dirigesse l’espressione di geni chimerici codificatori della la siero-albumina umana (HSA) in patate e tabacco transgenici; l’albumina umana ottenuta alla fine del processo è indistinguibile dalla autentica albumina umana. Su questa via sono state brevettate anche le ricerche sulla produzione di immunoglobuline via geni chimerici introdotti in piante di tabacco.
Uno delle più famose manipolazioni delle piante fu quella delle piante di pomodoro con un gene antifreeze della sogliola dell’artico per permettere alle piante transgeniche di resistere meglio ai trattamenti di conservazione e surgelamento del mercato. Il “prodotto” chiamato anche “fish tomato” o pomodoro pesce divenne un’icona nella guerra contro gli OGM soprattutto in relazione al dilemma etico del combinare geni di differenti specie. Il pomodoro prodotto non venne mai commercializzato, tuttavia la DNA Plant Technology8 chiese al USDA di poter effettuare un test su campo. In ogni caso poiché il prodotto non venne mai coperto da brevetto né commercializzato è probabile che i test siano andati male.
Altre manipolazioni interessanti da questo punto di vista sono: l’introduzione di geni esprimenti il Beta -carotene precursore della vitamina A nel riso (Golden rice) usando come donatori, le carote, i narcisi e specifici batteri, nella soia vengono studiate manipolazioni genetiche che aumentino la stabilità ossidativa per gli acidi oleico e stearico e che la riducano per l’acido linoleico. Queste manipolazioni che vedono l’utilizzo di tecniche come il silenziamento. L’aumento dei livelli di acido oleico e stearico nei semi di soia manipolata crea un olio ideale per l’industria alimentare. Altre manipolazioni potrebbero indurre il ricettore a produrre extra quantità di olio (al momento questo quantità extra è del 1,5%, che può sembrare poco, ma date le dimensioni del seme di soia significa milioni di dollari in più nelle vendite), una prospettiva interessante se si pensa che i biocombustibili potrebbero sostituire idrocarburi ad alto valore attualmente ricavati dal petrolio. Nel 1995 erano anche allo studio manipolazioni genetiche per ridurre la flatulenza causata dal fagiolo comune (faseolus vulgaris)9. Ammetto di non aver trovato materiale recente che chiarisca se questa ricerca è continuata, ma continuo a chiedermi se in futuro il peto diventerà un lusso radical chic destinato a coloro che mangiano strettamente bio.
Grazie all’avvento della tecnologia del DNA ricombinante anche il settore degli enzimi industriali sta cambiando nuovamente dopo che, negli anni ’70, l’introduzione delle proteasi microbiche aveva aperto il ricco mercato dei detersivi10. Sottolineiamo qui che le industrie interessate al settore “enzimi” sono moltissime; solo per fare qualche esempio: le birrerie, i panifici industriali, la detergenza industriale e domestica, i caseifici, l’industria dell’amido e degli zuccheri, le concerie e le industrie tessili, le industrie farmaceutiche, diagnostiche, e di chimica -clinica. Il mercato mondiale degli enzimi si aggira sui 600 – 700 milioni di dollari di cui la metà è coperta dai soli Stati Uniti.
Questo mercato è ancora piccolo se comparato a quello della farmaceutica (180 miliardi di dollari), o dei pesticidi (20 miliardi di dollari), ma le possibilità di intreccio con questi due settori industriali lo rendono molto promettente. Il 60% degli enzimi utilizzati sono proteolitici, le carboidratasi rappresentano il 30%, le lipasi e gli enzimi per uso diagnostico e chimico – clinico il restante 10% circa. Oltre alla modificazione per via biotecnologica di alcuni gruppi di enzimi, sono alla produzione ora due nuove classi: gli “abzymes” e i ” ribozymes”. Gli abzymes sono legati alla scoperta degli anticorpi catalitici e alle sintesi di apteni e immunogeni; i ribozymes sono legati alla scoperta dei ribozimi, molecole di RNA con attività autocatalitica che stanno emergendo come potenziale strategia preventiva o terapeutica come agenti antivirali in medicina ed agricoltura.
Un utilizzo già operativo delle biotecnologie è nella bioremediation, cioè l’insieme di tecniche biologiche di disinquinamento e di recupero delle acque o terreni inquinati da petrolio e scarichi industriali in genere, ma di questo parleremo la prossima volta.
segue

note
1. Per secoli e, anche oggi. in moltissime culture infanticidio delle femmine è stato uno dei modi privilegiati di controllo delle nascite.
2Il Roundup (in base alla auto-classificazione del produttore) è classificato secondo la Direttiva UE 1999/45/CE come R52/53 (Nocivo per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico) e anche per la Classificazione Italiana (scheda tecnica USL Toscana: http://www.usl3.toscana.it/allegati/Roundup%20450%20Plus%201-12-2009_101109031542.pdf). Uno studio condotto anche dal Comité de recherche et information indépendantes sur la génie GENétique (Criigen), che ne denunciava la tossicità, fu pubblicato sulla rivista scientifica Usa Chemical research in toxicology. (December 23, 2008). Nel 2009 Andrés Carrasco, direttore del Laboratorio di Embriologia molecolare dell´Università di Buenos Aires e capo ricercatore del Consiglio nazionale per la ricerca scientifica e tecnica (Conicet), affermò di aver rilevato su embrioni di anfibi effetti riconducibili a riduzioni della grandezza del capo, alterazioni del sistema nervoso centrale, un incremento della morte delle cellule del capo e deformazioni della cartilagine (cfr. Paganelli et al., “Glyphosate-Based Herbicides Produce Teratogenic Effects on Vertebrates by Impairing Retinoic Acid Signaling”, Chem. Res. Toxicol., October 18, 2010.) Monsanto, Dow Chemical, Cheminova, United Phosphorus Inc., Nufarm Americas Inc., e Syngente Ldt.- UK, smentirono la ricerca. La polemica continua ancora.
3Si chiama DNA non codificante (noncoding DNA), detto volgarmente junk DNA, ogni sequenza di DNA in un genoma non soggetta a trascrizione in RNA o rimossa dal mRNA prima della traduzione (introni) e che viene perciò considerata, allo stato attuale delle conoscenze nel campo, apparentemente priva di funzione. Il “junk DNA” compone circa il 98,5% del genoma umano. Il DNA non codificante, tuttavia, ha importanti funzioni biologiche e molti studi suggeriscono che varianti genetiche portatrici di malattie si trovano nel DNA non codificante (noncoding DNA).
4La zeina è una classe di proteine prolammine presenti nel mais. E’ usata per la produzione di bicchieri di carta (il rivestimento), stoffe, bottoni, adesivi e leganti, come contenitore di medicinali (le capsule).
5Contro il pomodoro transgenico della Calgene, chiamato Flavr Savr (acronimo per “salvatore di aroma”) che doveva essere commercializzato per la fine del 1993, insorsero le associazioni dei cuochi che annunciarono di non volerlo utilizzare nei loro ristoranti, dei piccoli coltivatori che non lo volevano coltivare e dei consumatori americani che pretendevano un’etichetta accurata che identificasse i cibi ottenuti per biotecnologia. Questo contrastava con la dichiarazione della FDA che, nel 1992, aveva dichiarato che il pomodoro PG antisenso “era sicuro come i pomodori generati con i metodi convenzionali” e “che l’uso del amino glicoside 3’fosfotransferase II era sicuro per l’utilizzo come un coadiuvante nello sviluppo di nuove varietà di pomodoro, olio di colza e cotone intese per l’uso alimentare.” Secondo tale dichiarazione il pomodoro transgenico non poneva rischi per la sicurezza nuovi o speciali per il consumatore e pertanto avrebbe dovuto essere soggetto agli stessi standard di regolamentazione degli altri alimenti, di conseguenza senza necessità di particolare etichettatura. Di fronte alla reazione del pubblico la Campbell Soup annunciò che non avrebbe messo il pomodoro incriminato nei suoi prodotti. Il flavr savr entrò in commercio nel 1994, ma fu eliminato dalla produzione nel 1997 in quanto l’introduzione del gene antisenso, che aveva l’effetto di bloccare la maturazione del frutto e perciò di permetterne la raccolta quando il frutto era ancora acerbo senza gravi danni per il pomodoro stesso (è noto infatti che i pomodori non possono essere congelati, essi infatti perdono qualunque sapore una volta congelati, perciò la loro aggiunta a “minestroni” o altri prodotti congelati è solo di carattere estetico). In realtà il Flavr savr si dimostrò una delusione in quanto il gene antisenso ebbe sì un effetto positivo sulla durata, ma non sulla consistenza del frutto, che perciò doveva essere raccolto nello stesso periodo del pomodoro “normale”, il che faceva perdere tutti i vantaggi previsti. Alla fine la Calgene fece la storia, ma fallì e fu acquistata dalla Monsanto. Nel 1996 la Zeneca, sotto licenza, introdusse in Gran Bretagna concentrato di pomodori PG antisenso coltivati e lavorati in California. Inizialmente le vendite andarono molto bene, ma nel 1998 precipitarono improvvisamente. Questo fu dovuto a una trasmissione della BBC in cui il dr. Arpad Pusztai annunciava che ratti nutriti con patate geneticamente modificate dimostravano effetti biologici che avrebbero potuto essere attribuiti al processo di produzione di ingegneria genetica, piuttosto che al prodotto con il gene introdotto. Una commissione di inchiesta richiesta dal dr. Prusztai e la sua testimonianza presso un comitato della camera dei Comuni dimostrarono che le conclusioni propagandate nella trasmissione erano inesatte, ma per in concentrato di pomodoro non ci fu salvezza e venne ritirata dal mercato. (cfr: http://ucanr.org/repository/cao/landingpage.cfm?article=ca.v054n04p6&fulltext=yes)
6 Andrew Hiatt, Julian K-C. Ma, “Anticorpo monoclonale ingegneria nelle piante.”, FEBS Letters, Vol 307, ed 1, 27 luglio 1992, pp. 71–75
7La Mogen International fu lanciata nel 1985 come joint venture tra l’americana Molecular genetics e la compagnia olandese di investimenti MIP con l’obiettivo di sviluppare modificazioni genetiche per le colture, particolare per trasformare le piante in fattorie per enzimi e carboidrati. Nel 1997 la Zeneca Agrochemicals acquistò la parte olandese della Mogen ottenendo così l’accesso ai brevetti e al mercato dei prodotti OGM.
8La DNA Plant Technology, fondata nel 1981, fu una delle prime ditte ad applicare la tecnlogia transgenica all’agricoltura. Tra i suoi prodotti vi erano del Vine sweet mini peppers, il Fish tomato e lo Y1 Tobacco. Nel 1996 la ditta poi si fuse con la conglomerata messicana Empresa La Moderna, tramite la sua sussidiaria Bionovo che controllava la compagnia sementiera Seminis. La Bionovo chiuse la DNA Plant Technology nel 2002. Tra i suoi ricercatori ci furono Richard A. Jorgensen e Carolyne Napoli che fecero alcune scoperte sul silenziamento genetico post-trascrizionale (post trascriptional gene silencing) o RNAi (RNA inference) che è un meccanismo epigenetico tramite il quale frammenti di RNA sono in grado di “spegnere” l’espressione genica. La RNAi si distingue dagli altri casi di silenzia mento genetico in quanto può diffondere da cellula a cellula ed essere ereditabile. La RNAi fu scoperta tra gli anni Ottanta e Novanta da ricercatori che lavoravano per dare i fiori di petunia un colore più vivace. Tuttora una delle applicazione più profane della RNAi consiste nella creazione di fiori transgenici con pigmentazione particolare.
9 DE LUMEN, B.O. and LIU, J.J. 1994. “A Molecular Approach to Reduce Flatulence in Beans -Purification of Galactinol Synthase.”, University of California Dry Bean Research Annual Progress Report, pp. 115-116.
10 Alla fine degli anni Ottanta da una scoperta fatta da un suo ricercatore tra i mucchi di foglie di un cimitero di Copenhagen trovò uno scarafaggio secernente un enzima, attualmente usato nel detersivi, capace di distruggere le catene proteiche, si iniziò a produrre i primi enzimi che rompevano le catene di grassi per detergenti da microrganismi geneticamente modificati. Nel 2000 la danese Novozymes acquisì la brasiliana Turfal e la tedesca EMD/Merck Crop Bioscience Inc., diventando uno delle più importanti ditte di soluzioni sostenibili per l’industria della agricoltura biologica. Di fatto la danese Novo Nordisk Foundation, un gigante che produce il 49% dell’insulina mondiale, detiene il 25.5% del capitale e il 70.1% dei voti.

Bibliografia
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Andrew Hiatt, Julian K-C. Ma, “Anticorpo monoclonale ingegneria nelle piante.”, FEBS Letters, Vol 307, ed 1, 27 luglio 1992, pp. 71–75


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