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In sostanza, Hamer ha provato che due gemelli omozigoti, ciascuno dei quali con la sua vita, il suo ambiente di lavoro del tutto distinti da quelli dell'altro fratello manifestavano identico credo religioso, peraltro fortemente accentuato e riferivano di esperienze mistiche, visioni, avvicinamento psichico con la divinità. A ciò si aggiunge anche la singolare circostanza per la quale, in determinati stati d'animo, i gemelli di Hamer sarebbero stati addirittura capaci di interferire con la chimica molecolare del proprio corpo, modificando i rapporti quantitativi di sostanze liberate da ghiandole e organi. Un vero e proprio "potere della mente" che, abbinato all'intensa esperienza mistico-spirituale, ha portato i genetisti autori di tali studi a concludere che, nei casi osservati, sarebbe possibile individuare una certa funzione creatrice nella matrice genetica dell'uomo. E che tale facoltà fosse in qualche modo da porre in relazione con l'evocazione del divino così prepotentemente manifestata da tali individui. Hamer ha compendiato l'esito delle sue ricerche in un volume intitolato The God Gene, il gene di Dio, proprio in relazione all'asserito accostamento tra le due particolari qualità delle persone osservate: la "vicinanza" con l'espressione del loro credo e una certa propensione alla taumaturgia. Hamer, nel suo libro, afferma specificamente che la spiritualità sarebbe "psicometricamente misurabile...", ereditaria e, da ultimo, chiaramente localizzabile in uno specifico gene del corredo cromosomatico della popolazione studiata: il VMAT2. Tale gene risulterebbe, secondo le ricerche dello scienziato, influenzare la chimica umana in relazione a una primordiale esigenza di sopravvivenza e miglioramento della specie. I gemelli, in definitiva, grazie al VMAT2 vedrebbero estremamente potenziata la spiritualità, la fede in Dio e, per conseguenza, l'ottimismo e la voglia di realizzare progetti per sé e per gli altri. In questi termini, Dio parrebbe essere assimilato al prodotto inconscio di un training autogeno semi-involontario, frutto di una combinazione ereditaria di geni, sostanze chimiche e potenzialità neuronali latenti. Di contro, altri studiosi come Carl Zimmer si sono dimostrati aspramente critici verso le conclusioni di Hamer, sottolineandone la superficialità del metodo e la assoluta sindacabilità dei risultati dal punto di vista oggettivo. Seguace del postulato hameriano, lo psicanalista Robert Cloninger arriva addirittura a tracciare una scala a tre livelli su cui posizionare coloro che sarebbero dotati di questa spiritualità. Egli separa quanti si limiterebbero a influenzare il proprio comportamento sociale attraverso il misticismo. Questa categoria comprenderebbe, in sostanza, una gran massa di persone le cui facoltà, tuttavia, non supererebbero, appunto, la capacità di autosuggestione. Al secondo livello Cloninger posiziona coloro che manifestano una più ampia condivisione spirituale con tutto ciò che li circonda, capaci, cioè, di realizzare una empatia universale e di "vedere" manifestazioni fisiche e tangibili di tale trascendenza. Da ultimo, vi sono coloro che vivono nel più completo misticismo, totalmente assorbiti dalle presenze metafisiche e costantemente in contatto con Dio. Quello che appare più interessante nelle conclusioni di Hamer e Cloninger, prescindendo dal giudizio circa le dichiarate manifestazioni extrasensoriali dei più di mille gemelli sottoposti a campionamento, è la circostanza in base alla quale i livelli di serotonina, dopamina e noreprinenina risulterebbero effettivamente alterati nei momenti di maggiore intensità dell'esperienza spirituale dichiarata. Giungendo agli effetti pratici di tali studi, lo stesso Hamer ammette che, in definitiva, ciò che se ne può concludere è che Dio sarebbe il derivato di una esperienza chimico-genetica, massimamente avvertita dai gemelli omozigoti. E, inoltre, che tutto ciò che distinguerebbe tali individui dal resto delle persone sarebbe un più accentuato ottimismo e una visione estremamente positiva della vita. Altro sarebbe, invece, ipotizzare sviluppi ben più concreti di tali studi. Le sostanze attivate dal VMAT2 migliorano la concezione dell'esistenza e, secondo Hamer, rappresentano la spiegazione del divino e di numerose, se non di tutte, esperienze trascendentali, visioni e avvicinamenti al sacro. Eppure, in ogni credo religioso è possibile rintracciare figure di uomini "particolari" spesso santificati perché artefici di inspiegabili guarigioni operate imponendo le mani sugli ammalati e guarendoli in nome di Dio. Solo pochi individui, appunto, rispetto a una popolazione di coevi al profeta, al messia o, comunque, al portavoce di Dio in terra. Parrebbe, dunque, interessante auspicare che i genetisti giungano ad analizzare l'eventualità che l'esperienza spirituale, veicolata dalla chimica e da misteriose quanto ignote risorse del DNA umano, possa consentire, effettivamente, di guarire il proprio corpo, se non quello degli altri, come forse è accaduto in passato e accade oggi. Oltre ai vangeli, altre narrazioni raccontano di uomini estremamente longevi e capaci di estirpare il male dalla carne. San Giorgio, in effetti, quale martire cristiano, dal 400 d.C. continua a veicolare il fascino mistico della sua leggenda, una antichissima storia che lo vuole capace di sconfiggere la peste incarnata in un dragone. Ben più noti esempi di uomini in grado di operare miracoli restano affidati alla incrollabile fede dei credenti e al parallelo scetticismo degli atei. Che la scienza riesca a costruire un ponte tra questi due mondi così tra loro distanti? Vincenzo Di Pietro, l'autore ha recentemente pubblicato un romanzo, già in seconda edizione, che traccia uno scenario inquietante sul rapporto tra scienza e fede, IL NUMERO DI DIO. Fonte: www.altrogiornale.org
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