Nato a New York nel 1928 e morto a St Albams nel 1999 Stanley Kubrick è stato il regista statunitense migliore di tutti i tempi. Avrebbe compiuto 86 anni il prossimo 26 luglio ma purtroppo la sorte ha voluto che ci abbandonasse a 71 anni nel 1999, relativamente giovane, appena ultimato il suo ultimo film, il dramma psicologico Eyes Wide Shut con protagonisti la coppia Tom Cruise – Nicole Kidman (allora ancora sposati). Nonostante molti abbiano affermato che Kubrick non sarebbe riuscito a terminare il film del 1999, risulta chiaro che le riprese erano giunte ormai al termine prima che egli morisse stroncato da un infarto. L’amico e collega Steven Spielberg curò soltanto la colonna sonora.
Kubrick ha girato 13 lungometraggi e quello più famoso, per il quale viene ricordato, è senza dubbio il film di fantascienza 2001: Odissea Nello Spazio del 1968.
Kubrick è conosciuto soprattutto per aver affrontato con grande abilità quasi tutti i generi cinematografici: il noir con Il bacio dell’assassino, il thriller con Rapina a mano armata, il peplum (sottogenere cinematografico dei film storici in costume) con Spartacus, la satira politica, con Il Dottor Stranamore, la commedia nera, con Lolita, la fantascienza, nel già citato 2001: Odissea nello Spazio, la fantascienza sociologica, con Arancia Meccanica, il genere storico in Barry Lindon, l’horror con Shining, il genere guerra con Paura e desiderio, Full Metal Jacket e Orizzonti di gloria, nonché il dramma psicologico nel 1999. E’ stato candidato 13 volte al Premio Oscar, vincendolo solo nel 1968 con gli effetti speciali di 2001: Odissea Nello Spazio.
Kubrick è stato anche in grado di trattare molti temi, come quello del “corpo nudo come oggetto di consumo” in Eyes Wide Shut. Ha sempre curato meticolosamente nei minimi dettagli i film da lui diretti e lanciato al successo attori del calibro di Malcom McDowell e Adam Baldwin (in Full Metal Jacket). Il realismo raggiunto con 2001: Odissea nello spazio è inimitabile, seppure molti film moderni come Gravity ci si avvicinano: l’assenza di rumore nello spazio e il rumore che tutto a un tratto torna quando Bowman (Keir Dullea) torna sull’astronave dopo l’ispezione per trovare avarie di sistema. Per non parlare dell’eterna modernità del film, in cui viene trattata anche la lotta tra uomo e macchina e ci si addentra in riflessioni introspettive sull’origine dell’umanità.
Cose da dire sul regista statunitense ce ne sono abbastanza da riempire libri e libri percui il discorso è molto più interessante di quanto esposto finora nonché molto più approfondito. Per approfondire il discorso vi rimando ad un ottimo manuale di cinema Ai Confini Della Comprensione a cura di Stefano Ghislotti.
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