Magazine Opinioni
Verso la fine del 1989, una serie di presunti documenti “ufficiali”, rilasciati dall’aviazione sudafricana, venne messa a disposizione di alcune persone in Gran Bretagna; essi concernevano un UFO crash, presumibilmente verificatosi nelle vicinanze del confine fra Sud Africa e Botswana.
Il primo di questi documenti riferiva quanto segue: il 7 maggio 1989, la fregata della Marina sudafricana Tafelberg comunicò via radio al proprio Quartier Generale di Città del Capo, che un oggetto volante non identificato era stato inquadrato dal radar di bordo, alle h 13.45. Esso stava dirigendosi verso il continente africano.
Alle h 13.52 l’oggetto era entrato nello spazio aereo sudafricano. Non essendo stato possibile entrare in contatto con l’intruso, vennero fatti alzare in volo due caccia Mirage F11G, che si diressero verso la sua rotta. Alle h 13.59, il caposquadra, Goosen, non avendo potuto stabilire alcun contatto con l’UFO, aprì il fuoco con il proprio cannone laser Thor 2, colpendolo. Dopo aver emesso parecchi lampi accecanti, l’oggetto prese a precipitare alla velocità di 3000 piedi al minuto, schiantandosi, con un angolo di 25 gradi, su un’area deserta posta 80km al nord del confine fra Sud Africa e Botswana. Il caposquadra Goosen ricevette l’ordine di sorvolare in circolo la zona, fino a quando l’oggetto non fosse stato recuperato. L’impatto dell’UFO con il terreno aveva prodotto un cratere del diametro di circa 150 metri, e della profondità di 12. L’oggetto argenteo si trovava ora conficcato nel cratere, con un angolo di 45 gradi. Frammenti di roccia e cumuli di sabbia, nelle sue prossimità, erano stati fusi dal calore sprigionato dall’interno, e un forte campo magnetico radioattivo gravava sull’area, interferendo con le apparecchiature elettroniche della squadriglia.
I militari sudafricani (presumibilmente) si calarono nel cratere. L’ordigno non venne al momento identificato, e se ne sospettò la provenienza extraterrestre. La sua fiancata mostrava un curioso disegno, non dissimile da quello dell’UFO di Socorro. Il disco misurava 20 yards di lunghezza, nove e mezzo di altezza ed un peso stimato attorno ai 50.000kg. La superficie esterna aveva un aspetto levigato, simile all’argento, ed era priva di punti di connessione visibili, all’estero e all’interno. Vi erano infine 12 oblò ovali, irregolarmente distribuiti.
Trasportato l’ordigno alla base dell’Air Force, vennero iniziate le analisi, quando all’improvviso si udì un forte rumore risuonare dall’interno, e quindi si notò che un portello si era aperto leggermente: esercitata una certa pressione, esso venne spalancato, svelando la presenza di due umanoidi, vestiti di grigie uniformi. La loro statura era di circa quattro piedi e mezzo; la pelle era di colore grigio bluastro; erano sprovvisti di capelli e la testa sproporzionata rispetto al corpo; gli occhi erano grandi, sviluppati verso l’alto e apparentemente privi di pupille; il naso era dato da due piccoli fori, e la bocca da una semplice fessura, le mani erano provviste di tre dita unite fra loro e terminanti in unghie ad artiglio; non erano visibili organi sessuali esterni. Per via di una reazione aggressiva manifestata dalle entità catturate, non fu possibile estrarre loro campioni di sangue, ed inoltre si rifiutarono di mangiare. Non fu instaurata nessuna comunicazione verbale. I sudafricani disposero del trasporto “solo andata” degli umanoidi alla base di Wright Patterson, che venne fissato per il 23 giugno 1989.
Nome in codice “Silver Diamond”
Il frontespizio del documento in questione reca l’emblema del Castello e quello del volatile ad ali distese della SAAF. Vi si legge inoltre quanto segue: “questo file è stato classificato dal D.A.F.I. Le informazioni in esso contenute non devono essere divulgate. Top Secret”. Il documento è siglato dal numero 7830-18-414-1249 DD 2707.
L’emblema ricompare nella prima pagina, accompagnato da una serie di sigle, come quella del Dipartimento Investigazioni e Ricerche Speciali (DSIR) e quella del Dipartimento di Intelligence dell’Air Force Sudafricana (DAFI). La data riporta Valhalla (AFB) Air Force Base, Pretoria. Il canale designato è siglato con Red/Top Secret, ed il codice di priorità è D4. La gamma dello spettro è blu. Più in basso è riportata la dicitura Codice di Accesso al Computer del Sistema Difensivo: Procedere con attenzione. Il file, consistente in 5 pagine, copertina inclusa, così ripercorre gli eventi.
Grossi elicotteri finalizzati al recupero, furono presumibilmente spediti sul luogo del crash; il primo a giungere sul posto, mentre stava sorvolando l’UFO ad un’altezza di 500 piedi, subì improvvisamente un arresto al motore e precipitò. 5 membri dell’equipaggio morirono. Si apprese in seguito che i velivoli, avvicinandosi all’oggetto, entravano in avaria, a causa dell’intenso campo elettromagnetico emanante dall’oggetto. In un secondo tempo si ricorse ad un prodotto simile alla vernice che, passato sulla superficie dell’oggetto, pareva neutralizzare il campo magnetico. L’UFO venne trasferito e collocato al sesto livello sotterraneo di una base dell’Air Force. L’oggetto era ancora completamente intatto. Arrivò allora un team americano, probabilmente proveniente da Wright Patterson. Mentre la squadra di recupero e gli scienziati stavano sprecandosi in congetture sull’oggetto, la loro attenzione venne colta da un rumore proveniente da un punto sul fianco del disco, dove gli esperti notarono la presenza di una piccola apertura, che dava verso un piccolo passaggio. Si tentò a più riprese di forzarla ma inutilmente, pertanto alla fine venne impiegato un congegno di pressione idraulica, che permise di aprire completamente la portiera, attraverso cui due piccole entità aliene uscirono barcollando, e furono immediatamente prese in consegna dal personale della sicurezza. Venne subito istituita un’equipe medica, in quanto una delle piccole entità pareva seriamente ferita.
Tuttavia, lo staff medico si tirò indietro, non appena vide un proprio collega aggredito da uno degli alieni, che con i propri artigli gli causò profonde ferite al volto e al petto. Vennero quindi stabiliti degli accordi per il trasporto dell’UFO e delle entità alla base USA di Wright Patterson, presso Dayton, Ohio. L’intero cargo venne imbarcato su due Galaxy C2, il 23 giugno dell’89, scortato dal personale dell’USAF. Ulteriori informazioni su questo caso vennero a galla attraverso altri documenti, le indagini di noti ricercatori ufologici, o tramite corrispondenze.
Ora, ripercorriamo insieme l’intera questione
I primi elementi su questo incidente li appresi attraverso due ritagli di giornale, che ricevetti da un amico inglese, nell’ottobre del 1989, nei quali tale dott. Azadehi, un medico armeno residente in Gran Bretagna, riferiva dell’abbattimento di un UFO da parte dell’aviazione sudafricana, i cui occupanti sarebbero stati poi trasportati negli USA. L’Evening Post di sabato 23 settembre 1989 riferiva che un ufficiale dell’Intelligence sudafricana, presumibilmente implicato nel caso, era stato suo ospite per 3 settimane nell’agosto di quell’anno, e gli mostrò del materiale inerente il fatto. Io stessa ricevetti un articolo con un’analoga storia, tratto dal Daily News, un quotidiano di Durban, S. A., datato 12 ottobre 1989. Sulla base di questi resoconti, scrissi a Leonard Stringfield, del MUFON – il quale aveva già pubblicato diversi articoli su casi di recupero di UFO – domandandogli se avesse conoscenza di questo caso, e della sua eventuale opinione a riguardo.
Fra il 6 ottobre e il 2 novembre dell’89, Peter Wintle, mio amico personale, ricercatore ufologico di Città del Capo, S. A., era venuto a trovarmi. Una mattina, mentre egli era fuori casa, ricevetti una telefonata destinata a lui; la persona si identificò come James Van Greunen. Questo nome non mi era affatto nuovo; ricordavo infatti che mia figlia a Città del Capo mi aveva poco prima parlato di un’intervista televisiva in cui una persona con lo stesso nome, sui 25 anni, aveva reso nota la fondazione di un gruppo di ricerca a Johannesburg, il MUFORIN, sollecitando le adesioni dei telespettatori e comunicando il suo nome ed indirizzo. James quindi disse al telefono di conoscermi e di sapere che stavo per recarmi a Johannesburg. Mi chiese anche se fossi interessata a rivolgere un pubblico discorso al suo gruppo, formato da una trentina di persone. Disse che sarebbe tornato da me per gli accordi definitivi a questo riguardo, ed io gli indicai tre giorni nei quali sarei stata reperibile durante la mia breve permanenza nella sua città. Mi ritelefonò alcuni giorni dopo. Nel frattempo avevo appreso da un altro ricercatore, Kenny McKinson, che Van Greunen aveva reso nota la data stabilita per il mio discorso, nella sua rivista, organo del MUFORIN, ossia il 29 dicembre. Al telefono, James mi confermò la cosa, menzionando il nome dell’hotel dove il discorso si sarebbe tenuto. Mi chiese di chiamarlo al mio arrivo a Johannesburg, per fornirmi le informazioni definitive. Nel corso delle prime settimane di dicembre Van Greunen mi richiamò, comunicandomi che forse sarebbe venuto nello Zimbawe, alquanto inaspettatamente; lo preoccupava il fatto di trovare un posto in un hotel durante il periodo natalizio, per lui ed un suo amico. Lo tranquillizzai, perché sarebbero stato miei ospiti, ma lo pregai comunque di darmi una conferma. Di lui non seppi più nulla!
Minacce telefoniche
Mentre mi apprestavo a partire per il Sud Africa, alle 21.00 del 27 dicembre 1989 ricevetti una telefonata interurbana da un anonimo che parlò in termini alquanto minacciosi: data la chiarezza della comunicazione, supposi giungesse dal Sud Africa. Ma l’uomo aveva uno strano accento che non seppi bene identificare; non era sudafricano, forse Belga o Olandese. Mi disse: “Credo che tu abbia invitato James Van Greunen a casa tua, vero?! Se solo ci mette piede, finirà con trovarsi in guai seri! E’ un poco di buono e rappresenta una vera disgrazia per il Sud Africa…”. Ero stupefatta! La voce continuò: “Sappi inoltre che se tenterai di indagare il caso dell’incidente al confine di Botswana / Sud Africa, avrai modo di pentirtene. E’ una storia che non ha niente a che vedere con te, pertanto faresti meglio a dimenticartene”.
Gli chiesi come si permettesse di minacciarmi, chi si credesse di essere per arrivare a tanto, in quanto ero libera di invitare chiunque desiderassi a casa mia! Ero infuriata, anche se dovevo ammettere che inconsciamente sentivo la presenza dei M.I.B.s in questa storia. Ma inaspettatamente, nel corso della conversazione, la linea cadde. Successivamente appresi da fonte attendibile che la persona dalla quale avevo ricevuto la telefonata doveva essere il dottor Azadehedel, il cui intento era quello di scrivere un libro sul crash in questione. Oggi il Dr. Azadehedel ha cambiato il proprio nome in Armen Victorian, e continua a perseguire con estremo interesse lo studio della materia ufologica. I miei amici ed io arrivammo a Johannesburg a mezzogiorno del 28 dicembre. Appena entrata nell’appartamento affittato per l’occasione, presso Hillbrow, chiamai il numero datomi da James Van Greunen: 484-5216. Continuai a chiamare per l’intera giornata, sera inclusa, e feci altrettanto il giorno successivo, preoccupandomi col passare delle ore sempre più, ma fu tutto inutile, nessuna risposta. Più tardi, verso le 19.30, desistetti. Il giorno dopo partii per Città del Capo. Mi fu molto utile l’aiuto di un mio collega di Pretoria, David Powell che, indagando, apprese che la conferenza pubblica di Van Greunen avrebbe dovuto svolgersi la sera del 29 dicembre, presso l’Hotel Johannesburg. Il costo del biglietto d’ingresso sarebbe stato di 20 R (circa 6,50 dollari). L’addetto alla reception informò David che Van Greunen aveva effettivamente prenotato una camera per la sera del 29, senza però dare più conferma. In ogni caso, due dozzine di persone si presentarono inutilmente all’hotel quella sera, avendo già acquistato il biglietto della conferenza, ricavandone forse l’impressione che l’organizzatore si era dileguato con la cassa. Al mio arrivo a Città del Capo, trovai nella posta una lettera che diceva che un gruppo aveva aiutato Van Greunen ad abbandonare il Paese, poiché, si leggeva, egli si sarebbe reso conto di esser in pericolo di vita, da parte probabilmente dell’Intelligence sudafricana. Per motivi di sicurezza, egli si era quindi rifugiato in un luogo sicuro all’estero, precisamente a Monaco, in Germania.
Documenti a prima vista autentici
Nel frattempo si erano accumulate parecchie prove a sostegno dell’UFO crash del confine, rappresentate dai documenti prodotto da Van Greunen. Tale materiale, dato da due set di cinque o tre pagine, pareva a prima vista autentico, e certo nessuno potrà biasimare quei ricercatori che su di esso profusero il loro impegno. Tuttavia, fu solo nel momento in cui ebbi modo di visionarne il contenuto di quegli scritti, che i sospetti riguardo la loro pretesa attendibilità cominciarono a farsi strada in me. Infatti, avendo prestato a suo tempo servizio per tre anni nell’Air Force del Sud Africa – conclusisi con la mia promozione a sergente ed avendo preso parte, sotto speciale giuramento, ad operazioni combinate – sapevo che nessun ufficiale della SAAF mai avrebbe approvato un documento contenente tanti errori di ortografia e di terminologia militare, a parte il linguaggio oltremodo suadente. Ovviamente, non potevo essere certa che Van Greunen fosse l’autore del falso, ma non avevo dubbi che di falso si trattasse. In seguito appresi infatti che egli aveva “rielaborato” tali documenti, avendo avuto accesso a certi codici riservati delle SAAF. A tal fine probabilmente egli venne aiutato da terze persone, inserite in quegli ambienti: una doveva senz’altro essere Hendrik Greef, pilota militare e suo amico dai tempi di scuola. Uno dei documenti in questione reca un numero telefonico di Pretoria: 012-324-1411. Di questo parlerò più avanti. Vi appare un altro numero telefonico: 010-711-211 che ritengo appartenga ai militari. Diversi colleghi,degni di fiducia e attendibili, hanno contribuito a questa investigazione. Fra questi, Peter Wintle di Città del Capo, David Powell, corrispondente della Flying Sucer Review e collaboratore di altre riviste ufologiche e Maria Sullivan, redattrice di UFO AfriNews. Da loro ottenni la conferma dei miei sospetti sulla figura di Van Greunen. Intanto le principali testate giornalistiche di tutto il mondo avevano preso a parlare del crash; ricevevo infatti richieste di informazioni da Russia, USA, Gran Bretagna, Europa, Giappone ed Australia, che a mia volta inviavo al MUFON. Ci fu, in merito, anche una certa polemica con la rivista britannica Quest International: il suo editore, Graham Birdsall, aveva scritto un pezzo intitolato “Commenti all’incidente Sudafricano” che in sintesi mi attaccava per la mia intenzione di presentare il caso sudafricano per conto della BUFORA di Londra e per aver tardivamente consultato Tony Dodd. Ma ritengo si sia trattato di un malinteso.
Il parere di Michael Hesemann
Il ricercatore tedesco, da noi interpellato in merito alla consistenza delle prove inerenti l’UFO crash nel Kalahari, ritiene gli avvenimenti descritti nella documentazione dibattuta nell’articolo di Cynthia Hind, fondamentalmente esatti. A suo parere l’incidente si svolte secondo la dinamica riportata nei documenti, pur evidentemente falsi, in quanto prodotti dal fantomatico Van Greunen. Tali avvenimenti, inoltre, sarebbero direttamente da rapportare alla cosiddetta “Intervista Aliena”: la creatura che apparirebbe nel video, infatti, sarebbe stata recuperata proprio nelle circostanze dell’incidente del Kalahari, per essere poi trasportata a Wright Patterson e quindi nell’Area 51 dove sarebbe avvenuto l’interrogatorio, in totale coincidenza con le dichiarazioni del personaggio ormai noto come “Victor”.
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