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Il “giallo” e la narrazione della realtà socio-politica

Creato il 22 marzo 2012 da Autodafe

di Cristiano AbbadessaIl “giallo” e la narrazione della realtà socio-politica

Ho letto negli ultimi giorni un paio di interviste alla nostra Virginia Less, autrice di Mal di mare. Interessanti, anche nel delineare il rapporto tra Virginia e il genere letterario in cui ha scelto di cimentarsi, ovvero quello del “giallo classico”, più incline al poliziesco che al noir attualmente di moda. Istruttive le motivazioni, con un excursus nei rapporti tra filosofia, logica e metodo d’indagine. Divertente, in certa misura, la scoperta di un retaggio antico per cui il genere andava annoverato, secondo i letterati puristi, tra quelli poco nobili e poco colti, destinati a un pubblico amante dell’evasione; pregiudizio che mi pare ormai ampiamente superato.
Appropriata, al riguardo e non solo, una considerazione che emerge nella chiacchierata pubblicata sul sito La Stamberga dei Lettori. Ripercorrendo la storia italiana di questo genere letterario, viene infatti sottolineato come il giallo, nell’interpretazione degli autori più famosi del panorama nazionale, abbia mostrato grande attenzione agli aspetti sociali, cioè proprio quelli che interessano la nostra casa editrice.
Verissimo. Anche troppo direi, tanto che ritengo utile svelare, al proposito, una sorta di retroscena.
Quando abbiamo fondato Autodafé e ci siamo dati l’obiettivo di pubblicare opere attente alla realtà sociale dell’Italia contemporanea, abbiamo pubblicamente affermato che avremmo prestato estrema attenzione alla pertinenza dei contenuti e dei temi col nostro progetto, ma senza porre limitazioni preventive per quanto riguardava le scelte stilistiche e i generi letterari. Se questa era la dichiarazione ufficiale, tuttavia, non ci nascondevamo, almeno tra noi, che forse non sarebbe stato semplice trovare dei gialli adatti alla pubblicazione.
Non, si badi, perché il genere poco si presti alla riflessione sociale, ma per il motivo esattamente opposto, come emerge nell’intervista citata. Una delle nostre considerazioni di partenza, guardando il panorama letterario, era infatti che l’attenzione al sociale ci appariva scarsa, quasi sommersa di fronte al dilagare di narrazioni introspettive e intimistiche, o di avventure fantastiche e sganciate dal reale. Unica eccezione, appunto, era la presenza di una non piccola (e anche qualitativamente interessante) schiera di narratori noir (più che gialli) le cui storie pescavano a piene mani in un’ambientazione realistica, fortemente contestualizzata, con buona attenzione a tematiche sociali, politiche ed economiche. Ci eravamo insomma detti che, guardando lo stato dell’arte, la narrazione del sociale sembrava quasi del tutto demandata all’opera dei giallisti nostrani; e che, per questo motivo, sarebbe stato per noi più facile e più probabile privilegiare altri generi narrativi, capaci di scandagliare la realtà sociale italiana partendo da schemi meno noti e seguendo percorsi meno battuti.
Se abbiamo vinto il nostro piccolo pregiudizio e scelto di pubblicare i sette racconti di Virginia, tutti legati dal filo di un’identica ambientazione e dalla presenza fissa di alcuni personaggi (a cominciare dal capitano Osvaldi) è stato essenzialmente per due motivi, oltre che, ovviamente, per la buona qualità stilistica dell’opera; e sono due motivi che nel corso dell’intervista vengono fuori, confermando di aver colto nel segno. Da un lato, come è prevedibile, ci ha convinto l’ambientazione nel mondo della vela di quasi tutte le storie raccontate; uno specifico innovativo, caratterizzante, in grado di rappresentare un segno di distinzione e naturalmente utilizzato con sapienza dall’autrice, che della vela è appassionata autentica e parla con esperienza e conoscenza diretta.
Ma, soprattutto, a renderci interessante Mal di mare è stata la capacità di cogliere alcuni aspetti sociali che uscivano totalmente dalla consuetudine del “noir impegnato”. Anche nei racconti di Virginia ci sono, e ben modellati, episodi relativi alla politica, al malaffare, agli intrecci economico-criminali, come in altri romanzi di genere. Ma vi è, in più, un’attenzione al quotidiano, alla storia, all’intreccio di vite e di caratteri che altrove risulta appiattito. Nell’intervista alla Stamberga viene citato, ed è un esempio efficacissimo, Il danno della letteratura: un racconto che racchiude emblematicamente quel qualcosa in più che noi abbiamo trovato in quest’opera e che ha marcato la differenza rispetto a modelli già conosciuti.
Qualche tempo fa si diceva che “solo i comici e i satirici sono ormai capaci di parlare di politica”. E, forse proprio per questo, dopo un po’ un certo tipo di satira militante ha cominciato a stancare e si è apprezzato chi sapeva fare satira di costume. Con il “giallo impegnato” è un po’ accaduto lo stesso: oggi, chi sa cogliere il sociale in tutte le sue sfaccettature si staglia su un panorama dove il noir sociopolitico è diventato la norma.
Ed è questo un buon esempio di come sia giusto e pagante che la sensibilità personale, nella creatura della narrazione, prevalga sull’imitazione delle mode letterarie del momento.


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