All'inizio è solo uno sguardo dalla finestra, distratto, casuale.
Comincia la primavera anche in questo paese del nord. Ed io, da buona italiana, sono chiusa all'interno, ho declinato con un sorriso l'invito della cameriera a sedermi in giardino, sono qui, un po' rinatanata, e guardo fuori.
Che è primavera si capisce, per me, solo dal verde cupo del giardino, dalla pianta sul davanzale.
Ma quell'assenza di sole non mi convince appieno.
Ad un certo punto non guardo più, ma comincio a vedere.
La coppia.
Forse è il cappello di lei che mi attira.
Molto bello, ma molto inutile, a mio parere.
Poi è la curiosità: le nasconde completamente il volto.
Poi è lo sguardo di lui, poi sono i colori, la primavera chiamata anche se ancora io non la percepisco come tale.
Lei sembra assorta in un sole interiore.
Lui è tranquillo, posato, in un gesto che sembra abituale, che sembra provenire da anni di abitudine all'ascolto. Forse è un vecchio professore in pensione, in questa antica città universitaria.
Lei sembra dipendere da quello che lui dirà. O non dirà.
Aspetta.
Ma è una macchia di colore e di fiducia in una primavera che verrà.
Una primavera nel bel mezzo di un tardivo inverno. O forse un piccolo spruzzo di inverno in una irragionevole primavera eterna.