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Il giardino non esiste.

Creato il 20 agosto 2012 da Tazzina @tazzinadi

Il giardino non esiste.
Che questo sia (e già da un po') "il momento degli scrittori sardi" non è una novità. Sarde sono infatti le tastiere più attive e interessanti degli ultimi anni (e Murgia*, Fois, Niffoi, Agus, Soriga sono solo alcuni tra i cognomi più famosi). E completamente sardo è ancora il panorama che ho impresso anche io nei miei occhi come un persistente ologramma, nonostante il ritorno in terra torinese. 
Un paesaggio di una bellezza senza ritorno, di una ricchezza e di una complessità ancora per me da metabolizzare: cose che tuttavia sono rimaste qui accanto a me, come regali della vita, da scartare.
Tra le cose belle che ho ricevuto dal mio viaggio in Sardegna, c'è anche un prestito: si tratta di un libro: Il giardino non esiste di Alberto Capitta, editore Il Maestrale (grazie Irene!).
L'amica che me lo ha prestato mi ha anticipato la bellezza del romanzo, ma giustamente non ha voluto aggiungere di più, lasciando a me la sorpresa della lettura. Cosa che farò anche io qui, limitandomi a un cenno brevissimo di trama e poche considerazioni personali.
Questa è la storia della piccola Carmen che vive con il papà Romeo Scalas (ricco commerciante di dolciumi, salumi e caffè), la matrigna Flora e i gemellini nati dalla nuova coppia in una città sarda mai nominata. Orfana di mamma, Carmen è appena una bambina quando la incontriamo la prima volta. La sua fantasia è fervida, vivida e articolata, e prende vita, come un incantesimo, tra una noiosa quotidianità casalinga e il suo giardino segreto dove può finalmente sentirsi libera e in contatto con la (madre) natura. Carmen, però, ben presto dà segno di aver contratto un grave disturbo: l'epilessia. Lo sfondo è quello del secondo dopoguerra italiano di una famiglia che, seppur agiata, non conosce l'attenzione che si presta oggi ai bambini e insieme a questo tipo di patologie, senza contare l'innata crudeltà della matrigna e l'inconsistenza di un padre che non sa far fronte sue esigenze affettive. E Carmen quindi cade vittima una seconda volta, non solo della malattia, ma anche dell'ignoranza e trascuratezza di un mondo adulto difficile da decodificare. Ma non basta: il destino avrà in serbo anche molte altre sfide (e qualche dolcezza) per la piccola, che, nel mentre, diventa grande, esce dalla comoda casa per poi farvi ritorno molto dopo con uno spirito completamente diverso.
Mi fermo, ma aggiungo solo che in questo romanzo le tinte sono quelle di una favola realistica, ricchissima di immagini e sensazioni forti, nette, archetipiche. Tutti i sensi si attivano nella lettura, fortissimi sono i profumi, impressionanti le figure che si compongono davanti agli occhi, continuamente interpellato l'intuito, che serve a capire cosa accadrà, cosa è accaduto, dal momento che l'autore introduce spesso piccoli flash-back e forward. 
E al contempo ci si nutre del nettare di una bella scrittura, a volte ricamata, solida e insieme funambolica, capace di scandagliare tutte le peculiarità dei rapporti umani più stretti, quelli della famiglia, regalandoci un piccolo personaggio disarmante, struggente, tenero e poi fortissimo e resistente, il più resistente di tutti. Carmen è proprio di quelle "creature ostinate", che rimangono piantate nel cuore, come un amore o come una ferita.
Quanto a me, l'ho letto quasi tutto in una notte, sul traghetto di ritorno dalla Sardegna, al tavolino di un bar, vegliando sui sogni degli altri passeggeri e sulle fantasie di Carmen, avvertendo tutta la fatica e il privilegio di quando il demone delle parole ti si appollaia di fianco e decide, per le ore che vuole lui, di toglierti il sonno.
* Nella cui città natale Cabras (in sardo Crabas) ho trascorso la sera del mio compleanno! Ci tenevo: non lo posso definire un pellegrinaggio, poiché l'autrice è giovane e vivente, ma è stato davvero emozionante.

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