Brainscan – Il gioco della morte
Il giovane Michael (Edward Furlong) è appassionato di tecnologia e horror. Gestisce un fanclub a tema, dove proietta i suoi film preferiti (come per esempio Sangue, sangue, sangue, parte seconda – in originale Death, death death) disprezzatissimo dal morigerato preside della scuola.
Quando mette le mani su Brainscan, un nuovo videogioco, lo sottovaluta con spocchia, bollandolo come l’ennesimo tentativo di spaventare il giocatore, che deve interpretare la parte del serial killer. Purtroppo per lui dopo la prima partita scopre che l’omicidio commesso in piena notte è avvenuto davvero. A conferma di ciò si ritrova il piede della vittima nel frigo.
Il cattivo di turno, Trickster (T. Ryder Smith), seppure già presente in modo marginale, entra del tutto in scena dopo mezz’ora di film. Lo spirito elettronico del gioco spiega a un disorientato Michael che la differenza tra reale e irreale non conta, almeno fino a quando non ti beccano. Infatti c’è un testimone e va eliminato, basta inserire il secondo CD.
Brainscan – Il gioco della morte (1994), diretto da John Flynn, risente molto delle influenze di Wes Craven (e presto questa rubrica ospiterà diversi personaggi craveniani): le interferenze tra realtà e immaginazione, la magia e la tecnologia unite in modo bizzarro, persino una certa ingenuità nella trama e nei personaggi.
Seppure non si raggiungano i livelli del miglior Craven, tuttavia il film beneficia di un cattivo azzeccatissimo, dalla forte presenza scenica, colorato eppure macabro, messo in scena con una recitazione di tipo teatrale, che si sposa bene con l’atmosfera weird. Esemplare il balletto a ritmo di Welcome to this world dei Primus. Infatti T. Ryder Smith è principalmente un attore di teatro, e sa come trasformare la camera di Michael in un palcoscenico.
Moderno e cibernetico Iago, Trickster suggerisce a Michael tutte le mosse da eseguire per non farsi arrestare dall’arcigno detective Hayden (Frank Langella). Anche se spesso sembra volere più sabotare che aiutare il giocatore…
L’ormai disilluso Michael scoprirà che essere un serial killer non è affatto semplice.
Abbastanza sottovalutato come film, in realtà dimostra di avere un suo fascino, sia per i rimandi a Craven che per il villain ben costruito; inoltre ha la capacità di non prendersi sul serio (talvolta con qualche immancabile caduta), che tuttavia manca a molte pellicole di genere odierne, tanto pretenziose quanto scarse di carisma.
Marco Parlato