Ultimamente, sono tornata a dedicarmi ad uno miei autori preferiti della seconda metà dell’infanzia: Stephen King.
“Che razza di infanzia ho avuto?!”, direte voi. Effettivamente sotto il profilo delle letture è stata un po’ particolare…che tutto abbia avuto inizio in seconda elementare, con quello sfortunato incidente che ha coinvolto me, Pascoli, mamma, un mio disegno e una maestra un po’ troppo melodrammatica che ebbe la brillante idea di farci studiare e “Novembre” a 7 anni (“è l’ estate, fredda, dei morti”, non so se avete presente)?!
Fatto sta che Rodari, Verne (ragazzi, che cotta che avevo per Ayrton, uno dei personaggi dell’Isola Misteriosa!) e compagnia danzante li divorai alla svelta e…si, insomma, sapete come vanno certe cose: hai 8 o 9 anni, chiedi a tua sorella 9 anni più grande di leggerti una storia e lei prende “La sepoltura prematura” di Edgar Allan Poe. Da lì a King il passo è breve. Altro che i libri della collana “piccoli brividi” che leggevano i miei compagni di classe!
A conti fatti, ha fatto più danno Pascoli che King, poi un giorno vi racconterò anche questa.
Insomma, ultimamente ho comprato alcuni dei romanzi di King che ai tempi della mia (pre)adolescenza vennero censurati. Questo è il turno di “Il gioco di Gerald”.
Oggi, come sempre, salgo sul treno per tornare a casa, mi metto comoda e prendo il libro dalla borsa. Accanto e davanti a me si siedono due ragazze che parlano a voce bassa, ma gesticolando con molta foga. Parlano a voce bassa, ma nemmeno prendono fiato. Il treno parte e io inizio a leggere. Io leggo e le ragazze parlano. La storia arriva ad un momento cruciale. Ragazzi, King nel suo genere è un genio assoluto. Un pò debole nei dialoghi, va detto, ma se decide che il lettore deve farsela sotto in preda alla tachicardia…lo fa, eccome se lo fa. Se decide che al lettore si deve accapponare la pelle, lo fa, eccome se lo fa. Con gli anni ha perso smalto, ok, ma fino alla prima metà degli anni ’90 era un fenomeno.
Fatto sta che ero nel momento clou della storia. Vi risparmio il modo in cui stava cercando di farlo, ma vi basti sapere che la protagonista stava cercando di sfilarsi una manetta. Senza accorgermene, avevo infilato la nocca dell’indice tra i denti e – aiutata dalla puzza di cadavere che sempre avvolge e permea i vagoni della Roma Nord – io mi ero completamente alienata. Non ero più a Roma, ero nel Maine, in una casa sulla riva di un lago e stavo assistendo ad una scena terrificante.
Ad un tratto, quella sciagurata che era seduta accanto a me – e che non s’era zittata un attimo, anche se non percepivo più nemmeno il brusio di sottofondo già da un pò- notando un mio movimento di disagio sul sedile e pensando che fosse dovuto ad un mio eventuale fastidio nei confronti delle sue chiacchiere, dispiaciuta mi tocca con energia il braccio e mi fa:
“Signori’, scusi, ma che je sto a dà fastidio, parlo troppo for…”
Ohi, ho fatto un tale salto sul sedile che quella ragazza, poverina, non è riuscita nemmeno a finire la frase….