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Tom Ripley (John Malkovich) è un ricchissimo malavitoso, intelligente e abilissimo. Lavora in tutto il mondo, ma si è stabilito in Veneto, in una meravigliosa villa del Palladio con la sua compagna, una pianista di successo, spregiudicata e bellissima. Per un affare, incontra Jonathan Trevanny (Dougray Scott), il quale - più per cortesia che per altro - lo invita a casa sua, ma non si accorge del suo arrivo e lo offende pesantemente con i convitati alla festa. Da quel momento, per il giovane - condannato a morte da una leucemia mieloide - comincia un gioco perverso al quale non sa sottrarsi.
Ripley sceglie Jonathan perché è innocente e l'innocenza vale molto. Dà il suo nome a un seccatore, Reeves (Ray Winstone) che vuol ingaggiare un assassino fuori dal giro per un omicidio a Berlino, con la promessa di ottimo compenso per la famiglia e un consulto con un oncologo di fama mondiale. Al di là di qualsiasi attesa, dopo molte reticenze, l'uomo accetta e compie alla perfezione il suo compito. Ma non c'è compito mortale senza strascichi e non c'è morte che non anticipi altre morti. Jonathan non resiste alla tensione, ma non sa sottrarsi al gioco imbastito per lui da Tom Ripley.
Tratto da una serie di romanzi di Patricia Highsmith, Il gioco di Ripley ripropone la stessa porzione di storia selezionata da Wim Wenders nel 1977 per L'amico americano, che ha lo stesso titolo del libro (ma che non ho mai visto e dunque non posso dire se tecnicamente si possa parlare o meno di un remake). Certo, in quel film Ripley era interpretato da Dennis Hopper, ottimo attore di tradizione completamente diversa. D'altra parte, non credo si possa dire che questo bel thriller di Liliana Cavani possa essere considerato propriamente un sequel de Il talento di Mr. Ripley (1999, tit. or. The Talented Mr. Ripley) di Anthony Minghella, con Matt Damon (certo ancora altra cosa da John Malkovich; e in quel film c'era un Jude Law che forse avrebbe potuto farne meglio le veci). Insomma, mi sembra che questo misterioso Tom Ripley sfugga a una definizione cinematografica, nonostante la tentazione continua di presentarcelo al cinema.Film elegante, con il giusto livello di tensione e di ritmo, Il gioco di Ripley si aggiunge alla schiera di titoli che vantano musiche di Ennio Morricone, forse non al top dell'originalità, ma eccellente nel definire le atmosfere. La brumosità veneta, l'illuminata limpidezza rinascimentale di Palladio, una Berlino insieme tersa e sotterranea fanno da sfondo a un intrigo che regge molto bene in virtù di due protagonisti eccellenti. Lo sguardo glaciale di John Malkovich e l'espressività ricca di Dougras Scott reggono la scena e una trama che non smente la sua origine: Patricia Highsmith è autrice solidissima di atmosfere cariche di tensione (ricordo almeno l'agghiacciante Gente che bussa alla porta, letto non so più quanti lustri fa). Si tratta di storie che stravolgono la vita reale, anche e soprattutto quando questa è già minata nelle sue basi di sicurezza e di affetti.Il ritratto dei personaggi indulge, in effetti, in certe banalità, che non li rendono meno reali, ma certo ce li fanno apparire meno interessanti. Su questa precisa base, le farneticazioni di Ripley sulla coscienza, sull'attesa, sul senso del male appaiono posticce, se non per l'intensità di John Malkovich. Si ha la sensazione che Ripley abbia più che qualche idea, ma un intero sistema morale che - proprio perché del tutto incondivisibile - sarebbe interessante conoscere, approfondire, in una prossima trasposizione.
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