Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale 1. Senza via di scampo, l’uomo si ritrova suo malgrado ad affrontare la vita con un destino già segnato, gettato nel mondo per parafrasare Heidegger, temendo la sofferenza ma ancor più la morte, la più grande angoscia dalla quale fuggire. La morte, unica certezza, unico punto fermo dell’esistenza, la più terribile fatalità biologica 2, poichè vita e morte sono condizioni della medesima realtà e del medesimo essere. Nonostante il perenne desiderio di immortalità il tempo passa e più ci si avvicina ad essa, in un conto alla rovescia inevitabile, più la si nega. Malgrado ciò la morte è un divenire naturale. Chi è nato deve anche morire e questa è una realtà concreta che non può annullare l’essere stati al mondo, perchè il non essere per definizione non esiste. Ne Il giorno del giudizio, Salvatore Satta s’interroga sul senso della vita, sulla caducità dell’esistenza e lo fa attraverso la morte. Il senso della vita che domina e ritorna quando con la memoria si concede alle anime di rivivere per non cadere inesorabilmente nell’oblio. Perciò i defunti implorano il ricordo, un momento per commemorare la loro vita e giungere al giorno del giudizio, positivo o negativo che sia, chiamati a raccolta per liberarsi in eterno della loro memoria 3.Epico e visionario - definito da George Steiner uno dei capolavori della solitudine e della letteratura moderna -, si svolge in uno scenario cupo e inquietante per indagare la dimensione esistenziale tra il tempo che scorre e l’immobilità dell’eterno, il breve e faticoso viaggio nel tempo di ciò che noi chiamiamo vita, tra luci e tenebre, vittime e carnefici, bene e male. Un lugubre affresco dallo sfondo apocalittico che da una parte contempla il ricordo perenne dall’altra la fugacità dell’esistenza. Ma la morte è eterna ed effimera non solo per gli uomini ma anche per le cose: in casa sua non era mai entrato un giocattolo, se non fosse qualcuno per le bambine morte, ed era morto con esse 4. Perchè la vera e sola storia non siamo noi e ciò che ci circonda, la vera storia è il giorno del giudizio e l’unico peccato è quello di essere vivi: in questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi meno che da uno, quello di essere stati vivi 5. Un giudizio finale, quello di Satta, da interpretare, che potrebbe essere il trionfo della vita ma anche il trionfo della morte e che induce a domandarsi se ci sia più speranza nelle tragedie dei vivi o nella solitudine dei morti. Mentre il tempo scorre impietoso e l’eternità regna immobile.
1 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, pp. 291, 292.
2 Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore, Roma, 2002.3 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, p. 103.4 Op. cit., p. 64.5 Op. cit., p. 102.IL GIORNO DEL GIUDIZIOgroup show a cura di Roberta VanaliSilvia ArgiolasNicola CareddaPaolo PibiDaniele SerraExMà Cagliari 6/23 settembre 2012