IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato
puntata numero 12
Il suono del mio cellulare spezza la confortante barriera creata dal sonno tra me e la mia coscienza. Solo ora i ricordi della notte tornano a riaffacciarsi alla memoria. A fatica, afferro il telefonino.
- Mario! – è mio cugino Armando Leoni – E’ un po’ che ti cerco… Dormivi, forse? Dobbiamo vederci subito.
- Ma… che ore sono?
- Le tredici passate! Stai a sentire: c’incontreremo dove ci siamo visti la prima volta! Hai capito bene? E bada che qualcuno non ti segua!
- Armando, ascolta: ti cerca la Digos; cos’hai combinato?
Mio cugino ridacchia come uno stupido – Lo so bene! Sbrigati!
Ha tolto la comunicazione. Non mi resta che prepararmi un caffè forte e partire al più presto.
Si torna sempre indietro. Qui, io e mio cugino ci siamo visti la prima volta. Ero piccolissimo, lui aveva già sette anni. Ricordo i nostri genitori mentre tagliavano l’arrosto e spezzettavano per noi i bocconi più grossi, scacciando le rare vespe che ronzavano intorno al nostro pic- nic, sull’erba di Villa Torlonia. Splende un bel sole. Cammino fino al vecchio albero morto (allora era un piccolo pino, piantato da poco) a pochi metri dalla fontana-abbeveratoio. Non mi resta che aspettare. Proprio una splendida giornata. Sono appena le quindici, e mi siedo sulla panchina dipinta di quel verde scolorito tipico dei parchi romani. Non c’è molta gente: qualche pensionato, un paio di coppiette, una donna con la carrozzina del suo bebè… Mi sento toccare la spalla e salto come una molla.
- Ehi! Sei una pila elettrica! – ride Leoni – Non ti sei fatto seguire, vero?
- Non credo proprio. Ed è strano, vero? Ti cerca la Digos.
- Lo so. Puoi capire, quindi, la mia prudenza. Scommetto che vuoi sapere il motivo che li spinge a darmi la caccia.
- Diciamo che non mi dispiacerebbe sapere cos’hai combinato.
Armando sorride. E’ rilassato, tranquillo:
- Sono diventato importante, da un po’ di tempo a questa parte! Indovina chi è venuto a trovarmi!
- Se non è la Digos, proprio non saprei…
- Mio padre!
Non posso fare a meno di ridere:
- Sei impazzito? Oppure, hai partecipato ad una seduta spiritica? Tuo padre è morto tre anni fa!
- Tre anni fa è morto Giovanni Leoni, il marito di mia madre… Il padre adottivo che ho dovuto sopportare sino alla fine dei suoi miserabili giorni! Un piccolo bottegaio ebreo! In realtà, io sono il figlio naturale di un ex colonnello delle SS, dopo la guerra transitato nel libro paga della CIA. Costui, s’innamorò di una piccola, biondissima ebrea e se la portò nel castello di famiglia, nell’alta Baviera. Potevano vedersi raramente, i due piccioncini, tra una missione a l’altra agli ordini del servizio segreto del Terzo Reich… Io nacqui nel ’45, poco prima che mia madre fuggisse in Italia da certi parenti di Savona, e mio padre riparava negli States… I Servizi Alleati erano rimasti impressionati dalle sue incredibili capacità e decisero di arruolare quel giovanissimo, brillante ufficiale nazista. Nel frattempo, mia madre, credendolo morto, sposò un lontano cugino che, per sua e mia sfortuna, non poteva avere figli… Quando mia madre seppe la verità sul conto di mio padre, erano passati dieci anni… Ricordo quell’uomo altissimo ed imponente, sollevarmi come un pupazzo per farmi roteare sul suo capo, senza gioia apparente, ma con un orgoglio tale in quegli occhi d’acciaio che non saprei descriverti… Mi spaventava e mi eccitava al tempo stesso… Durante quella breve visita, dimenticai in fretta la figura curva del piccolo bottegaio occhialuto che credevo mio padre, e gli chiesi di portarmi con lui, in America. Rise sfacciatamente, mentre mia madre se lo mangiava con gli occhi, innamorata come non mai. Poi, mi allungò una mancia generosa e mi spedì a comprarmi un gelato… Mia madre rimase con lui, e quando tornò a casa, con le guance ancora rosse ed i capelli in disordine, mi raccontò con un filo di voce il resto della storia… Si videro spesso, negli anni seguenti, fino alla morte di lei, come sai, per un brutto tumore.
- Perché mi hai sempre nascosto la verità?
- Mio padre non doveva neanche esistere! Mia madre mi fece giurare che avrei tenuto il segreto per sempre. Lo amò senza ritegno, perdutamente, fino alla morte. Io l’ho rivisto nelle sue rare visite in Italia, in media una o due volte l’anno, fino al funerale della mia vecchia. Per la cronaca, si chiama Henkel.
- Tuo padre è una specie di terrorista? Cosa vuole la Digos da te?
- Mio padre è un grand’uomo, cuginetto caro! Lasciali fottere, quelli della Digos! Aiutami a proteggerlo, ed avrai tanto di quel denaro da nuotarci dentro!
- Che razza di discorso! L’ultima offerta mirabolante l’ho ricevuta da uno che sosteneva di lavorare per l’Anticristo!
- Non puoi rifiutare la mia offerta. Eppoi, non vuoi, forse, rivedere Sara? Non vuoi sapere la verità sulla fine del vostro matrimonio?
- Mi stai facendo incazzare di brutto, Armando! Dov’è mia moglie?
- E’ prigioniera, bello! Quando saprai tutto, forse troverai il modo di rivederla, se ci tieni tanto! Ti ripeto: aiutami, e da me avrai tutte le informazioni che desideri e tanto, tanto denaro! Bei dollaroni sonanti! Comunque, sappi che io e mio padre rischiamo la vita!
Armando tira fuori dalla tasca dell’impermeabile grigio antracite, il telegramma che gli affidai per indagare sul conto dei miei persecutori, ed un rotolo di banconote – Riprenditi questo, e tieni un piccolo anticipo… Ti serviranno entrambi. Custodisci bene il telegramma, perché costituisce una prova formidabile contro i tuoi aguzzini, che sono gli stessi che tengono segregata Sara.
- E’ un altro dei tuoi trucchi? Chi sarebbero questi misteriosi avversari che impediscono a Sara di rivedermi?
- Basta così, Mario. Dovrai seguire le mie istruzioni alla lettera. Ti garantisco che riuscirò a tirarti fuori dai guai, rivedrai tua moglie e diventerai ricco.
- Niente lecca-lecca?
Armando ride ancora – Mi piace la tua ironia, ma non sto scherzando. Mi farò sentire io, okay? Ricorda di conservare gelosamente quel telegramma; un giorno, capirai il perché!
Questo bastardo ha trovato il modo di legarmi a lui, e mi sta coinvolgendo in chissà quale follia! Ma, del resto, quale sarebbe l’alternativa?
I Servi del Mondo
Non sento Armando da due giorni. Qualcuno mi sorveglia attentamente, seguendo i miei spostamenti, controllando le telefonate, spiando ogni mia mossa. Della mia folle esperienza dell’altra sera, non so proprio cosa pensare. Un’allucinazione? Un rito satanico di gruppo?
Sono uscito, stanotte, e non certo per cercare Sirio. Camminando per Trastevere, sono arrivato fino alla casa di madame Clermont. Un uomo m’ha seguito, a debita distanza, fin là: ne sono certo. Credo non faccia parte della cricca della vecchia cartomante. Forzando una finestra del pianterreno con un cacciavite a punta piatta, sono riuscito a penetrare facilmente nella palazzina, le cui finestre erano tutte buie, eccetto un paio dell’ultimo dei quattro piani. Nel silenzio quasi assoluto della magione di madame Clermont, ho cercato una qualunque traccia che mi conducesse a Sara, arrivando anche a rischiare una visita all’ultimo piano che, come pensavo, ospita gli appartamenti privati dell’anziana cartomante e della sua governante. Ho fatto ogni ricerca possibile, anche rischiando una denuncia per violazione di domicilio ed ora sono convinto che se la mia ex moglie è prigioniera di qualcuno, di certo non è segregata nella palazzina di viale Trastevere.
Il pomeriggio seguente, sono tornato alla Notte dei Maghi, ed ho scoperto che il locale è chiuso per lutto… In mattinata avevo ricevuto una comunicazione di Nori che mi raccomandava di starmene tranquillo, a disposizione, e che presto il dottor Romano mi avrebbe interrogato. Strano atteggiamento nei confronti di un potenziale sospetto di ben tre omicidi. Indubbiamente, qualcosa non quadra. Le forze in campo si contendono una posta che comprende ben oltre il mio piccolo destino personale, eppure, in qualche modo, la mia persona è fortemente coinvolta in questo gioco al massacro. E se avessero ucciso Claudine solo per incastrarmi? Se il vero obiettivo fosse proprio mio cugino? Magari tramite me sperano di arrivare a lui ed al suo misterioso padre tedesco…
Questa strana atmosfera sospesa dura un paio di giorni ancora quando, finalmente, trovo nella segreteria del mio cellulare un messaggio di un certo Michetto che m’invita a recarmi davanti al solito ingresso di Villa Torlonia per giocare… Michetto era il nome che si era dato Armando durante i nostri giochi di fantasia infantili. Per la cronaca, io ero Gigetto. Vinceva sempre lui. Stavolta, tanto per cambiare, ho pensato di barare un pochino.
Quando arriva mio cugino, alla guida di una BMW che non ho mai visto, e lo vedo entrare, ovviamente a piedi, nella villa, resto nell’automobile che m’ha prestato Luisa… Passa un’ora, ed Armando torna in macchina, piuttosto scuro in volto. Ora mi guiderà al suo nascondiglio.
Dopo mezzora di giri viziosi nel traffico del Centro di Roma, Armando torna indietro, e punta decisamente verso la periferia settentrionale. Arrivati a Ponte Milvio, puntiamo verso via degli Orti della Farnesina. Quando Leoni ferma la macchina nei presi di via della Camilluccia, lo supero per accostare dopo duecento metri. Meglio avvicinarmi a piedi, poiché mio cugino è sparito oltre un cancelletto che chiude un sentiero in terra battuta che conduce ad un gruppo di villini bi-familiari molto eleganti.
Percorro il sentiero, calcolando che mio cugino abbia almeno centocinquanta metri di vantaggio; mi nascondo poi dietro una siepe, e da questa posizione posso osservare i cinque villini, apparentemente disabitati, che si ergono all’interno di una vasta area, forse un ettaro, coltivata ad erba inglese e con qualche pino piuttosto giovane. Altre siepi e rare panchine mi fanno pensare ad uno di quei residence per anziani benestanti. Non vedo, tuttavia, personale di servizio al lavoro, né vecchietti muniti di cagnolino e giornale. Non so bene cosa fare a questo punto: potrei, ad esempio, accertarmi se davvero Armando e suo padre si nascondono qui, oppure, mio cugino è entrato in uno di quei villini per un altro motivo… Certo, è un posto dotato della tipica tranquillità delle zone residenziali di gran lusso… Solo il rumore di un elicottero disturba il cinguettio dei passeri ed il volo di qualche raro insetto in cerca di un po’ di sole autunnale.
Il rumore dell’elicottero si sta facendo assordante: alzo gli occhi e vedo l’apparecchio abbassarsi fino ad una ventina di metri sopra il tetto di uno dei villini. L’istinto mi costringe a voltarmi per guardare dietro le mie spalle: cinque uomini in borghese sbucano dal sentiero in questo momento. Impugnano pistole da guerra e corte mitragliette simili a quelle in dotazione ai corpi speciali dei carabinieri. Tra loro, riconosco Colgani! Ora capisco: hanno seguito i miei movimenti con l’elicottero fin da casa mia!
I cinque uomini armati mi superano senza degnarmi d’uno sguardo. Uno si piazza davanti alla porta del villino centrale, con il mitra spianato verso l’ingresso del villino sovrastato dall’elicottero. Un altro si apposta poco distante da me, dietro un albero, pronto a sparare in direzione della porta. Gli altri due, ai lati della porta stessa. Se non altro, ora so dove si trova Armando.
Colgani, con un risolino idiota stampato sulla bocca, mi fa cenno di restarmene buono, accucciato dietro la siepe. Poi, impugnando un megafono, intima la resa agli occupanti del villino, mentre dall’elicottero, si sta calando un altro agente che cerca di atterrare sul tetto della costruzione. Spero proprio che mio cugino non voglia fare l’eroe.
Colgani sta ripetendo il suo ultimatum, mentre l’agente sul tetto è riuscito ad infilarsi in una finestra della mansarda. Mi pare di vedere del fumo uscire dal comignolo… fumo nero.
Un’esplosione scuote il villino, facendo volare lontano imposte, infissi, vasi di fiori e qualche tegola… Vedo il tetto sprofondare all’interno della costruzione semidistrutta, tra il fumo acre e le fiamme ormai altissime. Penso che sia tutto quel fumo a farmi perdere i sensi…
***
Mi trovo in un letto d’ospedale. Troppo sole: la testa mi duole e vorrei un po’ d’ombra per poter riposare.
- E’ tornato tra noi, signor Bersani? – mormora Colgani, che ora non ride più.
- Che… - non riesco a farfugliare altro; vorrei tanto dormire ancora un po’.
- Non si preoccupi: sta bene. Le hanno somministrato un sedativo leggero per sopportare meglio i postumi dello shock. Siamo stati investiti dall’esplosione del villino dove si trovavano suo cugino ed il padre. Purtroppo, non li abbiamo presi.
- Mi lasci dire che i vostri metodi sono alquanto violenti…
- Lei forse non sa bene con chi abbiamo a che fare. Il padre di suo cugino è un pericoloso terrorista internazionale. Talmente pericoloso, che ho perso tre uomini in questa fallimentare operazione!
- Se l’esplosione ha ucciso i suoi uomini, mio cugino dov’è finito?
- Credo proprio che se la sia filata attraverso le fogne. Il padre deve aver scelto molto accuratamente quel rifugio, per quanto provvisorio. Abbiamo scoperto che il condotto fognario risale all’ultima guerra: al posto del residence, sorgeva in quell’area una caserma della milizia fascista. Quando si sono visti circondati, hanno dato fuoco ad una miccia collegata ad una decina di bombole di gas e sono scappati attraverso le fogne. E’ stata una brutta esplosione.
- Siete certi che mio cugino sia ancora vivo?
- Le assicuro che gli unici resti organici rinvenuti in quell’inferno appartengono all’agente sceso dall’elicottero. Gli esperti hanno avuto tutto il tempo per fare i loro rilevamenti. Sono passate 48 ore, ormai.
- Cavolo! Sto dormendo da due giorni?!
- Se ha riposato abbastanza, può rispondere a qualche domanda, immagino…
Dopo due ore d’attesa all’interno d’un ufficio dell’ambasciata americana, in via Veneto, comincio ad avere un’idea di quella che si definisce limitazione della sovranità nazionale. Se devo rispondere ad alcune domande riguardo un’operazione della Digos in Italia, come mai mi ritrovo in territorio statunitense, guardato a vista da un tizio dall’aria truce grosso come un armadio?
Finalmente, si apre una porta ed entra Alfonsi, l’agente che, insieme a Colgani, venne a farmi visita a casa mia. Lo segue un biondino basso e tracagnotto che va a sedersi dietro la larga scrivania che mi sta davanti. Un altro tizio, dall’aria inconfondibilmente anglosassone, si accomoda sulla poltroncina accanto alla mia. Insomma, sono circondato.
- Buonasera, mister Bersani – esordisce il biondo, in perfetto italiano – Io sono Ryne, funzionario di questa ambasciata. Conosce già mister Alfonsi, immagino… L’altro è mister Howard, un funzionario di Washington.
- Piacere. Che volete da me?
- Innanzitutto, scusarci per l’incidente in cui è rimasto coinvolto.
- Sono stato coinvolto dall’azione della Digos! – scatto – E per poco ci lasciavo le penne!
- Si calmi! – ordina, perentorio, Alfonsi.
- Oh, non importa… - fa, con aria conciliante, Ryne – Capisco benissimo come mister Bersani sia ancora sconvolto, e, giustamente, preoccupato per la sorte del cugino… Dico bene, mister Bersani?
- Dice bene. Avete notizie di Armando?
- Purtroppo, nessuna. Ed immagino, neanche lei, siccome ha passato gli ultimi due giorni in ospedale.
- Appunto, ed sono convinto che i sedativi che mi hanno somministrato siano serviti proprio ad immobilizzarmi ad arte. O sbaglio?
Ryne sbuffa – Mister Bersani, lei stava per condurci al Serpente, lo sa? Al secolo, Willhelm Henkel, uno dei più pericolosi terroristi internazionali che il mondo conosca. Lo stiamo ancora cercando.
- Non perderò l’appetito per questo! Pensi che io volevo solo parlare con mio cugino.
- Vede – continua, imperterrito, l’americano – Noi stiamo dando la caccia al Serpente da parecchio, e con molto impegno. Questo signore ha sottratto al mio Paese alcuni documenti di grande importanza, che ovviamente la CIA vuole riportare in Patria. Avrebbe problemi a collaborare con noi, a tal fine?
- Io non so niente di questa storia.
Alfonsi scuote la testa, polemicamente.
- Non posso credere che suo cugino non le abbia accennato neanche per caso il motivo della sua latitanza… Nonché la presenza del padre naturale in Italia.
- Leoni sta lavorando per me. Una faccenda che niente ha a che fare con il terrorismo internazionale! Alfonsi sa benissimo quali guai sto passando.
- Se lei non fa un piccolo sforzo, non arriveremo mai ad intenderci – replica Ryne, guardando Alfonsi, sempre più nervoso – Leoni e suo padre la stavano aspettando? E per quale motivo? Forse, volevano l’aiuto di una persona di fiducia, magari anche ricattabile…
- Se anche fosse, io non ne so niente!
- Ebbene, Henkel era troppo furbo per tenere con sé quei documenti, mister Bersani. Suo cugino le ha forse consegnato qualcosa? Per la cronaca, erano contenuti in una cartellina di pelle gialla.
- Armando lavorava per me, e doveva solo investigare su dove si trova la mia ex moglie in questo momento. L’ho persa di vista e vorrei incontrarla. Tutto qui.
- Insisto: suo cugino le ha forse consegnato alcuni fogli? Un floppy disk? Un microfilm ?
- Niente di niente. Giuro. E vi prego di credermi: non ho mai visto questo suo padre naturale. Non sapevo neanche che esistesse.
Alfonsi batte il piede destro per terra con violenza, e si alza.
- Signor Bersani, mi stia a sentire. Le autorità italiane intendono collaborare in pieno con i nostri alleati americani, e se prova a fare il furbo, avrà a che fare con la giustizia per tutto il resto della sua vita. Siamo intesi?
- Vorrei aiutarvi, ma non sono in grado di farlo.
Alfonsi fa un cenno con il capo a Ryne, che si limita a voltarmi le spalle. Probabilmente, il colloquio è finito.
- Sa che questa è proprio una strana faccenda? – dice Alfonsi, mentre mi sta accompagnando al portone, evidentemente più calmo.
- Sono d’accordo.
- Posso chiederle un favore?
- Di avvisarvi se mio cugino si farà vivo?
- Credo che le serva qualche incentivo per tradirlo, vero? Strano, ma la CIA non ha posto nessuna taglia sul capo di Henkel. Probabilmente, neanche a noi hanno detto tutta la verità, e stiamo indagando in proposito. Volevo solo chiederle di non fare una sola parola con la stampa.
- Mi sembra ragionevole. E mi auguro anche che sarete voi a prendere Armando senza consegnarlo agli Americani.
- Vedremo. A loro interessa moltissimo. Troppo, per una semplice operazione anti-terrorismo. In ogni modo, ha ragione: è suo interesse, se tiene alla sorte di suo cugino, che saremo noi della Digos a mettergli il sale sulla coda. Ci pensi, Bersani. Ha ancora il nostro biglietto, vero?
Annuisco.
- Sa già che sarà ben controllato, soprattutto a scopo protettivo. Si faccia sentire, Bersani.
Stringo la mano che mi porge e corro a cercarmi un taxi.
FINE DELLA DODICESIMA PUNTATA