IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato
puntata numero 4
Entro nell’ufficio di Ferretti e mi siedo. Grazia biascica un mezzo saluto ed esce dalla stanza, chiudendo la porta. Brutto segno.
Il Capo, senza sollevare gli occhi dalle scartoffie che ha sulla scrivania, annuncia con voce incolore:
- Sta arrivando anche Deschi. M’è sembrato un pochino alterato, al telefono. Ricordati che non ho alcuna intenzione di rinunciare ad un regista del suo calibro per questa produzione!
- Non ho mai sperato il contrario! E riguardo me, che intenzioni hai?
Ferretti, irritato, esclama:
- Non lo immagini?! Eppure sai come lavoro, come gestisco il compito affidatomi dagli altri soci della compagnia… Ascolta, allora, quel che dovresti sapere: io sono del parere che è proprio da idioti, specie nel nostro ambiente, litigare per una gonnella! Anche Deschi dovrebbe capirlo, che diamine!
- Ed invece non l’ha capito…
Sbuffa – Uff! Ha un caratteraccio, lo sai. Come reagirebbe un vecchio orso se gli togliessi il miele sotto il muso?
- Di quel miele, ho preso solo un piccolo assaggio…
Ferretti si accende una sigaretta, si alza per avvicinarsi alla finestra. Non l’ho mai visto tanto agitato. Possibile che il traffico di piazza Fiume costituisca un’attrattiva tale da tenerlo incollato al vetro per tre minuti contati? Sta cercando le parole giuste per buttarmi fuori?
- Andiamo, Marco: Deschi si convincerà che non è il caso di farne un dramma, proprio come dici tu!
- Dov’è la ragazza?
- Claudine? Vorrei saperlo anch’io. Ha preso la mia sceneggiatura.
Ferretti si volta, divertito – Te l’ha rubata? E perché? Avete litigato?
- No! Vorrà studiarsi la parte… O dare un pegno d’amore a Deschi…
- Quella ragazzina è più nociva di quanto pensassi… Ha fatto perdere la testa ad entrambi, ed ora vuole mettervi uno contro l’altro… Puttana! Proprio come tutte le altre, si farebbe sbattere a morte pur di avere una particina… Deschi l’ha conosciuta un anno fa, e lei già lavorava per un produttore di cassette porno. Poi, ha conosciuto te. Hai vent’anni meno di Deschi, del resto, e sei molto meno morboso di lui, vero?
- Ed ora avrà capito che, per la Star Film, è meglio recitare bene nel letto di Deschi piuttosto che in quello del sottoscritto… - non posso fare a meno di provare una certa amarezza. Ferretti se ne accorge e, nel tornare alla sua scrivania, mi batte la spalla.
- Non te la prendere. La ragazza è molto intrigante, lo capisco, ma ti devi pur rendere conto che alla tua età… alla nostra età… non conviene pensarci troppo. Prendi quel che viene, e ringrazia il destino che ti fa lavorare nel cinema! In quanto alla francesina, ho visto qualche sua partecipazione nei filmini che ti accennavo prima e beh… ti garantisco che le ho visto fare cose a dir poco rivoltanti! Non ti sei mai chiesto perché non ho cercato di farmela? E giurerei che molte di quelle scene, le abbia girate in privato lo stesso Deschi… Dopo tanti anni, il suo stile lo riconosco al volo!
- E’ un gran maiale, vero? Ma ti serve. Visto che sai dare una risposta a tutto, dimmi anche perché Claudine ha pensato di prendere la mia sceneggiatura.
- Lo chiederemo a lei. In quanto a Deschi, penso che abbia saputo solo casualmente che la sua giovane sgualdrina recitava a tema anche nel tuo letto. Sbrogliatevi questa matassa, e torniamo a lavorare tranquilli, okay? A me non interessa un fico dei vostri affari personali, ma sembrate bambini capricciosi che si azzuffano per un giocattolo!
- Okay, vada come vada, ma se Deschi non mi restituisce la sceneggiatura, farò un casino della miseria!
- Hai registrato il soggetto?
- Sì, ma ero arrivato solo ad un terzo delle scene previste… Se non la ritrovo dovrò cominciare daccapo.
Entra Grazia, ed introduce Deschi, senza preavviso.
Il grande regista, che cerca sempre di nascondere gli anni che si porta sulle spalle con gli ultimi derivati della moderna cosmesi, dopo aversi fatto tirare almeno cinque volte negli ultimi due anni, stavolta ha lasciato il trucco a casa, e mostra un viso pieno di rughe, stanchezza e rabbia. Fa quasi pena.
- Ah, sei qui pure tu! – questo è il suo saluto al sottoscritto – E Claudine?
Ferretti cerca di aprire bocca, ma Deschi gli lancia un’occhiata avvelenata:
- Voglio saperlo da lui! – urla – Dove la nascondi?
Vorrei rispondergli a brutto muso, ma quel granellino di dubbio che avevo è diventato improvvisamente una montagna.
- Perché lo chiedi a me?
- Sono tornato ieri pomeriggio da Milano e l’ho cercata inutilmente, poi ho saputo della vostra tresca. Ora la rivoglio. – conclude, puntando la mano verso di me, teatralmente.
Ferretti sta faticando per non scoppiare a ridere; dietro la sua preoccupazione per il futuro del film, c’è il suo perenne senso di superiorità da vero uomo che considera le donne solo un mero strumento di piacere, talvolta merce di scambio. Ci compatisce.
- Allora? – insiste Deschi – Non hai niente da dire, Mario? Sei forse stanco di lavorare nel cinema?
- Che esagerazione! – commenta il nostro datore di lavoro.
Cominciano a discutere circa il mio destino professionale, ed ancora una volta mi rendo conto di trovarmi spiazzato, costretto ad inventare una nuova tattica, assumere un diverso atteggiamento. Sì, sono vittima di un gioco che non comprendo: mi passano davanti agli occhi situazioni ed avvenimenti degli ultimi due giorni. Niente può esser accaduto per caso; e niente, di quanto accaduto, non rappresenta una minaccia per me. Qualcuno sta cercando, abilmente, d’incastrarmi, dopo aver utilizzato il fascino di Claudine per stordirmi a dovere.
Deschi continua ad accusarmi:
- …Chiedilo a lui! E’ lui che ha visto la ragazza per ultimo! Non so niente di che fine abbia fatto la sua dannata sceneggiatura!
Mi alzo e gli dico a brutto muso:
- Sta’ zitto, idiota! Ascoltami, Marco: non voglio più aver nulla a che fare con questo piccolo maiale! Al diavolo anche il film, ma rivoglio la mia sceneggiatura! E se vorrai ancora la mia collaborazione, sai dove trovarmi!
- Ti farò avere gli arretrati che ti spettano… - è la sua eloquente risposta.
Volto i tacchi, inseguito dalle minacce di Deschi, che giura di rovinarmi, tormentarmi, ammazzarmi se non gli rimando il suo giocattolino sessuale. E’ patetico, e mi fa pure schifo, ma qualcosa mi costringe a tornare sui miei passi per colpirlo con un pugno sullo zigomo destro e mandarlo a ruzzolare sulla moquette. Infilo velocemente la porta, inseguito dagli occhi di Grazia e da un piacevolissimo silenzio generale.
Sapevo che un giorno sarei arrivato al dunque. Sapevo che, mezzo sdraiato sul divano del soggiorno, avrei pensato al mio futuro, contando le ore con il cognac. Mi manca persino la mia ex moglie! Ovvero la donna meravigliosa rivista l’altra sera alla Notte dei Maghi. Colpa di Sandro: ha reintrodotto Sara nella mia vita… bel pasticcio. E madame Clermont è della partita: ricordo benissimo che conosceva il mio nome senza che mi fossi presentato! Lei e Sandro si conoscono chissà da quanto… Poi, il telegramma. Anonimo, breve, pieno di minacce. L’apertura ufficiale delle ostilità. E Claudine, la lolita; proprio come la mia sceneggiatura… Dov’è ora? Per colpa sua, probabilmente ho chiuso con la Star Film. Ma davvero ha agito su input di Deschi? Non c’è che dire: si tratta di un attacco serio, ben organizzato, portato su vari fronti. A chi posso aver pestato i piedi? Sara? Deschi? Chi, altrimenti?
Denuncerò Claudine per il furto della mia sceneggiatura, anche se cammino al buio. Ma è sempre meglio che restar fermo ad attendere il prossimo attacco dei miei persecutori.
***
Henkel giunse qualche minuto prima del previsto sul luogo dell’appuntamento con l’uomo di Hautzer. La piazza in cui si trovava era una delle più grandi di Salvador, ed era caratterizzata da una monumentale fontana decorata da statue di bronzo. Intorno a lui, una folla brulicante di varia umanità: coppiette, sfaccendati, pensionati e meninos de rua, piccoli criminali bambini. Henkel notò gli occhi appannati di parecchi adolescenti stravaccati intorno la fontana, storditi dal fumo o dalla colla da calzolaio inalata come droga. I disoccupati, fuggiti dalle favelas in cerca di lavoro, lo guardavano con invidia: il solo valore del suo orologio avrebbe sfamato venti di loro per almeno sei mesi.
Il Tedesco andò a piazzarsi vicino la vecchia chiesa con i merletti di pietra e si accese una sigaretta, assediato dai bisogni impellenti dei poveri di Salvador che, a turno, si fermavano accanto ai vecchi gradini per chiedergli la questua.
Finalmente, un uomo dalla pelle bianchissima fece capolino all’altro lato della piazza. Lo sguardo allenato di Henkel lo distinse subito, ed il Tedesco partì in quella direzione. Ma appena giunto nei pressi della fontana, una decina di meninos de rua lo circondò, vociando parole incomprensibili; alla maniera degli zingari, qualcuno cercò di sfilargli l’orologio d’oro dal polso ed Henkel reagì, dando violenti calci sul viso dei più vicini. Poi, raggiunse il connazionale e s’infilarono insieme in una via laterale.
- Benvenuto! – gli disse l’uomo in tedesco.
- Meglio parlare in portoghese – suggerì Henkel – Il professor Hautzer è molto lontano?
- Affatto. – rispose, asciutto, il connazionale.
Durante il breve tragitto a piedi, Henkel lo studiò a fondo: poteva trattarsi di un ex militare statunitense, figlio di emigranti tedeschi, forse omosessuale come il vecchio scienziato. Ma di certo era robusto e pieno di muscoli ben allenati che si indovinavano sotto l’impeccabile doppiopetto di lana leggerissima. Comunque, non sarebbe stato facile liberarsi di lui.
Arrivarono ben presto ad una vecchia villetta bianca, circondata da un giardino protetto da un muretto di pietra. Il cancello era aperto: i due tedeschi entrarono senza avvisare e senza attendere cenni dall’interno. Hautzer – Henkel lo riconobbe subito – li aspettava sulla soglia, appoggiato al suo bastone di legno intarsiato.
- Salute, vecchio camerata! – esclamò, con l’inflessione tipica dei berlinesi, l’anziano scienziato. Henkel, quasi commosso, lo abbracciò. Si erano visti l’ultima volta nel ’70 a casa d’un generale, a New York. Allora, Henkel non sapeva nulla del Piano Apocalisse… Era stato un semplice incontro tra un valente agente della CIA ed un grande bio-chimico, entrambi stranieri nel Paese che era riuscito ad annientare il Terzo Reich, per rubargli in seguito le menti migliori. Tanto bastò all’epoca, per diventare amici per la pelle… Ma ora Henkel possedeva il Piano Apocalisse e la formula che poteva salvare l’Umanità.
Hautzer fece accomodare l’ospite in salotto, ed Henkel ammirò lo stile semplice e sobrio dei mobili in bambù, mentre le mosche ronzavano nell’afa intorno ad un vaso pieno di fiori azzurrini molto profumati. Una giovane cameriera mulatta dalle forme splendide portò un vassoio colmo di dolci di farina, mandorle e miele e la teiera.
Hautzer, con voce appena percettibile sul rumore delle eliche del ventilatore sul soffitto, disse:
- Sei venuto a trovarmi, finalmente… Quanti anni!
Henkel lo stava fissando freddamente: l’amico d’un tempo, ormai ottantacinquenne, era ridotto davvero male; zoppo fin dalla nascita, aveva quasi perso l’uso d’un occhio a causa del diabete e l’artrite aveva deformato le sue mani.
- Sono vent’anni buoni, vero? Cosa sai dirmi, Alfred, del Piano Apocalisse? – mormorò appena.
Hautzer diventò improvvisamente molto serio. Il sorriso benevolo sparì dal suo viso ed una miriade di rughe incresparono la fronte bianca.
- Come sai?… Il Pentagono non è il Cremlino… Non ha bisogno di vendersi i segreti militari!
- Dimentichi per chi lavoro, da quarant’anni… L’Organizzazione sembra perfetta e perfettamente funzionante, ma non lo è! Dimmi, Alfred, di quando creaste il flagello del mondo moderno, che forse sterminerà l’Umanità… Racconta!
Hautzer deglutì a fatica. Il suo interlocutore mai avrebbe immaginato che l’uomo noto come la belva di Dachau si sarebbe agitato per così poco. Ma l’età spesso combina brutti scherzi.
- L’AIDS fu creata nei nostri laboratori, certo. Ma si propagò per errore. Lavorammo a quel progetto per vari anni, e sempre con maggiori stanziamenti. Facevo parte di un pool di ventidue scienziati, di varie nazionalità… era il periodo della produzione di armamenti chimici su scala industriale, in tutto il mondo schierato a favore di uno dei due blocchi. Avevamo il compito di creare un’arma decisiva in grado di spiazzare l’URSS una volta per tutte. Vedi, vecchio amico, il problema di una guerra batteriologica, o chimica, è sempre lo stesso: devi essere in grado di frantumare le difese avversarie con assoluta certezza nella prima fase d’attacco. Nella seconda, prima dell’invasione, devi essere certo che i tuoi uomini siano adeguatamente protetti nei confronti dell’agente infettante che hai lanciato contro l’avversario. Se non puoi invadere il territorio nemico, non puoi vincere la guerra e rischi una reazione parimenti devastante.
- Questo è risaputo. L’errore che ha compiuto il Terzo Reich contro la Russia.
- Inoltre, già nel 1965 il gas nervino era ormai patrimonio internazionale; certi segreti industriali, si sa, passano di mano in mano molto rapidamente. I generali del Pentagono erano certi che i russi conoscessero l’antidoto per la maggior parte delle nostre armi speciali cioè quelle che si producono in gran segreto e con vergogna pari all’ipocrisia dei politicanti. Sarebbero riusciti, i Russi, a vaccinare le loro truppe migliori proprio come noi avremmo fatto con le nostre ed anche in tempi più rapidi. Io ed il professor Ackermann avevamo il compito di ideare una risposta a questo fastidioso problema… ci riuscimmo ma si rivelò una vittoria di Pirro… - Il vecchio scienziato si fermò un attimo per schiarirsi la voce. Bevve un sorso del tè non più fresco, e riprese:
- Vedi, io e Ackermann avevamo la necessità di creare l’arma perfetta… L’energia atomica distrugge e non permette ad un corpo d’invasione di stabilirsi agevolmente sul territorio da occupare: le radiazioni decimano la popolazione civile e non si possono eliminare il tempi brevi. Il contagio biologico, invece, offre parecchie opportunità e soprattutto il vantaggio di poter vaccinare in tempo le proprie truppe. Solo che, nel caso delle armi batteriologiche questo vantaggio possono sfruttarlo anche gli avversari: possono , cioè, potenziare le difese immunitarie dei soldati tramite sieri e vaccini; Ackermann aveva una teoria, che io appoggiai con convinzione: secondo lui, dovevamo individuare un agente patogeno in grado di riprodursi solo attaccando i linfociti del corpo umano, da usare come arma preventiva in caso di successivi attacchi batteriologici. Individuammo in alcuni animali sindromi immuno-depressive abbastanza rare, molto utili ai nostri intendimenti; in particolare, alcune scimmie dell’Africa Centrale presentavano disordini di tipo immunosoppressivo e linfoproliferativo che ispirarono la base di partenza per le nostre sperimentazioni. Preparammo un laboratorio in una certa località dell’Africa Equatoriale, e riuscimmo a riprodurre, in alcuni primati, infezioni del tutto simili alla moderna sindrome da immuno-deficienza acquisita. Tornammo negli States piuttosto soddisfatti. In America, trovammo poi il sistema di infettare altri animali, ad esempio suini ed ovini. Avevamo a disposizione il meglio della tecnologia scientifica mondiale, e le idee di Ackermann furono perfettamente sviluppate fino alla sua morte, nell’ottobre del 1965. Il comando delle operazioni passò a me insieme alla direzione del pool scientifico. Rimaneva l’ultimo problema: perfezionare il virus ed adattarlo all’uomo. Ci riuscii talmente bene che il mio progetto fu infine bocciato!
Hautzer cominciò a ridere istericamente. Ma Henkel gli spiegò subito:
- Non m’interessa la storia della creazione del virus. Voglio sapere come si propagò negli USA.
- Per un errore, ovviamente. E questo fece comprendere ai papaveri dell’Amministrazione dell’epoca, che l’arma appena creata era difficilmente controllabile. Accadde una sera di dicembre. Per un banale errore, una partita di cavie infette finì sul mercato… E’ bastato questo, in pochi mesi, a vanificare tutto il mio lavoro di anni! Avevamo già sperimentato, a dire il vero, il virus su cavie umane. Furono utilizzati ceppi indeboliti ma che produssero effetti ugualmente devastanti. Il problema fu che alcuni dei soggetti usati per gli esperimenti, ovviamente all’oscuro della loro reale pericolosità, non manifestarono i sintomi della siero-positività entro i tempi previsti e furono licenziati. Solo in seguito i ricercatori hanno capito che in alcuni casi, la malattia può manifestarsi anche dopo parecchi anni; ma il portatore, apparentemente sano, è potenziale veicolo della stessa infezione.
Henkel pensò a quale disastro aveva portato tanta noncuranza. Metodi nazisti…
- Alfred, sii sincero: ricordi la formula del vaccino?
Il vecchio scienziato rise:
- E’ così semplice… Certo che la ricordo! Un giorno, gli Stati Uniti rivitalizzeranno la loro economia, commercializzando il portentoso vaccino… che già conoscono! Vuoi sapere cosa penso? Dovrebbero darmi almeno i diritti d’autore! In fondo, è merito mio se sono riusciti a trasformare una terribile arma di distruzione di massa in una malattia così remunerativa per le grandi industrie farmaceutiche!
FINE QUARTA PUNTATA