IL GIORNO DELL’APOCALISSE – romanzo di Marco Caruso – Ogni diritto riservato
puntata numero 8
Le serate romane non sono poi tanto affascinanti, se passate a vagare da soli per la città. Ormai è tardi ma non ho voglia di dormire. Cammino stancamente, come il mio alter ego onirico, e guardo la luna piena, esageratamente bianca e splendente, dietro il leggerissimo velo di nuvole vaporose che donano alla notte uno spettacolo degno di miglior considerazione.
Arrivo davanti alla porticina dipinta di verde; prima di formulare il solo pensiero di bussare, Sirio apre l’uscio.
- Toh! Chi si vede! – esclama, giulivo – Stavo per uscire. Ti piace passeggiare sotto la luna?
Annuisco, mentre guardo il suo viso pieno di rughe, atteggiato nelle solite smorfie simpatiche.
Sirio mi precede, ed io lo seguo dappresso. Dà l’impressione d’essere stanco, stanotte, cammina un po’ curvo, come un vecchio che voglia ostentare l’agilità d’un tempo. Eppure, non riesco a tenere il suo passo, anche muovendo le gambe molto più velocemente di lui. Guardo i suoi piedi e mi sento mancare: sembrano sospesi a qualche centimetro dal marciapiede! Mi gira la testa, e mi fermo per appoggiarmi ad un portone chiuso. Mi ritrovo Sirio accanto.
- Qualcosa non va? – chiede, premuroso.
- I tuoi piedi… Bah, devo essere stanco!
- Cos’hanno i miei piedi? – ride – La luna, a volte, stordisce le menti degli uomini puri! Ma non c’è da preoccuparsi, credimi!
- Puro, io? Non credo proprio.
Sirio posa una mano sulla mia spalla – Se non lo sei, meglio così. Cosa dovrebbe farsene, uno come te, della purezza? Non sei mica un bambino!
Non mi va di rispondergli che non ho voglia di scherzare e riprendiamo a camminare per una, forse due ore. Mi gira la testa e non riesco ad orientarmi. Dove stiamo andando? Sirio continua a parlare di faccende che non comprendo appieno, e le sue parole procurano in me un effetto quasi ipnotico. La sua voce ha la cadenza di una vecchia cantilena, e riesce a concentrare la mia attenzione su quanto dice, mentre le gambe si muovono da sole.
Finalmente, riesco a realizzare che siamo vicini al Colosseo.
- Qui vicino c’è il locale di madame Clermont… - dice Sirio, all’improvviso, interrompendo una dissertazione su complicate questioni metafisiche. - …La Notte dei Maghi. Gente pericolosa! Sta’ alla larga da loro!
- Perché sarebbero pericolosi?
Sirio bofonchia qualcosa che non comprendo, poi smette di parlare. Spesso si ferma ad ascolare i suoni della notte: il traffico che ancora caratterizza il centro di Roma, le cicale, il vento leggero; poi, come rassicurato, riprende a passeggiare. Curiosamente, sulla nostra strada non incontriamo nessuno. Eppure, l’ora tarda non giustifica un tale deserto.
- Dove stiamo andando, Sirio?
- Dove ti parlerò del tuo destino, raccontandoti anche la mia storia. E conoscerai qualcuno che potrà aiutarti.
Si è alzato un vento gelido, fastidioso, che intorpidisce. Sono tremendamente stanco e triste... soprattutto triste.
- Non sei stanco! E’ un’illusione! – sentenzia Sirio. Non ho neanche la forza di chiedergli come abbia fatto a leggere nei miei pensieri. Ci fermiamo vicino ad una panchina, a piazza Vittorio Emanuele. La luna è scomparsa, ingoiata dalla coltre di nuvole veloci, mentre il vento continua ad intirizzire le mie membra. La luce dei lampioni non illumina altro. Dove sono finiti i vagabondi che dormono da queste parti, gli sfaccendati, le coppiette frettolose che escono da qualche trattoria?
- Lo incontrai qui, la prima volta – sussurra Sirio, quasi impercettibilmente – e da allora, l’ho rivisto parecchie volte; spesso, lo sento soltanto: egli parla al mio orecchio, e m’insegna tante cose! Tu sei ancora puro. Si mostrerebbe a te ben volentieri… Egli ama gli uomini puri, con sentimento travolgente. E’ romantico, perdutamente romantico, sai?
- Chi? – domando, debolmente, sedendomi sulla panchina gelida.
- Sua Maestà, Il Diavolo. Il Principe di questo mondo. Il mio signore e padrone.
- E’ per lui che hai lasciato la tonaca?
- Indirettamente… In realtà, all’inizio la colpa, anzi il merito, fu di una donna! – risponde Sirio, con aria solenne, guardando lontano. Sta annusando l’aria, a varie altezze. Infine, soddisfatto, si risiede accanto a me.
- Era meravigliosa – riprende – e forse era una strega. Ha rubato la mia innocenza ed allora, per me il sesso era peccato. Quella splendida puttana m’ha rimesso al mondo!
La sua risata precede un silenzio di vari minuti. Ora il mio interlocutore è immerso nei ricordi, ed io sto, improvvisamente, meravigliosamente bene. Un benefico torpore allenta la mia tensione e riesce a dissipare, pian piano, le paure, i dubbi, persino il ricordo degli ultimi avvenimenti…
Mi sveglia la voce monotona di Sirio; devo aver dormito per qualche istante.
- Non so perché lasciai la mia stanza, quella sera – racconta – Mi sembrava d’aver sete, d’aver fame, provavo il bisogno imperioso di sesso, ma non nel senso che puoi immaginare tu! Era qualcosa di terribile e desiderabile al tempo stesso, un desiderio che anelava a tutte le bellezze del mondo! Mi ricordava uno stato di depressione in cui cadevo spesso da bambino; di colpo, un misterioso bisogno, struggente, mi distoglieva dai giochi, oppure interrompeva il mio sonno. Ed io piangevo, perché non sapevo, non sospettavo nemmeno, quel che volevo… Diventai sacerdote a venticinque anni… quanto tempo, da allora? Sono anni o secoli, quelli che ricordo? Com’ è difficile, talvolta, tuffarsi nel proprio passato! Ma ricordo bene quella sera fatale! Ero proprio qui, ed arrivai dopo aver camminato per ore in una città tanto diversa da quella che oggi chiamiamo Roma! Mancava poco all’aurora, quando la vidi…
- Chi, Sirio? Parli della tua prima donna?
- Ascolta! Pensai, sulle prime, ad un’apparizione, ad una fantasticheria notturna. Ed invece, si rivelò una creatura di carne ed ossa, una donna bellissima ed incredibilmente sensuale. Ricordo bene il suo profumo avvolgente, dolciastro, irresistibile. Penetrò nei miei sensi, dominando il mio pensiero. Mi si avvicinò, quasi saltellando… Indossava un lungo abito di velluto nero, o forse un rosso molto scuro, sanguigno… Portava uno scialle vermiglio, sui capelli corvini arruffati, che scendeva sulle spalle. Sorrideva. Nei suoi occhi neri e profondi, io cercai di scorgere la vita… Le sue labbra si schiusero e mi baciò. La sua lingua caldissima e dolce s’incontrò con la mia, ed io bevvi a quella fonte, dissetandomi a volontà. E mentre bevevo, capivo. Ella, con quel bacio, m’istruiva. Infine, quando staccò le sue labbra dalle mie, così parlò:
“ Tutti i desideri, mio giovane amico, nascono dal sesso, anche quando desiderio sessuale non sono. La sede del sesso è, nel nostro corpo, il punto più vicino alla dimora dell’anima. Ed il corpo astrale è interamente dominato dagli impulsi del sesso. Dunque, tutto quel che comprendiamo nasce dal sesso. L’uomo e la donna sono sesso. La radice stessa della creazione è stata un atto sessuale. E dimmi: sai tu chi è il padrone del sesso?”
“ Il diavolo!” risposi, convinto.
“ Esatto. Ed Egli ci chiama, costantemente, alla sua corte, lontano dalle vaghe menzogne delle stelle del cielo. Egli è assiso sul trono della Terra, della Grande Mignotta che tutti ha generato, sedotta da lui. Del resto, il suo dominio sulle creature della Terra è incontrastato perché i suoi figli, da sempre, hanno respinto i vaneggiamenti del Figlio dell’Uomo. I rinnegati che hanno abbandonato il grembo accogliente della Terra per volgersi a mirare l’ingannevole chiarore del Cielo, come comandano le sacre scritture di ogni grande religione, sono nostri nemici giurati! Il Figlio dell’Uomo ci disse di non desiderare e di rifiutare il Principe di questo Mondo. E cosa offrì, in cambio? Una croce ed una corona di spine! E dovremmo seguirlo, abbandonando la goduria, la voluttà dei nostri amati genitori? Oh, non credere più ai dispensatori di menzogne, non porgere il tuo orecchio a chi ti parla di un dio buono, lontano e sconosciuto… Che si fa chiamare Padre. Come potrebbe, un buon padre, consegnarci nelle mani del suo peggior nemico? Solo grazie a Satana noi esistiamo! Io ti dico che se soltanto distogliesse per un attimo il suo sguardo da te, crolleresti a terra come una marionetta inanimata. Guarda ed obbedisci al tuo vero dio!”
La donna non mi lasciò il tempo di pensare, di replicare. Il suo attacco era giunto al culmine ed aspettava solo l’inevitabile trionfo finale. Frugò con la mano sinistra sotto la mia tonaca e mi costrinse ad un rapporto completo… Ci incontrammo ogni notte, sempre alla stessa ora, nel medesimo luogo, fino alla luna nuova. Poi, non la vidi mai più. Tuttavia, la notte che seguì il nostro ultimo incontro, al suo posto si presentò una grossa capra nera che, appena mi vide, si rizzò sulle zampe posteriori e mi raggiunse con una velocità che mi lasciò sbalordito. Poggiati delicatamente gli zoccoli anteriori sul mio petto, cominciò a parlare con voce umana, in una lingua che sapevo di non conoscere ma che capivo perfettamente. E mentre parlava, io vedevo quel che lei aveva visto per milioni di anni… Imparai la sua legge e giurai, in cuor mio, di seguire quanto comandava. Infine, il suo muso toccò le mie labbra e qualcosa entrò in me, vivificando ogni singola cellula del mio corpo…
Sirio dice ancora molte cose, ma io non posso fare a meno di chiudere gli occhi, proprio mentre la luna vince le nuvole che la nascondevano e torna ad illuminare la scena.
Il canto dei passeri ed il profumo di pane fresco mi scuotono come uno schiaffo. Il mio orologio segna le cinque della mattina… ed io ho una gran fame.
Sirio è scomparso. Mi alzo dalla panchina perfettamente riposato, anche se un po’ intirizzito. Che strana storia: probabilmente, l’incubo d’un vecchio pazzo!
Mi avvio verso il più vicino bar, evitando le prime automobili del mattino. Fatta un’abbondante colazione tra spazzini e metronotte che tornano a casa, posso pensare alla branda anch’io.
La digestione mi si blocca nel preciso istante in cui vedo il commissario Nori fermo davanti al mio portone. Sono appena le sei.
- Hanno ucciso Deschi, il suo nemico numero uno! – sorride beato, l’idiota.
La notizia mi lascia impietrito. Ora vorrà un alibi o qualcosa del genere… E che gli dico? Commissario, ho passato la notte su una panchina di piazza Vittorio, con un matto che mi parlava del diavolo…
- Quando… è successo? – riesco a balbettare.
- Più o meno verso le ventidue di stanotte, secondo il medico legale. Il corpo è stato ritrovato più tardi, da una donna, un’attricetta che rientrava da un party. Vivevano insieme, a quanto pare. L’hanno picchiato duramente, prima di spezzargli il collo. – Nori fa un curioso gesto, incrociando i polsi dopo aver teso le braccia - … Così! Bisogna essere molto forti per uccidere con una torsione del genere.
Ripenso a Max Jaguar.
- Uhmm… non per farmi gli affari suoi, ma posso sapere da dove torna, signor Bersani?
- Vuole che le fornisca un alibi?
- Solo una curiosità, penso alquanto legittima, vista la situazione… Ma se non desidera rispondermi, liberissimo di attendere che il magistrato inquirente le rivolga la stessa domanda.
Razza di serpente.
- D’accordo, non c’è problema. Ho passato la notte a parlare con un amico. Ha mai provato il desiderio di confidarsi con qualcuno?
- Immagino che quest’amico non avrà problemi a confermare la sua versione dei fatti, vero?
Mi tocca salire sulla vettura della polizia, e Nori comanda al poliziotto al volante di seguire le mie indicazioni.
Arriviamo in via Cavour dopo qualche minuto.
- Chi sarebbe questo Sirio? – chiede il commissario dopo un periodo di silenzio.
- Un barbone, un rigattiere… Insomma, un pover’uomo abbastanza interessante. Noi gente del cinema, ci troviamo spesso a frequentare questi tipi un po’ particolari… Abbiamo passeggiato e chiacchierato tutta la notte.
- Un vero amico, insomma. E’ questo il suo appartamento? – chiede Nori, fissando la porticina verde.
- E’ una specie di magazzino – rispondo, bussando.
Busso di nuovo, inutilmente. Chiamo Sirio a gran voce. Forse sta dormendo.
Una vecchia si affaccia dal piano superiore e, protestando per il chiasso, ci chiede chi diavolo stiamo cercando.
- L’uomo che abita qui! – le rispondo – Il suo nome è Sirio. Lo conosce?
- Non conosco nessuno con questo nome! – ribatte la vecchia, acida – Ma il proprietario del magazzino è morto due anni fa! Ora, lì sotto non abita nessuno! – e detto ciò, richiude le imposte.
- Certo – dico a Nori – Il mio amico occupa il magazzino non avendo altro posto dove dormire… E’ una specie di vagabondo…
Il commissario guarda me e la porta – Sembra che debba cadere da un momento all’altro… Il legno è fradicio. Scommetto che basta un calcio per buttarla giù! – Infatti, sferra una pedata e la porticina crolla con un tonfo sordo, sollevando una nuvola di polvere.
Entriamo, alla luce di una piccola torcia elettrica.
Dentro, solo polvere, vecchi stracci e ragnatele. Non credo ai miei occhi: dove sono finiti i mobili, la miriade di cianfrusaglie, i candelabri?
- Che puzza! – commenta Nori – E’ chiuso da chissà quanto! Usciamo da qui!
***
Henkel si fermò per un attimo, contemplando lo spettacolo del tramonto. Il disco incandescente stava pian piano sparendo dietro i lontani picchi di arenaria. Il deserto intero pareva essersi fermato, in preda ad un terrore indicibile. Tutto era immobile sotto la distesa di sabbia e roccia.
Il Tedesco riprese a camminare, fino alla misera capanna di lamiera. Tirò fuori la rivoltella dalla fondina, pur essendo sicuro di giungere inaspettato, avendo lasciato la Range Rover ad oltre un chilometro. Dall’interno, non provenivano luci o rumori.
Spalancò la porta con una spallata, gettandosi poi ventre a terra. Vide subito il vecchio maestro seduto sui talloni, le ginocchia piegate sul pavimento d’assi. Quell’irruzione stile commando era stata tanto inutile quanto ridicola.
- Puoi rilassarti, Will… Non sono armato.
Henkel si rialzò, tenendo puntata l’arma contro l’immobile vecchio.
- Un uomo come te, Jack, non è mai indifeso!
- Non ho più niente da difendere, amico mio. – replicò il vecchio, lentamente – Vuoi sederti? E’ in onda l’incredibile spettacolo del tramonto sul deserto!
Henkel, quasi deluso da tanta rassegnazione, decise di sedere sul pavimento d’assi, di fronte a Jack.
- Ricordo il primo giorno che ti vidi, e la paura che mi facevi! Ancora non potevo sapere che voi americani avevate deciso di inserirmi nella CIA. Durante l’addestramento, m’insegnasti cose molto utili, mentre prendevo confidenza con i vostri metodi.
- Non avevi molto da imparare. E in ogni caso, sei stato il migliore che ho avuto, in vent’anni! Ma non si torna dai vecchi maestri solo per un saluto. Vuoi uccidermi perché sono l’unico a conoscere il tuo segreto, vero?
- Non posso rischiare che tu vada a raccontare che ho un figlio!
Jack sorrise, mentre la luce incandescente illuminava il suo viso – Stai scappando… Ed ora non conta più l’averti fatto da padre per cinque anni… La tua forza è sempre consistita nel non avere sentimenti… A parte quando t’innamorasti di quell’ebrea, tanti anni fa…
- Taci, o t’ammazzo subito!
- Dovresti essermene grato: ti sto rendendo facile premere quel grilletto! Il tramonto volge al termine, ed è un buon momento per morire. Serpente, sputa il tuo veleno!
Henkel tese allo spasimo i muscoli del braccio e della mano armata, ma non riuscì a sparare. Per la seconda volta nella sua vita, i pensieri si mescolavano alle emozioni, diluendo la sua feroce volontà.
I due uomini restarono in silenzio per parecchi minuti, mentre la penombra invadeva la capanna.
- Chi hai alle calcagna? – chiese Jack, all’improvviso.
- Andrew, un altro dei tuoi allievi.
- Ricordo che gli salvasti la vita, a Berlino. Dopo di me, è la persona che ti conosce meglio. Per mettervi contro, i capi pensano che tu l’abbia fatta grossa! Sbrigati ad uccidermi: è quasi completamente buio!
- Cristo, Jack, ma come hai fatto a ridurti così? – scattò il Tedesco – Vivi come un eremita, vestito di stracci, rassegnato come un mollusco che aspetta la prossima ondata! Che diavolo!
- Ho cambiato vita, tutto qui. Ricordi che lasciai anzitempo la CIA? Diciamo che sono entrato in un’altra organizzazione… un po’ diversa ma molto potente.
- Interessante. Ma perché sei finito… così?
Jack rise piano – Sono cambiato! Ora, hai un’occasione anche tu: prendi il nostro Segno e corri da loro, prima che la CIA riesca a metterti il sale sulla coda!
- Non capisco di quale organizzazione parli. Arabi? Israeliani? E quale sarebbe il vostro segno di riconoscimento?
Il vecchio indicò con la mano una piccola credenza, vicino la finestra aperta sul debole chiarore della luna. Henkel andò ad aprirne gli sportelli di legno e frugò tra i pochi barattoli di latta, fino a trovare una scatolina di legno intarsiato.
- Non hai una lampada, qua dentro, maledizione?
- E che me ne farei?
Bestemmiando, Henkel accese la torcia elettrica e, in quell’istante, gli parve che il vecchio maestro, ancora seduto a gambe incrociate, impugnasse un’arma…
Henkel sparò istintivamente. Restò un attimo fermo, incredulo, a fissare il vecchio amico, crollato sulla schiena, con le mani ancora incrociate sul petto ed il sangue che colava lentamente dal buco tra gli occhi. Niente armi, stava solo pregando.
Il Serpente raccolse la scatola di legno e tolse il coperchio. Trovò all’interno soltanto una carta dei Tarocchi, ingiallita dal tempo, che gli parve oltremodo buffa: raffigurava un uomo che correva verso un abisso, guardando dalla parte opposta.
FINE DELL’OTTAVA PUNTATA