Il Giorno Dopo Il Ritorno da Un Viaggio

Creato il 14 gennaio 2015 da Sunday @EliSundayAnne

Il giorno dopo il ritorno da un viaggio è intenso quanto il viaggio stesso.

Il cuore è da un’altra parte, la mente va per conto suo, viaggia ovunque meno che sui binari della quotidianità cui eri assuefatto prima di partire.

Vivi come se fossi ancora su un treno in corsa, sull’aereo in volo. Nelle narici, l’odore del paese che hai lasciato; in bocca, il sapore di spezie e di mango; negli occhi, le nuvole e il cielo; sotto le unghie, la sabbia e il sale.

Il jet lag ti fa sentire ancora là, e non vuoi superarlo: tornare agli orari del tuo paese significa che il viaggio è finito, che ti sveglierai quando gli altri si svegliano, che andrai a dormire quando anche gli altri ci andranno. Che è finito il tempo in cui, quando gli altri ancora erano nel sonno, tu eri già in corsa dentro la vita, postavi il tuo buongiorno e avevi già vissuto.

Quelle ore avanti ti davano l’illusione di vivere di più, di avere più tempo per fare tutte le cose.

Ti guardi allo specchio e ci trovi un’altra persona: gli sfoghi sono spariti, la pelle è luminosa, gli occhi sono lucidi come i tuoi capelli. Le occhiaie da viaggio sono esotiche, niente a che vedere con il blu delle notti insonni a correre dietro a tanti perché.

Il riflesso che ci trovi ti piace, e giuri a te stessa che mai più vorrai tornare il riflesso che eri prima. Perché non era lo specchio: eri tu che qui non avevi più vita.

Non cambi la borsa, per andare al lavoro, sei in ritardo e non c’è tempo: metti dentro due o tre cose e corri via, con il profumo addosso del sole.

Poi nella pausa cerchi un fazzoletto, ed esce pieno di sabbia. E tu rimani lì, col fazzoletto in mano e la sabbia rossa, e ti scende una lacrima,  che nascondi ai colleghi: non capirebbero. Cosa ne sanno loro della sabbia e del sole, dell’incenso e del mare, dei segreti nascosti in quei granelli di Oman.

E così scavi ancora di più, e insieme alla sabbia esce la conchiglia che ti ha raccolto lui la sera in cui ti ha portato a dormire davanti al mare d’Arabia. E poi uno scontrino,  e dietro di esso una nota: “Ritorna”.

Poi col magone torni in classe, ti siedi, guardi le pareti dell’aula e capisci che non sei più fatta per stare chiusa. Ormai sei aria.

La sera torni a casa, in macchina sempre quella canzone, ti sembra di scorgere un dromedario invece è un lampione, la testa con il fuso e il jet lag asociale. Non hai voglia di aprire il computer, di sentire ragioni.

Chissà se i nostri cagnetti mi staranno aspettando?

Cerchi ancora nella borsa, ed escono i talloncini del biglietto aereo: chissà perché non li butti mai. Poi trovi il passaporto, guardi ancora una volta il timbro del visto, e con un nodo in gola lo riponi nel cassetto.

E riappendi le sue chiavi di casa al muro.

La valigia quella no, non la disfi ancora: il viaggio finisce quando si ripone nello sgabuzzino la valigia vuota, ma per te il viaggio non è ancora finito.

Poi vai in camera da letto, e trovi tutto come l’avevi lasciato: il pigiama sul letto, il cuscino un po’ storto, e i vestiti che all’ultimo momento avevi tolto dalla valigia, per non fare peso.

Ti infili sotto le coperte fredde, appoggi la testa sul cuscino che sa di inverno e spegni la luce.

Forse non è il riflesso del lampione sulle tapparelle, quello. Quella luce sono stelle, le stelle dell’Oman che mi stanno dicendo “Ritorna”.


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