La legalità, o almeno quella che si presenta tale in questo Paese allo sbando, ci sta uccidendo. Da Tangentopoli in poi, i fondamenti giudiziari innalzati a dogma, a jihad togata, a crociata biblica, stanno facendo strame dello spirito nazionale e dei suoi valori politici e sociali.
La narrazione italiana, oramai, non si fa più con le lungimiranti visioni, con le azioni e le innovazioni che vanno oltre la norma (in tutti i sensi), in un periodo eccezionale richiedente decisioni straordinarie, ma con le carte bollate dei tribunali. La politica muore tra i battibecchi di chi ce l’ha più corta e candida (la fedina penale), proprio mentre, a ben vedere, il più pulito la sa fin troppo lunga e “c’ha la rogna”.
La cavillosità dei testi, l’inviolabilità delle carte e le interpretazioni autentiche delle leggi traslate, come unico argomento retroattivo e retrivo, nei luoghi naturali della dialettica parlamentare ed istituzionale, sono l’orizzonte misero di questo Stato smarrito tra gli avvenimenti – divenuto preda di miserabili moralisti con la puzza sotto il naso e la vigliaccheria nel cuore – che si sta rodendo il fegato per non dover più curarsi di avere coraggio dinnanzi alle sfide dei tempi.
La pedanteria giuridica applicata coattivamente ad ambiti umani dove generalmente abitano l’ingegno e la creatività, a sfere dell’agire collettivo dove l’intuizione, il genio, il talento s’incontrano con la teoria e la prassi politica, orientate a favorire nuovi percorsi e originali approdi, sta facendo letteralmente appassire l’Italia. Per questo il Belpaese resta al palo ma girando rovinosamente su se stesso. Da quando è partita, senza mai arrestarsi, la campagna delle Mani pulite, nei primi anni ’90, abbiamo perso le gambe e non riusciamo più a stare in piedi sul terreno difficile di questa fase storica. Un po’ ci scuotono da fuori ed un po’ ci tagliamo da noi il ramo sul quale stiamo seduti, completamente posseduti da un’ideologia irrealistica e autolesionistica.
La Legalità oltranzista ed ipertrofica, innalzata a vessillo di partito, ha scatenato gli istinti bestiali dei burosauri giustizialisti (non solo della magistratura) che si buttano sulle scartoffie per ridurre il mondo ad un faldone, ad un casellario giudiziario dove chi entra è perduto. Peraltro, questi signorotti asserragliati nei Palazzi, i cui fili vengono mossi a distanza da interessi “extraterritoriali”, colpiscono secondo scienza e non coscienza (che non è incoscienza ma preciso obiettivo devastatorio del benessere pubblico per infimi egoismi corporativi), in combutta con i burattini di una parte dell’arco costituzionale che serve e si serve alla medesima banca dei favoritismi ubicata all’estero.
Ma come diceva Balzac “La legalità costituzionale e amministrativa non genera nulla; è un mostro infecondo per i popoli, per i re, e per gli interessi privati; ma i popoli arrivano a capire solo i principi scritti con il sangue; ora i guasti della legalità saranno sempre pacifici; la legalità appiattisce una nazione”.
Cosicché, il finanziamento pubblico dei partiti, più o meno occulto, che nella I Repubblica aveva liberato la classe dirigente dal giogo dalla lobbies private, interne ed esterne (Cossiga dixit), oggi viene criminalizzato da una élite banditesca che dallo Stato non vuole essere segretamente sovvenzionata perché, surrettiziamente, ha già ipotecato i tesori statali, con l’ausilio di dette centrali private fuori controllo o controllate al di là dei nostri confini.
La lotta politica e quella imprenditoriale, a certi livelli, non si fa senza fondi neri, sotterfugi mutevoli e astuzie adeguate. Sul limitare della legge o contro di essa, poiché è il diritto che deve piegarsi all’interesse nazionale e non viceversa. Chi si fa trovare impreparato a queste occorrenze semplicemente perisce. Il destino della pecora è sempre nelle grinfie del lupo. Chi rifiuta simili sostegni economici e strategici “per amor di patria” lo fa perché a siffatti livelli non vuole e non deve arrivarci per non urtare i manovratori internazionali che lo tengono per il collo, allungandogli poche briciole.
In preda al panico legalitario l’Italia si sta sbriciolando. Oggi sappiamo che l’annunciato avvento del regno della legalità, perorato da infimi personaggi che nei grandi partiti di massa della precedente stagione politica rappresentavano le ultime file, era soltanto un altro nome sotto cui nascondere l’inarrestabile soggezione a cui doveva essere sottoposta l’Italia, da svendere agli stranieri al tramonto del mondo bipolare. Il giustizialismo è stato la prosecuzione della nostra decadenza politica con altri e più vili mozzi.