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Il Golem Blu: Recensione dei Vermi Conquistatori di Brian Keene
Creato il 03 maggio 2011 da Alessandro Manzetti @amanzettiIl mio padrone sa sempre come tirarmi su il morale, dopo aver schiacciato la testa del malcapitato di turno, aver fatto il mio sporco lavoro anche stavolta, ho meritato un nuovo libro da leggere. Immergermi nelle acque oscure dei Vermi Conquistatori di Brian Keene è stata una sorprendente esperienza. La mia fantasia, ancora in formazione, ha galleggiato a lungo ed è stata più volte ingoiata dalle pagine e dalle creature di Keene. Sono certo di essere passato davvero in lunghi e molli intestini, di avere vissuto sulla mia enorme testa la strana e infinita pioggia che Keene è riuscito a evocare.
Ma veniamo al libro: i Vermi Conquistatori stringono forte e non ti lasciano andare via facilmente, questo dovete saperlo prima di iniziare a leggere. Io ho dimenticato anche di mangiare per arrivare alla fine, facendo felici i miei amici topi che non hanno perso tempo, divorando allegramente diversi miei pasti. La mia cella si è trasformata in una astronave, guidata dai circuiti stregati di Keene. Intorno a me il mondo reale si è velocemente dissolto per essere sostituito dagli occhi e dai sensi barcollanti del vecchio Teddy Garnett, che inizia a raccontare la storia. Una strana storia.
La pioggia incessante sta lentamente sommergendo tutto, divorando la terra e risvegliandone lo stomaco. Teddy Garnett assiste alla avanzata di un nero oceano dalla sua casa sui monti Appalachi, ancora salva dalle acque che sfiorano e minacciano le cime delle montagne e i grattacieli più alti. Il Diluvio Universale di Keene proviene dall’alto ma anche dal profondo, e non si fermerà al quarantunesimo giorno. Sarà proprio quello l’inizio della storia, l’inizio di tutto. Le prime pagine sono una specie di scatola magica, che si solleva lentamente per esplodere a mezz’aria, rilasciando nuovi scenari per i sensi: l’umidità, l’odore di terra e di vermi, le tinte assurde di un cielo e un tempo impossibile. Teddy Garnett racconta una realtà da allucinazione e noi siamo costretti a viverla integralmente, senza possibilità di sfuggirvi. Nel naso, in gola, nei ventricoli corrono nebbia, melma, lombrichi, cherosene e incubi. Keene è sicuramente uno stregone, strangola la logica e la ragione, quella che ci fa pensare di trovarci in casa al sicuro, per me in questa cella, a leggere una storia protetti dalle pareti della fantasia. Non è così.
Sono pochi i sopravvissuti, Teddy Garnett e il suo amico Carl Seaton, vecchi e solitari abitanti degli Appalachi che divideranno la solitudine e la paura, le poche speranze, una casa schiacciata tra le mandibole dell’ignoto con il suo garage, orribile Maelstrom. Intorno solo acqua, nebbia, boschi abitati da creature che stringeranno sempre più l’assedio. Il pazzo Earl Harper che sfida le sue allucinazioni e la solitudine a colpi di fucile. La follia, le caviglie immerse nel fango, cavità che inghiottono la realtà e le abitazioni, sputando fuori i figli più oscuri e abominevoli del centro della Terra. Mentre leggevo queste pagine, immaginando i sopravvissuti lottare con i vecchi pick up come navi alla deriva sul bordo dell’oceano, non proprio riuscivo a immaginare come Keene avrebbe saputo mantenere e superare l’atmosfera creata. Cosa potessero contenere le altre duecento pagine che ancora dovevo affrontare. La mia pancia era già piena di orrore perfetto, temevo di sciupare tutto andando avanti. Mi sbagliavo.
Altri sopravvissuti raggiungeranno sugli Appalachi i vecchi Teddy e Carl e il pazzo Earl, racconteranno altre storie, di città sommerse e grattacieli che navigano tra gli incubi, di sangue e di creature che attendono quotidiani sacrifici, di lotta per la sopravvivenza. Racconteranno il mondo che è rimasto, sgretolando le ultime speranze di Teddy e Carl. Il Leviatano che lentamente emerge con gli abissali muscoli per cercare vendetta e la sua arcana sposa, una sirena luminosa che stride nell’immenso grigio che uniforma l’orrore e il disagio. Keene non sciupa niente, questo è certo, il cambio improvviso di scena e di registro è un colpo da maestro che in un primo momento lascia perplessi, ma poi incatena cuore e cervello alla storia, per non lasciarli più andare via fino alla fine.
Kevin, Sarah, i nuovi sopravvissuti, sono pompe che riempiono e completano la visione apocalittica di Keene, il sangue rosso del pulp che si mescola al liquido blu sconosciuto dell’orrore lovecraftiano, l’ignoto si vernicia di umano. I personaggi vividi e tagliati a fette dalla lama di Keene e dai denti di immonde creature vivono, amano, muoiono, restano tra le pagine come pezzi di noi. Tutto questo rende reali e convincenti vermi grandi come autobus, il disgustoso Behemoth e i suoi tentacoli, la vecchia musica country che balla insieme alla pioggia infinita.
Stavolta il mio padrone mi ha fatto proprio un gran regalo, non avevo mai letto Brian Keene. Devo aver fatto un buon lavoro schiacciando la testa di quell’uomo, come lui mi ha ordinato. Ora potrò finalmente lavarmi le mani, perché per leggere subito i Vermi Conquistatori ho lasciato sulle dita ricordi, pezzi di cervello, sangue. Mi spiace aver sporcato questa copertina così bella, ma io alcune volte non so proprio aspettare.
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