E’ noto che convenzionalmente la storia contemporanea comincia con la Rivoluzione francese del 1789: è una periodizzazione che ha una sua ratio, se si ricorda il retroterra ideologico e culturale in cui maturarono gli eventi che portarono al crollo dell’ancien régime.
Chi oggi intenda intraprendere un’analisi del passato degna di questo nome, dovrà investigare in primo luogo gli accadimenti-spartiacque, le svolte, gli snodi lungo l’itinerario storico. Sono avvenimenti spesso densi di valenze simboliche, riconducibili a riti propiziatori. La storiografia deve prefiggersi un approccio critico: il metodo critico, sull’esempio di Nietzsche, sarà implacabile e “dissacrante” con il fine di svelare il carattere mistificatorio delle ricostruzioni ufficiali, la natura laida del potere, la prostituzione dei panegiristi.
Prendere dimestichezza con la contemporaneità significa altresì riconoscere l’incidenza di operazioni oblique nell’ambito di una politica spregiudicata. Si giustificano, in tale contesto, alcuni termini stranieri, a cominciare dal lessema tedesco Realpolitik. La parola designa una condotta che, prescindendo del tutto dall’etica, persegue fini riconducibili alla ragion di stato, con il pretesto, però, di difendere principi e valori. E’ per eccellenza la pratica di governo attuale, tutta belle parole, discorsi alati, in cui ogni termine ha un’accezione diametralmente opposta a quella veicolata.
Alcune espressioni-chiave sono le seguenti: inside job, false flag, cui prodest? Sono diciture che denunciano la responsabilità diretta, ma occultata di apparati statali che attribuiscono al “nemico esterno” omicidi, stragi, attacchi, sabotaggi… in modo da fomentare la xenofobia e per perseguire obiettivi economici o strategici. Queste azioni, dirette contro i cittadini di un paese, orchestrate e compiute da frange del paese stesso, sono simili ad una malattia autoimmune: è, infatti, lo Stato che ritorce la sua forza distruttiva (thanatos) contro chi a quello Stato appartiene. Tale fredda e feroce consuetudine si comprende se si ricorda che i veri centri di potere sono sovranazionali, ecumenici, indifferenti quindi agli interessi delle singole nazioni: ciò non consuona con una concezione che vede un unico regista di tutte le strategie mondiali. Tuttavia l’esistenza di un fulcro da cui si irradiano iniziative più o meno omogenee è innegabile; si pensi alla coordinazione planetaria della geoingegneria clandestina.
Fondamentale è anche il sintagma latino casus belli, indicante, com’è noto, il pretesto per scatenare un conflitto o per un giro di vite ai danni della popolazione. Il divide et impera è tattica collaudata: oggi si afferma nella pericolosa bugia nota come "scontro di civiltà", un'idea diabolica che sprona i popoli a massacrarsi a vicenda affinché alla fine restino solo gli psicopatici delle classi dirigenti.
Bisogna ricordare inoltre la triade dialettica para-hegeliana, problema-reazione-risoluzione: questo schema, che individua una questione partorita in modo surrettizio dall’establishment onde i cittadini reagiscano e rivendichino a gran voce un intervento autolesionista previsto dal sistema medesimo, è talmente efficace che consente non solo di sviscerare molti fatti, ma addirittura di prevederne il corso. Non è il massimo poter preconizzare il futuro, ma tant’è…
E’ palese che sono strategie molto scaltrite di un machiavellismo elevato all’ennesima potenza. Il cinismo e l’utilitarismo nella prassi politica sono tanto più validi quanto più sono ammantati di ideali altissimi: si pensi, a mo’ di esempio, alla cosiddetta “buona scuola” di Renzi, iniziativa che, dietro il falso obiettivo di migliorare l’offerta formativa, nasconde e, in parte, lascia trapelare un programma di piena, irreversibile devastazione.
Si osservi il carattere deamicisiano del repertorio governativo: la “bontà” addolcisce il veleno delle vere intenzioni, delle riserve mentali. “La bontà”, come ci insegna Adorno, è, però, “una deformazione del bene”.
Da alcuni anni il linguaggio dei “politici” e degli “economisti”– ed è un linguaggio pragmatico, ossia che precede di poco o ipso facto si traduce in misure deleterie - brulica di termini o espressioni inglesi a volte errate o approssimative: jobs act (sic), welfare, eurobond, fiscal drag, governance…
E’ una sorta di “inglesorum” atto a sbalordire ed a confondere l’uditorio: siamo sicuri che, dietro questi lessemi, si cela sempre qualche insidia.
Il “reggitore” attuale non ha bisogno di essere “lione” oltre che “golpe”: egli è solo golpe, la volpe di cui ogni atto, di cui ogni parola è un golpe.
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