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Il Governo e il silenzio sull’aborto

Creato il 16 marzo 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

Il 15 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato un provvedimento che è passato quasi del tutto inosservato: è giunto all’attenzione dei media soltanto verso la fine di febbraio, grazie ad una mobilitazione sul web – in particolare su Twitter, con il lancio degli hashtag #ObiettiamoLaSanzione e #apply194 – per iniziativa di alcune attiviste. Stiamo parlando del decreto legislativo 15 gennaio 2016 n. 8, presentato dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando. Principalmente, si tratta di un atto volto a depenalizzare diverse fattispecie di reato, tutte accomunate dal fatto di prevedere come pena soltanto la multa o l’ammenda. Di conseguenza, in materia di aborto clandestino, come da prassi in caso di depenalizzazione, si è andati a sostituire la vecchia sanzione simbolica di 51 euro con una somma che va da un minimo di 5 mila fino ad un massimo di 10 mila euro. Un aumento che, potenzialmente, può arrivare a superare il precedente importo di circa duecento volte. Vi rientrano, quindi, tutti quegli interventi di interruzione volontaria della gravidanza (ivg) effettuati con modalità diverse da quelle previste dalla legge.

Già in precedenza – per la precisione poche settimane fa – alcuni media italiani si erano occupati della problematica applicazione della legge 194 sul territorio italiano, in particolare dopo un’inchiesta della nota trasmissione televisiva PresaDiretta, che ha messo in luce come per le donne residenti in Italia sia, nella pratica, estremamente difficoltoso – se non in certi casi impossibile – ricorrere all’ivg entro i termini stabiliti dalla legge. Le cause sono molteplici, ma una su tutte è rappresentata dall’altissimo numero di personale medico obiettore di coscienza. A fronte di una media nazionale di obiettori del 70%, di per sé già estremamente significativa, in alcune regioni si sono registrati picchi altissimi: in testa il Molise con il 93%, poi Basilicata (90%), Sicilia (87,6%), Puglia (86%), Campania (82%), Lazio (80,7%) e Calabria (73%). Si è addirittura arrivati ai casi paradossali delle strutture ospedaliere di Jesi e Ascoli Piceno che hanno dovuto interrompere del tutto il servizio di ivg per mancanza di personale, facendo parlare di una vera e propria “obiezione di struttura”. Per tutta risposta il Governo, citando i dati della relazione annuale prodotta dal Ministero della Sanità, si è limitato a dichiarare che il numero di donne che ricorre all’ivg è in diminuzione e che il Servizio Sanitario Nazionale possa, per questo, far fronte tranquillamente all’impennata della percentuale del personale medico obiettore senza la necessità di ulteriori interventi da parte delle istituzioni.

È stato invece ampiamente dimostrato come, a causa della parziale applicazione della legge, siano invece aumentati in modo esponenziale, negli ultimi anni, il numero delle donne costrette a ricorrere a pratiche abortive clandestine, se non addirittura al “fai da te”. Un fenomeno estremamente rischioso che mette a rischio la vita di coloro che vi si sottopongono, oltre a rappresentare un episodio degradante e lesivo della dignità personale, in quanto molto spesso effettuati in ambienti dalle condizioni igieniche a dir poco precarie.

Come se non bastasse, l’inefficiente servizio offerto dallo Stato provoca una doppia discriminazione, così come stabilito dal Comitato europeo per i diritti sociali (CEDS) in una decisione del 2014: la prima a carico delle donne che vivono in zone nelle quali il servizio di interruzione di gravidanza non viene erogato, rispetto a coloro che invece vivono in regioni nelle quali ne possono usufruire; la seconda, invece, nei confronti di tutte le donne rispetto alla collettività che accede al Servizio Sanitario Nazionale per altri tipi di prestazione sanitarie.

È questa la situazione, di per sé già piuttosto critica, nella quale si va ad innestare la norma del decreto legislativo appena citata. Una disposizione che può portare a conseguenze pericolosissime. Prima di tutto, le donne che avranno sufficienti possibilità economiche, non riuscendo ad abortire qui in Italia, potranno senza problemi recarsi presso uno dei moltissimi Stati europei e interrompere oltre confine la gravidanza. Coloro che invece non dispongono di adeguate risorse finanziarie, una volta che non saranno riuscite a trovare un medico disposto ad effettuare l’ivg, non avranno altra scelta che quella di effettuare l’aborto clandestinamente. Fino ad oggi, però, restava almeno la possibilità, in caso di pericolo per la vita della donna dovuto ad una complicanza post-aborto, la possibilità di rivolgersi ad una struttura ospedaliera per evitare l’aggravarsi delle proprie condizioni di salute. Non sono così infrequenti episodi di emorragie conseguenti a interruzioni di gravidanze effettuate illegalmente e all’uso improprio di farmaci dagli effetti abortivi. Oggi, con questa modifica legislativa, all’atto pratico si scoraggia il ricorso delle donne alle cure mediche in caso di necessità – oltre a rendere particolarmente sconveniente la denuncia del soggetto che ha praticato l’aborto illegalmente – a causa della spropositata sanzione pecuniaria che verrebbe loro inflitta. «Gravissimo errore – scriveva poche settimane fa Titti Carrano, presidente dell’associazione Donne in rete contro la violenza (DIRE) – quello dell’inasprimento delle sanzioni: ignora completamente le ragioni per cui la legge 194 comminava una multa simbolica, ovvero permettere alle donne di denunciare i ‘cucchiai d’oro’ che praticavano aborti illegali e, soprattutto, permettere loro di andare in ospedale al primo segno di complicazione senza rischiare la denuncia».

Tutt’oggi, esattamente due mesi dopo l’approvazione del decreto legislativo 15 gennaio 2016 n. 8, il Governo non ha ancora fornito una risposta nel merito. Sarebbe auspicabile un intervento in tempi brevi, apportando le dovute modifiche, al fine di evitare le conseguenze estremamente dannose appena descritte, evitando così di mettere a rischio salute e diritti di milioni di donne per la cui tutela si è fortemente combattuto negli ultimi decenni.

Tags:aborto,diritti,donne,Governo,legge 194,salute Next post

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