Il grammelot: dalle origini a Dario Fo e Celentano

Creato il 11 febbraio 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

“Ai ai smai sesler eni els so co uil piso ai in de col men seivuan prisencolinensinainciusol ol rati”.

Correva l’anno 1972 quando la storia della musica italiana venne sconvolta dall’uscita sul mercato discografico di “Prisencolinensinainciusol”: l’eccezionalità del brano, scritto e interpretato da Adriano Celentano (ancora oggi uno dei pezzi più noti anche al di fuori dei confini nazionali), risiedeva nel fatto che il medesimo non era scritto in italiano né, pur sembrandolo, in inglese, né in nessun’altra lingua conosciuta. Le parole di “Prisencolinensinainciusol” non avevano alcun significato: Celentano le aveva improvvisate su una base loop con l’intento di dar vita a una canzone nonsense sul tema dell’incomunicabilità. Più o meno inconsapevolmente, il “Molleggiato” aveva dato vita a un grammelot. Il termine, di origine etimologica incerta (deriva, forse, dal francese grommeler, borbottare), indica un particolare linguaggio scenico che si caratterizza per la riproduzione di alcune proprietà del sistema fonetico di una data lingua o di un determinato dialetto e per la rielaborazione delle stesse in un flusso continuo somigliante a un discorso ma consistente in una arbitraria sequenza di suoni. In “Prisencolinensinainciusol”, Celentano fa uso proprio di un linguaggio sprovvisto di contenuto semantico ma riferito al sistema fonetico della lingua inglese: un grammelot in piena regola, dunque, ma in ambito musicale anziché teatrale. È, però, al Premio Nobel per la la letteratura Dario Fo e non all’ ”Adriano nazionale” che il grammelot deve la sua fama. Nel 1969, l’attore, scrittore, scenografo e molto altro, porta per la prima volta in scena “Mistero Buffo”: l’opera, presentata come una “giullarata popolare”, consta di una serie di monologhi ispirati ai vangeli apocrifi e ai racconti popolari sulla vita di Gesù, che vengono recitati in grammelot, ossia in una lingua priva di significato generata dalla sapiente miscela di dialetti e di parole inventate, fortemente onomatopeica, iperbolica ed espressiva. In Mistero Buffo, l’attore si richiama con evidenza alle rappresentazioni medievali delle compagnie teatrali itineranti e dei giullari- figure assai care a Dario Fo, che tutt’ora ama definirsi un “giullare” moderno, i quali, dovendosi continuamente spostare su e giù per l’Europa, non potevano usare una lingua franca per farsi comprendere e, per ovviare a questa problematica, ricorrevano a un linguaggio che mescolasse dialetti e varietà linguistiche differenti. La comprensione da parte del pubblico, che si trovava di fronte a un linguaggio senza senso, avveniva grazie alla mimica e alla gestualità, in quanto queste garantivano la trasmissione delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni e, dunque, la veicolazione del messaggio, col risultato che gli spettatori capivano tutto senza capire nulla. Mistero Buffo -che diventa, nel corso del tempo, un successo mondiale e che viene oggi giustamente considerato una delle pietre miliari del teatro mondiale- segna il trionfo del grammelot e nonché il recupero nobilitante della cultura orale popolare. Un ruolo presumibilmente importante nella decisione di assegnargli il premio Nobel per la letteratura, avrà giocato l’intelligente uso del grammelot fatto dall’attore nei suoi spettacoli: l’ambitissimo riconoscimento gli è stato conferito, nel 1997, per aver saputo “seguendo la tradizione dei giullari, dileggiare il potere e restituire dignità agli oppressi”. Fo ha saputo dimostrare meglio di chiunque altro come, persino una semplice tecnica recitativa, possa essere utilizzata per nobili scopi. Viene naturale domandarsi ove si annidi la forza di un linguaggio nonsense, comprensibile solo in quanto accompagnato da gesti, espressioni e movenze riconoscibili perchè codificate nelle società. La forza del grammelot sta, probabilmente, proprio nel suo configurare un “insensato comprensibile”, ovvero un qualcosa di privo di senso nella forma ma di molto sensato nella sostanza e cioè nel messaggio che, nonostante l’assenza di una comunicazione verbale chiara e comprensibile, giunge comunque al destinatario attraverso la comunicazione paraverbale e non verbale, a riprova del fatto che è “impossibile non comunicare”. Uno strumento nobile, capace di dimostrare, anche ai più scettici, che la comunicazione è sempre possibile, anche in presenza di barriere linguistiche, poiché, laddove non arrivano le parole, è il corpo, ad arrivare.


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