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Il grande passo.

Da Suster
Il grande passo.Ok, credo che sia giunto il momento di prendere coscienza.
Penso che non averne parlato finora che per accenni sibillini e vaghi sia stata solo l'ultima manifestazione dell'implicito rifiuto del mio cosciente alla presa d'atto che lo stiamo per fare davvero.
Come la nostra cronica mancanza di scadenze, l'incertezza fino all'ultima ora, il partiremo-non partiremo che si è protratto fino all'ultimissimo giorno, procrastinando ogni decisione a un poi imprecisato, quando le cose saranno più chiare, quando avremo le risposte, quando saremo pronti. Allora sarà il momento di prendere coscienza, di calarci nel ruolo di viaggiatori, fare armi e bagagli e affrontare lo spauracchio, l'incognita del viaggio.
Ma fino ad allora, come convincerla, la tua coscienza, di ciò? Come metterla alle strette e costringerla a fare i conti con l'immediato salto nel buio?
Perchè è così che lo sento, ora, ed ammetto che per una certa porzione è paura dell'ignoto, per un'altra è un'incredibile senso di liberazione, sollievo, come un dente da levare, che se non lo fai rimane lì, e anche se a volte puoi non pensarci, ecco che il dolore rispunta a rovinarti tutti i momenti più dolci, i sacrosanti piaceri del palato.
Insomma, lo dico? Perchè anche il dirlo ora rende questa immediatezza un po' più immediata, più concreta, ed io ho bisogno di prepararmi mentalmente, ché non ci sto dentro alla consapevolezza del viaggiatore, e un poco invidio quando leggo di quelle viaggiatrici indefesse per le quali ogni nuovo partire non si carica di altro che dell'emozione del nuovo, e per le quali tutti i preparativi e le incombenze ad esso correlati non si riducono che a poche semplici, trascurabili, faccende di routine.
Andremo in Libia.
Ecco, ce l'ho fatta.
Abbiamo ottenuto i biglietti dall'ambasciata, ultima colossale fatica. Abbiamo ottenuto i visti sui passaporti, miei e di pupa. Abbiamo, prima, ottenuto il passaporto di pupa. Abbiamo risolto l'annoso problema delle fototessere di pupa, alla quale la cabina fotografica procurava inarginabili accessi di pianto disperato. Abbiamo atteso, per essere sicuri che la situazione si fosse veramente tranquillizzata, ristabilita, che i rischi fossero ridotti al minimo, e nonostante tutto non riesco a cacciar via quel sentore d'ansia e paura che qualcosa di brutto possa accadere, non tanto a me, quanto a lei, lei che non può decidere, lei che dipende in tutto e per tutto da me, da noi, dalle nostre scelte anche per lei.
E poi mi dico: ma su, devo smetterla, di farmi paranoie senza avere nemmeno cognizione di causa. Magari non c'è davvero alcun rischio reale, e devo, una volta per tutte, sfatare queste paure irrazionali, andare, con la dovuta prudenza, è ovvio, ma insomma, non è mica che partiamo per la guerra.
No, dice l'altra, partiamo solo per un paese che era in guerra fino a tre mesi fa. E le mine? E le armi? E se fosse tutto intossicato dal plutonio? Un paese distrutto, devastato, reduce da massacri... che ci vai a fare?
Poi la doccia fredda delle ultime notizie di disordini a Tripoli... eccheccazzo! Di nuovo?
Dicono che sono episodi isolati. Ma proprio ora che ci eravamo finalmente decisi, ecco che non sono più tanto sicura.
Ci avevo provato, anche a perdermi il passaporto.
Non che l'abbia fatto di proposito, ma non ho letto Freud invano. E alla fine, cerca che ti ricerca, è saltato fuori, non senza lunghe ore di angosciose indagini e "adesso chi glie lo dice ad Hasuna, che era così felice di essere finalmente riuscito ad ottenere i visti!" Tutto a puttane? Perché la casa di nonna ingoia gli oggetti, e raramente li restituisce al legittimo proprietario. E invece no: stavolta l'ha risputato fuori...
Insomma, per farla breve: partiremo (partiremo?!). Lunedì o, al più tardi martedì, perchè dalle cose libiche c'è bisogno che ci fai l'abitudine, non puoi pretendere l'esattezza assoluta, non puoi far conto di poterti fare proprio tutti i conti a priori. Ma già è qualcosa che non si debba partire domani, come era previsto inizialmente, così, su due piedi, quando sono dieci giorni che telefoniamo e ci dicono richiamate domani, domani, lunedì, martedì, venerdì... il colmo sarebbe stato saperlo oggi per domani, con un giorno di preavviso.
Perché io ancora non mi sento proprio "pronta".
E così, care amiche, questo per dire che siamo finalmente in procinto, attrezzati per il grande salto, ognuno con le sue ansie e angosce individuali, io, lui, ma desiderosi anche di mettere finalmente la parola fine a questo lungo, infinito, tira e molla.
E per dirvi che probabilmente starò lontana dall'Italia e dal blog per un tempo lunghetto. Ché ci tengo, io, ai commiati.
Però magari, se riesco, vi mando una cartolina da laggiù, eh! E cerco un regalo per la vincitrice del minicontest di capodanno.
A proposito: visto che parto, vi propongo un sondaggio (vedi a lato).
Aiutatemi a scegliere se preferite che lo stupido minicontest "Chi ben comincia" termini già domenica, prima della nostra partenza, o a fine gennaio, al nostro ritorno. Perché in mezzo io non ci sarò.
Sarà pure una fesseria, ma ho bisogno di sdrammatizzare.
E ditemi, per favore, che sono scema a preoccuparmi tanto e che andrà tutto benone, che la pupa giocherà con i suoi zii e conoscerà la nonna libica, e mangeremo cuscus e non ci intossicheremo, e non ci stresseremo, e staremo al caldo mentre voi, qui, ancora nel bel mezzo dell'inverno del vostro scontento... Ecco: fatemi vedere i lati per i quali la mia condizione possa sembrare invidiabile, e non un atto di incoscienza, perchè, credetemi, sono mesi che mi ci arrovello, e che ne discutiamo, e ora non ne posso proprio più.

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