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Il green cresce bene sul web

Creato il 30 giugno 2010 da Thegoodones

Il green cresce bene sul web

Era il 2006, Al Gore presentava il suo documentario sull’ambiente e l’attenzione mondiale si spostava per la prima volta nella storia massivamente sul problema surriscaldamento globale. Il titolo del lavoro che poi finì per consacrare l’ex aspirante alla Casa Bianca premio Nobel per la Pace racchiudeva già la potenziale difficoltà a cui sarebbe andato incontro il messaggio: an unconvenient truth. Prendere in considerazione l’ipotesi che l’interferenza dell’uomo potesse mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’intera specie sul pianeta terra e il futuro delle generazioni a venire significava apportare dei cambiamenti al proprio stile di vita. Scomodo.

Fu allora che iniziai a interessarmi al tema. In libreria c’era poco o niente e prevalentemente in inglese, sul web l’attore principale era Greenpeace e nessun editore particolarmente influente sembrava seriamente interessato a spiegare ai più quali fossero le nuove abitudini virtuose da mettere in atto per innescare quella catena di sinergie necessarie alla grande  trasformazione che poi avrebbe condotto a quello che oggi è comunemente definito definito sviluppo sostenibile. Teorie funeste, di parte e appetibili solo per una piccola nicchia.

Mah. Da allora non ho mai smesso di seguire la faccenda. D’altra parte chi inizia a capire le connessioni tra le proprie azioni e l’impatto ambientale e apre gli occhi sul degrado della natura circostante non può più fare a meno di pensare alla profonda inutilità di un consumo forsennato e a guardare con sospetto lo spreco di risorse per soddisfare bisogni futili. Intanto, le preoccupazioni degli italiani sul futuro del pianeta continuavano a crescere fino a raggiungere, nel giro di pochi anni, quelle relative a disoccupazione e crisi economica.

A questo punto, uno potrebbe pensare che nulla sia successo. Che la gente non abbia preso in seria considerazione la cosa, che le aziende non abbiano investito in questo campo e che le istituzioni siano rimaste le uniche, sole solette, a combattere per tentare di rispettare quei limiti alle emissioni imposti dalla commissione europea . E invece no. Le risorse finanziarie hanno, comunque, iniziato a premiare la green economy, una cospicua fetta di consumatori si è convertita al bio e chissà come mai tutto quello che è eco prolifica. Come è possibile? Dall’alto non è partito. E quando si parla di basso, bisogna per forza entrare sul web. Rifaccio lo stesso tentativo 4 anni dopo. Butto dentro qualche keyword centrata sul tema su Google. Poco o niente. A questo punto, entro sui social network, una specie di must contemporaneo. E mi si apre un mondo.

Inizio a seguire uno dopo l’altro tutti i collegamenti visibili in rete con un gruppo di persone interno e arriviamo a un numero di siti tale da faticare a catalogarli come bookmark preferiti. Fonti mai sentite che si sovrappongono nell’erogare aggiornamenti a vario titolo, magazine specializzati sull’ultima tendenza green chic, organizzazioni che analizzano le connessioni tra politica, clima e giustizia sociale, comitati di mamme incavolate unite contro lo smog, associazioni per la salvaguardia delle foreste, progetti partecipativi per migliorare la vivibilità delle città, guide alla coltivazione di orti urbani, post che spaziano dalle energie rinnovabili alla rigenerazione dei materiali, produttori di pompe geotermiche che spiegano come riscaldare la casa con calore naturale via blog.

Sostenere che esiste buzz in merito sembra addirittura riduttivo. Si potrebbe quasi pensare che il verde sul web abbia trovato un canale preferenziale. Paradossalmente, oggi esiste il problema opposto a qualche anno fa. Capire chi sta parlando,  scegliere la fonte migliore da seguire, non sprecare tempo a diffondere informazioni già note e capire chi potenzialmente può essere interessato a quello che abbiamo da dire noi. Pochi ma buoni motivi per affrontare la questione con pazienza, metodo e strategia. Noi siamo pronti. Voi?



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