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il grinta

Creato il 22 febbraio 2011 da Albertogallo

TRUE GRIT (Usa 2010)

locandina il grinta

Il cinema dei fratelli Coen sta all’America tutta (ma in particolare all’America piccola, di provincia) come quello di Martin Scorsese sta a New York: è un cinema che, attraverso una grande varietà di generi, registri e stili, rimbalzando tra i decenni, talvolta tra i secoli, ha saputo e sa indagare nella società e nella storia di quel grande e lontano Paese, arrivando, col tempo e forse in maniera casuale, sicuramente involontaria, a creare dell’America una mitologia per immagini, un lacunoso corso di storia contemporanea capace di leggere tra le righe di un luogo forse mai esistito, con affetto, timore e feroce ironia. Un percorso, quello dei fratelli del Minnesota, che attraverso gli anni Cinquanta (Mister Hula Hoop) e il decennio successivo (A serious man), gli anni Quaranta (Fratello, dove sei?) e il decennio precedente (Crocevia della morte), fino ai giorni nostri (che erano gli anni Novanta del Grande Lebowski e il XXI secolo di Burn after reading) giunge ora al suo approdo più naturale, il genere con cui grandissima parte dei maggiori registi di Hollywood ha, prima o poi, dovuto fare i conti: il western.

Un confronto che si sviluppa tutto sommato in maniera abbastanza tradizionale, senza grandi scossoni e innovazioni, quasi con timore reverenziale: Il Grinta non appartiene al filone di quei western (Il mucchio selvaggio, Per un pugno di dollari, Gli spietati…) che hanno voluto e saputo, in modi anche molto diversi, portare avanti un genere ormai antichissimo, innovarlo, conferirgli nuovi significati. E d’altronde non è che se ne sentisse la necessità, considerato anche il fatto che, a modo loro, i Coen un western innovativo l’avevano già diretto, e si chiamava Non è un paese per vecchi. No, Il Grinta non è un’opera geniale e innovativa, e non verrà ricordato come il film (l’ennesimo) che ha fatto risorgere il genere western. Eppure si tratta comunque di una pellicola bellissima, esteticamente meravigliosa, recitata benissimo e toccante.

Protagonista è il vecchio sceriffo Rooster Cogburn, ubriacone e violento ma ovviamente, sotto sotto, un uomo dal cuore d’oro. Accanto a lui la giovane Mattie Ross, decisa a vendicare, attraverso la pistola di Cogburn, da lei assoldato come bounty killer, la morte del padre, ucciso dal fuorilegge Tom Chaney. Il film è tutto qui, un road movie d’inseguimento (cfr. Sentieri selvaggi) che procede, lentamente, con le cadenze di una fiaba: c’è un eroe (anzi due, anzi tre se consideriamo anche il texas ranger LaBoeuf), c’è una missione da compiere, ci sono degli ostacoli da superare e c’è un antieroe da punire. Come in tutte le favole l’obiettivo alla fine viene raggiunto, ma a quale prezzo?

È tutto perfetto in questo film: è perfetta l’incredibile fotografia, è perfetta l’alternanza tra scene d’azione e altre di quiete, è perfetto il bilanciamento di ironia e malinconia… Forse solo la resa dei conti nel pre-finale è un po’ sbrigativa, risolvendosi con una sparatoria non molto originale e una serie di coincidenze/ribaltamenti poco credibile. Ed è perfetta, come dimenticarlo, la prova del cast, con un Jeff Bridges alla sua interpretazione migliore dai tempi del Dude, un Matt Damon (l’attore più sopravvalutato di Hollywood) finalmente libero da quei ruoli pesanti e lacrimosi che da sempre caratterizzano la sua carriera e, soprattutto, la sorprendente Hailee Steinfeld, classe 1996: speriamo che non faccia la fine dei tanti attori adolescenti usa e getta che affollano i set americani.
Che bel film, grazie fratelli Joel e Ethan Coen! Candidato a dieci-dico-dieci premi Oscar, almeno tre li meriterebbe.

Alberto Gallo



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