Torna furiosa l’ossessione dell’origine, la tv per Grillo è come l’aquila di Salò (du Francesco Merlo)
Il grillino Barbanti, consulente finanziario calabrese, e il grillino Turco, avvocato di Verona, hanno anche i nomi – Sebastiano e Tancredi – di freccia e di spada. E dunque non piangono come fece Federica Salsi che fu prima insolentita, con la ferocia del sorriso idiota, dai due ultras Massimo Bugani e Marco Piazza nel consiglio comunale di Bologna perché era andata a Ballarò a cercare “il punto G, quello che dà l’orgasmo nei salotti del talk show”, poi fu lapidata in Rete dalla folla dei pasdaran senza nome, i soliti incappucciati digitali, e infine fu dimenticata perché il Grillo Torquemada allora era vincente e il turpiloquio buffo e mostruoso del fanatismo tragicomico a cinque stelle era ancora benedetto dalla rabbia degli italiani.
Invece, solo due anni dopo, il rispolverato risentimento contro la Tv del Grillo perdente ieri ha reso persino belli il gracile Sebastiano e il rotondo Tancredi che ad Agorà sono diventati eretici sicuri e mansueti e non più traditori coperti di lacrime e di sputi, come era toccato a Giovanni Favia per avere peccato a Piazza Pulita e a Marino Mastrangeli per essersi offerto a Barbara D’Urso. E non trovarono pace neppure Gambaro, Campanella, Orellana, Bocchino, Battista…. e tutti gli altri reietti e schiume della terra accusati di praticare ogni genere di ignominia: “ frequentano gli studi televisivi che sono le arene della disinformazione”, “fanno cene con Civati, che è il cane da riporto del ‘pdsenzaelle’”, “rilasciano interviste ai giornalisti che sono morti viventi, violentatori, mantenuti, pennivendoli, infestatori e ovviamente coglioni”; e persino, quei rinnegati, “avevano un ufficio stampa tutto per loro”.
Oggi invece le nuove minacce scomposte di Grillo contro la tv sono diventate la spezia del proibito per Walter Rizzetto che ad Omnibus sembrava un Oscar Wilde. Non solo la scomunica ormai logora del capo non gli ha aperto le porte dell’inferno ma lo ha reso addirittura affascinante come un fiore del male: “Caro Beppe, non chiedo il permesso ai tuoi cortigiani per parlare del lavoro che stiamo facendo e comunicarlo a più gente possibile”. Pensate!, quando dice “dobbiamo riflettere”, o ancora “fare sana autocritica è sintomo di maturità”, o infine “io non mollo e tu?”, Rizzetto è penetrante come un filosofo classico. L’anatema di Grillo ha trasfigurato le sue sane ovvietà in avventure della dialettica.
E Sebastiano e Tancredi ad Agorà erano persino eleganti nelle loro barbe non più arruffate. Non alzavano la voce: “Dobbiamo capire dove abbiamo sbagliato”. Rispettavano i tempi e sognavano pure la riscossa grillina: “Alle prossime elezioni regionali vinceremo”. Non hanno neppure risposto agli insulti dell’amazzone Laura Ravetto che avrebbe voluto sbarbare Tancredi: “Fatti la ceretta”.
Nessuno può dire dove finiranno questi ribelli. Di sicuro tutto si consuma ancora e sempre in tv, che è il ritorno all’ossessione delle origini, come l’aquila di Salò. Anche il ciarpame di Rete e le corbellerie da internauti non meravigliano più nessuno. Il post su Matteotti , per esempio,che scagiona Mussolini e tira in ballo, en passant, una compagnia petrolifera della solita Amerika (che voleva l’oro nero della Puglia) non fa più scandalo politico, non mobilita nessuno storico italiano e neppure indigna l’antifascismo: è subito patacca da web perché la decadenza è la più potente macchina della verità.
Ed è verità di decadenza questa rinnovata furia contro la tv, che nella fase ascendente era lo charme del “non ci vado”, la scimmiottatura, orecchiando Popper, degli apocalittici antitelevisivi. Poi divenne il colpo di tamburo del “vado da Vespa” che avrebbe dovuto segnare “un nuovo cambio di marcia ”, come Berlusconi da Santoro, più ancora di Berlusconi da Santoro. Fu invece l’inizio della fine.
Perciò oggi, ancora più dell’imperiosa sconfitta in Emilia e in Calabria, sono gli insorti della tv negata, i campioni della disobbedienza televisiva che ci raccontano la fragilità dello smarrimento di Grillo, la sua definitiva incapacità di rivedere, correggere e ripensare se stesso e la sua storia di bravo comico tramutato in canaglia politica dalla rabbia italiana. E’ la stessa rabbia che, girando come gira il vento, lo ha fatto fuggire in motorino dalla sua Genova alluvionata; la stessa delle Mamma Roma di Tor Sapienza quando hanno cacciato la senatrice Paola Taverna che gridava loro: “Io non so’ politica, so ‘der Quartucciolo, so’ na donna de’ periferia”. E quelle in coro: “ma vaffan…”. Il tutto documentato dalle vituperate telecamere.
Francesco Merlo
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